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- alternative - - umbria -
altrocioccolato dal 16 al 26 ottobre
by altrocioccolato Monday September 22, 2003 at 07:32 PM mail:  

Ecco il documento.

Altrocioccolato 2003
Dal 16 al 26 Ottobre

1. Il cioccolato e la sua storia.
2. Stato del commercio mondiale agricolo.
3. La violazione del codice sui sostitutivi del latte in polvere.
4. Il comune di Perugia e la sponsorizzazione degli eventi commerciali.
5. La nostra manifestazione. Dove, come, quando, e con chi.
6. La sovranità alimentare.
7. Il commercio equo, il boicottaggio, il ciclo corto di produzione per un consumo critico.
8. Il rapporto con i lavoratori delle multinazionali: verso un nuovo modello di sviluppo.
9. Dopo la manifestazione, diamo continuità alle nostre idee.

Capitolo 1
Il cioccolato e la sua storia.
Secondo i botanici l’albero del cacao cresceva spontaneo già 4000 anni prima di Cristo, nei bacini dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni. I primi a coltivarlo furono probabilmente i Maya, seguiti dai Toltechi e dagli Aztechi, popolazioni che si insediarono a partire dal XVII sec. a.C. nell’America Centrale. In particolare è a Quetzalcoatl, dio fondatore della stirpe precolombiana, che gli Aztechi fecero risalire l’origine del cacao, ritenuto dono divino che alleviava la fatica e rallegrava il riposo. Oltre a essere l'ingrediente di una bevanda che solo le classi privilegiate potevano bere, chiamata xocoatl, nella società azteca il cacao fungeva da moneta di scambio. Ciò spiega il suo primo nome latino, “Amygdalae Pecuniariae”, letteralmente “mandorla di denaro”, sostituito in seguito dal botanico svedese Linneo con “Theobroma Cacao”, ovvero “cibo degli dei”, evidenziando in questo modo gli aspetti divini e culinari della pianta.
Fu Cristoforo Colombo il primo a prendere contatto con la pianta e i frutti del cacao, ma non ci prestò molta attenzione. Nel 1528 il “conquistador” Ferdinando Cortez, sorpreso dall'infaticabilità degli indigeni e riconducendola alla loro alimentazione, fece arrivare in Spagna i primi sacchi di cacao, suscitando forte interesse nei botanici per quell'esotica pianta. La bevanda ottenuta con i semi di cacao, tuttavia, raggiunse il successo in Europa soltanto quando a qualcuno venne l’idea di addolcirla con lo zucchero e aromatizzarla con anice, cannella e vaniglia.
Sembra essere stato un fiorentino, Francesco Carletti, il primo ad importare in Europa i frutti della pianta del cacao, spezzando così il monopolio spagnolo. Ma furono gli Olandesi, abilissimi navigatori, a conquistare nel XVII secolo il controllo del mercato mondiale. Intanto, mentre le piantagioni di cacao si estendevano in Brasile e Martinica, in alcune città europee si affermava la lavorazione del cioccolato. Già nel 1606 in Italia si produceva cioccolato, a Firenze e a Venezia; alla fine del XVII secolo a Torino, dove il cacao giunse per merito di Emanuele Filiberto di Savoia, generale degli eserciti spagnoli, se ne producevano 750 libbre (circa 250 kg) al giorno, che venivano esportate anche in Austria, Svizzera, Germania e Francia.
L’Ottocento fu il secolo dell’affermazione del cioccolato solido e delle invenzioni che costituirono una vera e propria svolta nella lavorazione del cacao.
All’inizio del XX secolo prende consistenza la vera e propria industrializzazione dei processi produttivi, mentre si amplia la geografia delle piantagioni di cacao - Costa d'Avorio, Camerun, Africa dell'est e Malesia. Il cioccolato, tuttavia, è ancora considerato un prodotto di élite, con un mercato ristretto, un piacere per pochi. L’elevato costo delle materie prime e l’alta imposizione fiscale non consentono, infatti, ai produttori di abbassare i prezzi di vendita. Perché il cioccolato diventi un bene di largo consumo nell’occidente, occorre aspettare gli anni Sessanta, gli anni del boom economico. Oggi la produzione del cioccolato è maggiormente nelle mani di poche multinazionali come la Nestlé, Mars, Kraft (Phillip Morris), Lindt, Ferrero che fanno grandi affari con la commercializzazione del cioccolato.
