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DOSSIER GLADIO
by LENIN Wednesday November 19, 2003 at 11:26 PM mail:  

Operazione Gladio di Mario Coglitore Una versione abbreviata di questo articolo è in corso di pubblicazione sulla rivista AlternativeEuropa

Operazione Gladio
di Mario Coglitore
Una versione abbreviata di questo articolo è in corso di pubblicazione sulla rivista AlternativeEuropa <http://www.alternativeuropa.com/>
"Quando dall'armadio i cadaveri cominciarono a puzzare,
allora Jacob comprò un'azalea."
B. Brecht
Quando mi sono occupato per la prima volta della struttura clandestina Gladio, Giulio Andreotti aveva appena informato il Parlamento e l'intera opinione pubblica della sua esistenza. A distanza di otto anni, molta acqua è passata sotto i ponti, fino al ritorno dello stesso Cossiga nella compagine di governo e per di più sotto l'egida socialdemocratica di Massimo D'Alema. L'Italia che non ricorda, tra due salti in discoteca, una partita di pallone e un paio di telefonate al cellulare, non sembra nemmeno sfiorata dagli avvenimenti che l'hanno travolta praticamente l'altroieri.
L'assenza di memoria, e dunque di valori condivisi, ci rende estremamente duttili alle lusinghe del potere. Il significato storico e politico dell'organizzazione Gladio, che affonda le sue radici direttamente negli anni successivi alla lotta di Liberazione ed alla proclamazione della Repubblica, non è mai stato compreso a fondo. Una commissione d'inchiesta parlamentare appositamente costituita ha lasciato in compenso alcune indiscutibili certezze sul ruolo degli oscuri personaggi ed altrettanto oscuri avvenimenti che hanno segnato gran parte della vita meno conosciuta del paese Italia. Ma neanche questo è sufficiente se è così facile dimenticare.
Breve storia dell'affare Gladio
Tutto cominciò con una trasmissione del tg1 del luglio 1990, durante la quale Ennio Remondino (giornalista rigorosamente di Stato, oggi inviato Rai all'estero; lo ricorderete di certo mentre sottoponeva alcuni anni fa Curcio, Moretti e Faranda ad una serie di frastornate e retoriche domande sul brigatismo rosso) intervista un agente della CIA americana (Central Intelligence Agency), il servizio segreto più famoso del mondo, ben disposto a fare una serie di rivelazioni sconcertanti sui rapporti tra l'Agenzia, la destra italiana, la P2 e la massoneria. Una minuscola falda del complesso edificio istituzionale italiano si sgretola, ma senza dare troppo nell'occhio: l'allora Presidente della Repubblica Cossiga si rivolge direttamente al direttore generale della Rai e chiede la testa di Remondino e del direttore del tg1 Nuccio Fava, effettivamente destituito dall'incarico a favore del ben più andreottianamente fedele Bruno Vespa.
Il 3 agosto, ben conscio del fatto che l'indagine del giudice veneziano Casson (che si occupava in quel momento della strage di Peteano e che aveva avuto accesso agli archivi dell'ex SIFAR di Forte Braschi) sta comunque approdando a qualche significativo risultato, Giulio Andreotti dichiara davanti alla Commissioni Stragi che è esistita fino al 1972 una struttura segreta all'interno degli stessi servizi i cui scopi e la cui organizzazione sarebbero stati successivamente definiti in un apposito documento.
Questo fascicolo di dodici pagine viene in effetti inviato alla Commissione il 18 ottobre dallo stesso Andreotti e sparisce il giorno dopo con ogni probabilità per quella tipica caratteristica dei dossier riservati, che tutti conoscete e che consiste nel loro essere dei veri e propri giochi di prestigio. Il rapporto ricompare quattro giorni più tardi debitamente ripulito dallo scrupoloso Presidente del Consiglio, che afferma di aver riconsegnato le carte a Casson su sua esplicita richiesta, circostanza smentita dallo stesso giudice. Come si può facilmente capire dalla comparazione tra i due documenti proposta dal settimanale Avvenimenti che possiede anche la versione originale, il lavoro di ritocco, con cancellazione di interi periodi, rimodella il complesso delle dichiarazioni e ne fornisce una versione largamente edulcorata. Gli omissis sono parecchi: nell'originale si parla del controllo esplicito da parte dei servizi segreti sull'intero gruppo Gladio, nel secondo rapporto non si fa accenno ad alcun controllo; nella prima versione si sostiene che la pianificazione geografica ed operativa era concordata con il servizio informazioni americano, nella seconda versione la riga salta interamente. Lo stravolgimento completo tocca il suo punto più alto quando nel documento rivisto scompare ogni accenno agli stanziamenti previsti per l'organizzazione che costituiscono un apposito capitolo di bilancio. Assenza totale, infine, delle notizie precedentemente fornite su modalità operative del gruppo, addestramento presso la scuola dei servizi americani, materiali in dotazione e, particolare interessante, neanche una parola sui depositi di armi ed esplosivo che nella versione del giorno 18 si dicevano smantellati e ricostituiti altrove.