Pochi sanno, invece, che il mercato del cacao, ingrediente principale del cioccolato e fonte di sostentamento per milioni di persone, sta vivendo una lunga crisi che sta mettendo a rischio intere economie nel Terzo Mondo. Negli ultimi 30 anni, il mercato è stato interessato da un processo di concentrazione che ha riguardato tutte le fasi produttive. Se è vero però che i tre maggiori Paesi produttori (Costa d'Avorio, Ghana e Camerun) esportano il 60% del cacao mondiale e che, almeno in teoria, le loro organizzazioni di commercializzazione potrebbero condizionare gli scambi, questo però non avviene poiché il mercato è costantemente in surplus di offerta e quindi il maggior potere contrattuale è nelle mani dei compratori (le multinazionali) che determinano l'andamento (verso il basso) dei prezzi, condizionando le economie degli Stati che vivono sulla monocultura del cacao.
La produzione di cacao ha progressivamente devastata le zone rurali dei paesi produttori, trasformando una ricca e variegata agricoltura, capace di fornire cibo in abbondanza alla popolazione locale, in monocoltura, inutile all’alimentazione delle popolazioni locali, fonte di ricchezza solo per i grandi latifondisti ed gli investitori occidentali (speculatori).
Vogliamo però soprattutto puntare l’attenzione su una particolare forma di piantagione: quella sviluppata su vastissime estensioni volute in origine dalle potenze coloniali nei loro possedimenti e lavorate con il lavoro degli indigeni, come ad esempio le immense distese di cacao ivoriane (come di cotone nigeriane, quelle indonesiane di caucciù, quelle cubane di canna da zucchero e quelle senegalesi di arachidi).
La potenza coloniale che le aveva impiantate (la Francia) veniva in possesso di beni, ma i contadini indigeni non avevano interesse a coltivare i prodotti della “madrepatria”, che aveva loro sottratto le terre migliori.
Oggi, in quasi tutti gli Stati che furono colonie, l’attività agricola presenta due facce: c’è un’agricoltura di sussistenza praticata su piccoli appezzamenti (minifondi) per la produzione di alimentari per l’autoconsumo familiare ed è presente anche la monocultura, destinata alla produzione di una sola coltura che viene quasi totalmente esportata, senza portare reali benefici alle popolazioni locali ed utile solo ad arricchire le già ingenti patrimoni dei intermediari del cacao e delle multinazionali del cioccolato.

Capitolo 2.
Stato del commercio mondiale agricolo.
Diouf (Fao): "Al giorno d'oggi si produce nel mondo una quantità di cibo sufficiente a sfamare tutti gli uomini, le donne e i bambini della terra. Se tutte le risorse alimentari del mondo potessero essere distribuite equamente tra la popolazione, ogni essere umano disporrebbe di un apporto nutritivo giornaliero di 2 760 calorie, più che sufficiente per condurre una vita sana e produttiva...... Ad oggi esistono nel mondo 800 mln di persone senza cibo, 24 mila morti per fame al giorno, 18mila dei quali sono bambini sotto i 5 anni”.
Tale affermazione ci fa comprendere come il problema della fame del mondo non è la produzione di alimenti, ma le regole del loro commercio.
Le politiche di commercio internazionale dei prodotti agricoli, sono imposte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nell’ambito degli accordi agricoli dell’AoA (Agreement on Agricolture) ai quali aderiscono la maggior parte dei paesi in via di sviluppo (PVS).
Il WTO nasce nel 1994 alla conclusione dell’Uruguay Round. Prima di allora il commercio internazionale era regolato dal GATT (General Agreement on Trade and Tariff) il quale non si occupò mai di agricoltura. Quindi la nascita del WTO sancì anche il battesimo degli accordi globali sul commercio dei prodotti agricoli. Il cibo da bene, diviene merce.
Gli accordi all’interno dell’AoA si muovono su tre capitoli:
1) Accesso al mercato;
2) Sussidi interni;
3) Sussidi all’export.
Tali accordi prevedevano:
1) la conversione di tutte le barriere tariffarie in equivalenti dazi doganali e quindi ridurli del 36% in sei anni. (del 24% in 10 anni per i PVS);
2) la riduzione dei sostegni al settore agricolo del 20%. (per i PVS del 13%);
3) la riduzione del volume dei sussidi all’esportazione del 21%.
Da una prima lettura di questi dati si può prevedere che i PVS avrebbero dovuto usufruire di facilitazioni non indifferenti. In seguito ad un’analisi più accurata, si può affermare che non è stato così. In primo luogo bisogna evidenziare che le grandi potenze economiche (USA, UE, Canada) hanno politiche agricole economicamente molto rilevanti, sia per quel che riguarda i sussidi interni e quelli all’export, sia per quanto riguarda la protezione non indifferente dei propri mercati. I PVS sono caratterizzati da tutt’altro contesto. Questi paesi, infatti, non hanno nessuna politica di sostegno alla propria produzione agricola, in quanto firmatari dei piani di aggiustamento strutturali, (SAPs) prescritti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e finanziati dalla Banca Mondiale (BM), che hanno precluso ogni possibilità di sussidio per il settore agricolo e l’immissione di qualsiasi barriera tariffaria. Per quando riguarda i sussidi all’export, scadiamo nel tragicomico: nessun PVS, tranne il Sud Africa, incentivava le esportazioni poiché queste venivano tassate!
In secondo luogo, USA e UE, non contente di un accordo che favoriva solo gli interessi loro e delle Multinazionali del settore, fecero approvare dal WTO, due “scatole” denominate Green Box e Blue Box. Tutte le misure inserite nelle scatole non sono mai state sottoposte alle riduzioni previste dall’accordo del WTO, in quanto non considerate causa di distorsione per il commercio. Nella Green Box vennero fatte rientrare sia la Politica Agricola Comunitaria (PAC), sia la Farm Bill, la legge Finanziaria sull’agricoltura approvata lo scorso anno dall’amministrazione americana, che prevede, nei prossimi anni, l’elargizione di sovvenzioni pari a 180 miliardi di dollari. I PVS non hanno niente da inserire nelle “scatole”.
Esiste poi la piaga della Tariff escalation, fenomeno per il quale un dazio doganale cresce al crescere del processo produttivo subito dal prodotto. In questo modo, per esempio, le tariffe applicate al cacao in polvere o al cioccolato sono di gran lunga superiori a quelle applicate alle fave di cacao, impedendo così lo sviluppo di un’industria di trasformazione nei paesi del sud del mondo.
L’ultima riunione del WTO si è conclusa pochi giorni fa a Cancun. Fallimento, è la parola più semplice per spiegare l’esito del vertice. I PVS hanno puntato i piedi proprio sui temi riguardanti l’agricoltura. Le loro richieste sono quelle strillate dal Lee Kyoung Hae, il contadino suicidatosi dentro la zona rossa: Fuori l’agricoltura dal WTO, Sovranità alimentare per tutti !

Capitolo 3.
La violazione del codice sui sostitutivi del latte in polvere.
Il codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno è stato adottato nel 1981 dall'assemblea mondiale della Sanità dopo attente consultazioni tra O.M.S. ed Unicef .
Il codice proibisce la promulgazione diretta o indiretta di qualsiasi sostituto di latte materno e dei prodotti necessari alla sua somministrazione.
Come tutti i paesi della UE anche l'italia ha sottoscritto il codice.
Da tempo numerose multinazionali tra cui la Nestlè viola impunemente il codice OMS/UNICEF.
Tali violazioni sono particolarmente gravi nei paesi poveri dove con aggressive politiche di marketing, le donne, sono indotte ad abbandonare l'allattamento al seno in favore del latte artificiale. I paesi ricchi non fanno eccezione: in Italia è frequente la fornitura gratuita di latte in polvere nei reparti ospedalieri . Nonostante che, le palesi inflazioni del codice siano state più e più volte evidenziati, non v'è mai stata alcuna inchiesta sistematica.
Come afferma l'Organizzazione Mondiale della Sanità un milione e mezzo di morti infantili potrebbero ogni anno essere evitate nei paesi a basso reddito se TUTTI I BAMBINI POTESSERO ESSERE ALLATTATI AL SENO.
Per questo noi abbiamo chiesto a tutti i comuni, come clausola per aderire ad Altrocioccolato di far approvare un ordine del giorno che impegni il comune a:
 non accettare per attività culturali, sportive ed educative, nonché per l'esecuzione di lavori pubblici nell'ambito del territorio comunale, la sponsorizzazione e la pubblicità di compagnie produttrici di latte in polvere, di alimenti per l'infanzia, e di altri prodotti (come biberon e tettarelle coperti dal Codice Internazionale).
 che il Ministero della Sanità promuova attivamente l'allattamento al seno e dia la massima pubblicizzazione al Codice Internazionale, in modo da permettere ai cittadini e consumatori di verificarne il rispetto da parte delle compagnie produttrici dì alimenti per l'infanzia;
 un intervento diretto del Governo Italiano presso l'organizzazione Mondiale della Sanità affinché nomini un comitato dì controllo del comportamento delle compagnie produttrici di alimenti per l'infanzia, indipendente dalle stesse e con l'obbligo dì riferire annualmente all'Assemblea Mondiale della Sanità;
Se anche il comune di Perugia si impegnasse in questa rotta la manifestazione Eurochocolate, e le Multinazionali al suo seguito, dovrebbero andarsi a trovare un’altra città dove vendere il loro cioccolato dal retrogusto di morte e sfruttamento.

Capitolo 4
Il comune di Perugia e la sponsorizzazione degli eventi commerciali.
Sebbene gli organizzatori di Eurochocolat tentano disperatamente di far passare la loro kermesse per una manifestazione culturale, i cittadini di Perugia sanno benissimo di che cosa si tratta realmente: una vera occupazione della loro città. Centinaia di migliaia di persone, ignare delle scomode verità dietro la produzione del cioccolato (devastante monocultura, sfruttamento del lavoro, persino minorile, speculazione, concentrazione del potere di determinare prezzi del cacao e via dicendo), fanno da comparse alla celebrazione del consumismo più sfrenato. Mentre nei paesi produttori del cacao la gente muore di fame, Eurochocolat invita gli italiani di mettersi in moto (intasando strade ed inquinando l'ambiente) per "strafogarsi" di un cibo di lusso, pagando salatamente ciò che si può comprare a meno in un negozio qualsiasi. Uno spettacolo ignobile che causa molti disaggi ai residenti e a chi deve frequentare la città in quei giorni. Eurochocolat poi, consuma le vitali (e scarse) risorse ad enti locali, che non solo sponsorizzano direttamente l'evento, ma debbono altresì provvedere all’aumentante vigilanza, alla rimozione di tonnellate di rifiuti e alla concessione di spazi sottratti alla cittadinanza per far svolgere delle manifestazioni prive di reale significato culturale.
Inoltre, anche se il pressing internazionale del boicottaggi della Nestlé ha fatto sì che persino quelli di Eurochocolat tendono a volere escludere l'ingombrante presenza della multinazionale svizzera, la kermesse poggia effettivamente sui finanziamenti di questa ed altre multinazionali (alcuni dei quali con cacao e il cioccolato non centrano assolutamente niente). E la Nestlé, si sa, con la sua politica di vendita aggressiva di latte in polvere causa la morte di milioni di neonati nel sud del mondo.
Noi diciamo "no" a questo scempio e chiediamo i cittadini di prendere coscienza di questa realtà. Chiediamo i nostri amministratori di fare altrettanto e di agire di conseguenza, negando Eurochocolat di ogni partecipazione pubblica diretta o indiretta

Capitolo 5.
La nostra manifestazione. Dove, come, quando, e con chi.
Siamo un gruppo di organizzazioni della società civile Umbra, associazioni, partiti, gruppi informali, operatori del commercio equo e solidale, singoli. Molte e molti di noi sono stati a Genova e hanno marciato da Perugia ad Assisi nel 2001, abbiamo attraversato Firenze nel 2002. Abbiamo colorato le piazze e le strade dell’Umbria agli scioperi generali e nelle manifestazioni contro la guerra. Abbiamo dato vita nell’ottobre del 2002, a Perugia, ad “Equochocolate, l’altro modo di fare festa al cacao”, perché crediamo che la Kermesse consumistico – commerciale che da dieci anni si tiene a Perugia faccia male a questa città ed ai suoi abitanti e dà un’immagine del cacao assolutamente falsa e distorta e, soprattutto, nasconde la violenza, la sofferenza, la privazione di diritti e di sovranità per coloro che lavorano nella filiera produttiva del cioccolato: dai coltivatori dei paesi produttori del sud del mondo fino ai lavoratori delle grandi multinazionali come la Nestlè, la Ferrero etc. .
Per questo motivo, anche questo anno, abbiano deciso di incrociare di nuovo le nostre strade per dare vita ad “Altrocioccolato”, dal 16 al 26 ottobre 2003.
Una grande manifestazione che si svolgerà in contemporanea ed in aperta polemica e contrapposizione con Eurochocolate, si propone di offrire “un altro modo per festeggiare il cacao”, alla quale abbiamo dovuto dare un nome diverso da quello da noi usato lo scorso anno perché l’organizzazione della festa del cacao tanto cara alle multinazionali ha pensato bene di registrare il marchio Equochocolate per tentare di ostacolare la nostra determinazione. Non ci sono riusciti!
Questo anno vogliamo fare di più e di meglio: faremo uscire la nostra manifestazione dai confini della città di Perugia. Mercatini equosolidali, dibattiti, concerti, performance teatrali e musicali, azioni di protesta e di sensibilizzazione, saranno i contenuti con cui riempiremo le piazze dei comuni dell’Umbria che sceglieranno di ospitare Altrociocolato in alternativa ad Eurochoccolate. Ai sindaci ed alle amministrazioni locali che sceglieranno di ospitare la nostra manifestazione chiediamo di chiudere le porte della propria città o paese ad Eurochocolate. Li invitiamo, insomma a dare un forte segnale, una chiara presa di posizione dalla parte dei diritti e della libertà contro l’arroganza e lo strapotere delle multinazionali, così come ha già fatto il Comune di Roma che ha negato le piazze della capitale a Nestlè, Nike e Coca Cola.
Un segnale forte anche all’amministrazione comunale di Perugia che per il decimo anno consecutivo regala un bel po’ di soldi e l’intera città, in particolare il suo centro storico, agli organizzatori di Eurochocolate, ignorando l’enorme disagio che tale mega-manifestazione provoca a chi in questa città vive e lavora. E facendo finta di non ricordare che in ogni barretta di cioccolato, prodotta dalle grandi multinazionali del nord del mondo, si nasconde una lunga storia di sfruttamento dei lavoratori (dalle piantagioni fino alle fabbriche del nord da cui esce il prodotto finito), dell’ambiente e di privazione di sovranità.
Non siamo un comitato chiuso, un gruppetto, un’avanguardia coraggiosa, lanciamo la nostra proposta e la nostra sfida a tutte/i coloro che sentono di voler stare dalla parte del diritto, della giustizia sociale, della solidarietà concreta, della lotta allo sfruttamento ed alla precarietà.
Siamo pronti a confrontarci con tutti senza pregiudiziali, ma anche senza sconti, per nessuno.

Capitolo 6.
La sovranità alimentare.
L'agricoltura e l'alimentazione sono fondamentali per tutti i popoli, sia in termini di produzione e disponibilità di quantità sufficienti di alimenti nutrienti e sicuri, sia in quanto pilastri di comunità, culture e ambienti rurali e urbani salubri.
Tutti questi diritti vengono erosi dalle politiche economiche neoliberiste che con crescente enfasi spingono le grandi potenze economiche come gli Stati Uniti e l'Unione Europea, attraverso istituzioni multilaterali come l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale .
Invece di garantire l'alimentazione per tutta la gente del mondo, questi organismi presiedono un sistema che moltiplica la fame e diverse forme di denutrizione, con l'esclusione di milioni di persone dall'accesso a beni e risorse produttive come la terra, l'acqua, le sementi e le tecnologie. Occorrono cambiamenti urgenti e profondi a questo regime mondiale.
La sovranità alimentare è un diritto fondamentale dei popoli.
Per garantire l'indipendenza e la sovranità alimentare di tutti i popoli del mondo, è essenziale che gli alimenti siano prodotti mediante sistemi di produzione diversificati, su base contadina. La sovranità alimentare è il diritto di ogni popolo a definire le sue politiche agrarie in materia di alimentazione, proteggere e regolare la produzione agraria nazionale e il mercato locale al fine di ottenere risultati di sviluppo sostenibile, e decidere in che misura vogliono essere autosufficienti senza rovesciare le loro eccedenze in paesi terzi con la pratica del dumping. La sovranità alimentare non nega il commercio (internazionale), piuttosto difende l'opzione di formulare quelle politiche e pratiche commerciali che servano ai diritti della popolazione per una produzione (alimentare) nutriente, sana ed ecologicamente sostenibile.
Per conseguire e preservare la sovranità alimentare dei popoli e garantire la sicurezza alimentare, i governi dovranno adottare politiche che diano impulso a una produzione sostenibile , basata sulla produzione familiare contadina, al posto di un modello industriale, dagli alti consumi e orientato all'esportazione.
Tutto ciò implica adottare le seguenti misure:
Politiche di mercato
Garantire prezzi remunerativi per tutti gli agricoltori;
Proteggere i mercati nazionali dai prodotti importati a basso prezzo;
Regolare la produzione nel mercato interno al fine di evitare l'accumulo di eccedenze;
Abolire ogni appoggio diretto e indiretto alle esportazioni;
Eliminare progressivamente quei sussidi alla produzione nazionale che promuovano sistemi agricoli insostenibili e modelli equi di possesso della terra e in cambio, dare appoggio a pratiche agricole sostenibili e a programmi di riforme agrarie.
Ambiente, qualità e sicurezza degli alimenti
Controllare adeguatamente la proliferazione di epidemie e malattie, garantendo nello stesso tempo la sicurezza e la non nocività degli alimenti;
Fissare criteri di qualità degli alimenti adeguati alle preferenze e necessità della gente;
Stabilire meccanismi nazionali di controllo di qualità degli alimenti, in modo che seguano giuste regole ambientali, sociali, sanitarie di alta qualità.
Accesso a risorse produttive
Riconoscere e far valere i diritti giuridici e le consuetudini delle comunità per quanto concerne le decisioni riguardo l'uso delle risorse locali e tradizionali, anche quando non abbiano ancora goduto di quei privilegi giuridici precedentemente;
Garantire l'accesso equo alla terra, alle sementi, all'acqua, al credito e altre risorse produttive;
Proibire ogni forma di sperimentazione su esseri viventi e la appropriazione di conoscenze associate all'agricoltura (la salute) e all'alimentazione mediante l'utilizzo della proprietà intellettuale;
Proteggere i diritti degli agricoltori, dei popoli indigeni e le comunità locali circa le risorse fitogenetiche e la conoscenza associata, incluso il diritto degli agricoltori a scambiarsi e riprodurre sementi.
Produzione - Consumo
Sviluppare economie alimentari locali basandosi nella produzione locale e stabilendo punti di vendita locali.
Organismi Geneticamente Modificati
Proibire la produzione e commercializzazione di sementi, alimenti e prodotti geneticamente modificati, così come qualunque prodotto affine.
Trasparenza dell'informazione e leggi anti monopolio
Garantire l'etichettatura chiara e precisa degli alimenti per il consumo umano e animale, basata nel diritto dei consumatori e agricoltori di conoscere l'origine e i contenuti di quei prodotti;
Fissare norme obbligatorie per tutte le imprese, che garantiscano la trasparenza, responsabilità pubblica e rispetto dei diritti umani e le norme ambientali nelle sue operazioni;
Dettare leggi antimonopolstiche per evitare la formazione di monopoli industriali nei settori agricolo e alimentare.
La sovranità alimentare al di sopra delle regole del commercio.
Non si deve concedere priorità al commercio internazionale al di sopra dei fini sociali, ambientali, di sviluppo o culturali. Bisogna dare priorità alla produzione di sussistenza e culturalmente appropriata di alimenti sani, nutritivi, di buona qualità e a prezzi ragionevoli, per il mercato interno e i mercati subregionali e regionali. La liberalizzazione del commercio, che lascia nelle mani delle forze del mercato (le poderose imprese transnazionali) le decisioni riguardo a ciò e a come si producono e si commercializzano gli alimenti, non può dare compimento a queste importanti mete sociali.

Capitolo 7.
Il commercio equo e solidale per un consumo critico.
La festa del cioccolato promossa dalle associazioni che aderiscono a Altrocioccolato vuole dimostrare che è possibile riunirsi gioiosamente attorno al cacao senza però fare dell’evento un momento esclusivamente consumistico, ma anzi un’occasione di approfondimento e di dialogo tra produttori, consumatori, cittadini.
Come consumatori intendiamo promuovere un diverso tipo di consumo, un consumo sobrio, che ripristini il rapporto originario tra uomo e prodotto, un rapporto basato sul rispetto del bene in quanto necessario alla soddisfazione dei bisogni, e non in quanto merce da divorare indiscriminatamente. Il consumo equo solidale vuole creare un mondo che rispetti e tuteli i produttori, creando con loro un rapporto diretto evitando così inutili intermediazioni speculative.
La manifestazione Eurochocolate, oltre a stravolgere la tranquillità della città, invasa per tutta la sua durata da migliaia di persone, presenta al grande pubblico un modello di società votata solo ed esclusivamente al consumo, che non tiene conto della storia del prodotto, del valore che questo ha, delle possibilità che il commercio può offrire. Il cioccolato esposto in bella mostra sugli stand di Eurochocolate è prodotto dalle multinazionali, a cui poco importa dei processi produttivi, della qualità del prodotto, delle condizioni di vita dei produttori. L’unico motore che spinge avanti il tutto è per loro il guadagno, e per raggiungerlo tutto è lecito, anche calpestare i diritti dei produttori e sfruttare la loro manodopera.
Il commercio equo solidale propone un modello commerciale che rispetti i lavoratori di tutta la filiera produttiva, e che sulla base delle loro esigenze promuova progetti di sviluppo sostenibile. Le garanzie economiche permettono ai gruppi di produttori di poter progettare il proprio futuro, e cercano di colmare il divario tra nord e sud del mondo.
La produzione di cacao quo solidale consente di destinare parte dei terreni coltivabili ad altre colture, indispensabili per il sostentamento quotidiano, proteggendo in tal modo le popolazioni indigene dai rischi della monocoltura, fortemente soggetta ai capricci del mercato di riferimento con frequenti casi di drastiche cadute dei prezzi, nonché foriera di impoverimento spesso irreversibile dei terreni. Il prezzo pagato ai produttori del sud del mondo per il loro lavoro valorizza i costi reali di produzione, viene stabilito in accordo con il produttore, tiene in considerazione il principio della parità di retribuzione a parità di lavoro svolto per uomini e donne, è un prezzo stabile, non soggetto agli sbalzi del mercato regolato dalle Borse e dalla speculazione finanziaria, è un prezzo superiore o uguale a i prezzi stabiliti dagli organismi internazionali di commercio.
Il commercio equo solidale si basa sulla trasparenza, che garantisce una completa informazione per il consumatore su tutta la filiera produttiva.
Grazie ai progetti che coinvolgono intere comunità di produttori, un altro modo di produrre cacao è possibile.
Grazie alle botteghe del mondo che vendono questi prodotti, un altro modo di acquistare cacao è possibile.
Grazie al commercio equo solidale, un altro mondo è possibile.

Capitolo 8.
Il rapporto con i lavoratori delle multinazionali: verso un nuovo modello di sviluppo.
Quale rapporto con i lavoratori del nord del mondo assunti presso le multinazionali o le imprese che non conducono comportamenti etici?
Questo è da sempre uno degli interrogativi che si pone chi pratica campagne di denuncia e di boicottaggio nei confronti di quelle imprese che si rendono protagoniste di violazioni dei diritti dei propri dipendenti o della salute delle persone a cui vendono i loro prodotti, o ancora dell’ambiente in cui viviamo.
Vi è molto spesso una reciproca diffidenza: da una parte i promotori delle campagne che temono di non essere compresi, dall’altra, i lavoratori che temono per il mantenimento del loro posto di lavoro.
Questa diffidenza va superata.
Non si tratta di un conflitto in cui gli uni devono sentirsi contro gli altri, ma di un occasione nella quale si misurano insieme nuovi capitoli dell’emancipazione dei lavoratori e dei consumatori del nord e del sud del mondo. Insieme.
Questo obiettivo, però, non è possibile perseguirlo senza contaminarsi, senza comprendersi ed elaborare una proposta politica seria su cui costruire tale avanzamento.
In Umbria sono presenti sul territorio numerose multinazionali e migliaia di lavoratori sono impiegati presso di esse.
Può nascere dal nostro territorio, dalle energie che la società civile, la politica e le organizzazioni dei lavoratori sapranno mettere in campo, la possibilità di costruire nuovi esempi di eticità.
A noi pare che sia giunto il momento di impostare sia la pratica sindacale che quella politica verso la ricerca di condizioni di qualità dello sviluppo e di rispetto dei diritti delle persone che in ogni parte del mondo con esso sono collegate, coniugandole con il nome e la storia del nostro territorio.
Il binomio territorio-sviluppo sostenibile riteniamo possa essere un esempio valido per rilanciare anche le attività produttive della nostra Regione e così i livelli occupazionali sfruttando appieno quelle caratteristiche di civiltà, di eticità e qualità che ciò che viene prodotto in Umbria nell’immaginario collettivo rappresenta.
Per fare questo riteniamo che si possa insistere su più versanti che coinvolgano i lavoratori, la società civile, le istituzioni e le imprese.
Restando fermi nel denunciare le violazioni di chi intende lo sviluppo come solo una gara ad accaparrasi denaro e mercato non occupandosi dell’uomo-lavoratore-consumatore e dell’ambiente, riteniamo proporre all’interno delle nostre iniziative una discussione sui codici di condotta etici per le multinazionali e le imprese, e l’adozione da parte delle amministrazioni locali di misure adatte a regolarne la presenza produttiva e la compatibilità con il nostro territorio, in un confronto che veda protagonisti i lavoratori e la società civile nel rilancio di un modello di sviluppo veramente alternativo.

Capitolo 9.
Dopo la manifestazione, diamo continuità alle nostre idee.
La fine di Altrocioccolato, questa volta, non sarà la fine della nostra collaborazione. Facciamo nostre le osservazioni critiche che ci sono giunte da alcuni amici e non ripeteremo l’errore di spegnere i riflettori da questi temi a noi cari per magari riaccenderli solo il prossimo anno.
Continueremo a tenere alta l’attenzione, ad appuntare le nostre critiche ed a formulare le nostre proposte alternative ad un modello di sviluppo che non condividiamo, che genera immense ricchezze per pochi ed enormi povertà per gli altri; un sistema di sviluppo che, anche nel Primo Mondo, genera povertà, diseguaglianze, precarietà, sfruttamento.
Continueremo ad incontrarci ed a confrontarci per cercare strade comuni di iniziativa e di proposta, di protesta e di lotta pacifica e nonviolenta, nel rispetto delle reciproche diversità, inclinazioni e specificità.
Perché insieme un altro mondo è possibile.
Perché insieme un altro mondo è in costruzione.

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