Dopo un avvio così folgorante il caso non poteva non montare ed esplodere come effettivamente è successo. Da questo momento in poi si assiste ad un susseguirsi di dichiarazioni, controdichiarazioni e invettive, tra cui spiccano sicuramente le affermazioni di Cossiga (le prime di una incredibile serie) rilasciate in Gran Bretagna, attraverso le quali l'ex ministro degli Interni di anni terribili di repressione poliziesca si compiace pubblicamente dinanzi ad un uditorio internazionale non soltanto di aver ricevuto personalmente alla metà degli anni sessanta, in qualità di sottosegretario alla difesa, l'incarico di ricostituire Gladio ma anche del fatto che il segreto sia stato mantenuto per quasi quarant'anni.
E non è finita. In visita a Torino, siamo arrivati a Novembre, Cossiga ha il piacere e l'onore di avere tra i suoi illustri ospiti Edgardo Sogno, figura di spicco degli anni '60 e '70 e molto noto per i suoi rapporti col Sid (servizio informazioni difesa, istituito nel 1965) e con tutti i personaggi che gravitavano attorno ai servizi segreti, e non esita a definirlo partigiano indomito e combattente per la libertà, eroe della patria insomma. Qualche tempo dopo Vito Miceli, direttore del Sid dalla fine del 1970 al 1974, nel periodo caldo della strategia della tensione, muore di infarto. Cossiga ne onora la salma e lo definisce un fedele servitore dello Stato.
Sempre nel mese di Novembre il giudice Casson chiede al Presidente della Repubblica di dichiarare la sua disponibilità ad una testimonianza sui fatti della strage di Peteano e sul gruppo Gladio. Cossiga non ha dubbi, non testimonierà perchè questo offenderebbe la dignità della carica che sta attualmente rivestendo. Non ancora soddisfatto delle cose che può dire e fare, il presidente, sulla scia delle polemiche tra il ministro di Grazia e Giustizia Vassalli, feroce critico dell'operato di Casson, ed i magistrati del Consiglio superiore che si apprestano ad esaminare la richiesta del giudice, invia al massimo organo della magistratura una lettera nella quale senza mezzi termini dispone che della faccenda non si debba più parlare, nè che si affronti qualsiasi discussione sulla stessa ammissibilità del dibattito.
Si inaugura in questo modo una pratica pericolosa che prevede per il primo cittadino della Repubblica acquisizione di poteri e decisionalità non previsti nemmeno dall'ordinamento borghese di questo Stato. Cossiga, intenzionalmente o meno, sembra voler anticipare l'avvento di una forma costituzionale che inaugurerà la venuta della cosiddetta Seconda Repubblica.
Servizi segreti e capitalismo
Il ruolo dei servizi segreti nei paesi a sviluppo capitalista come il nostro è evidentemente quello di conservare inalterata la struttura di potere di cui sono una creazione. Nella configurazione dello Stato moderno essi infatti compaiono molto presto. In Italia il primo servizio informativo, di matrice esclusivamente militare, risale al 1863. Con le trasformazioni dell'età industriale cambiano completamente i riferimenti e le strategie del sistema di potere in Occidente e non è strano che si cerchi di potenziare l'attività di uno strumento di coercizione destinato ad assumere un'importanza sempre maggiore.
Ciò che risulta abbastanza chiaro, e che emerge con notevole forza anche dalla lettura di documenti d'epoca, è che quasi da subito i servizi di informazione diventano la metafora oscura di un potere che non ha niente a che vedere con quello, per così dire ufficiale, del governo o dello Stato in quanto istituzione, pur trovando costantemente la copertura di molti dei vertici dell'apparato statale stesso. La costituzione del meccanismo di potere nelle società industriali, che ha nella borghesia il suo massimo rappresentante, crea un apparato burocratico formale e visibile da una parte e una struttura di controllo altamente sofisticata e nascosta dall'altra, giustificando sulla carta l'esistenza di questa struttura come necessità inderogabile per la difesa dai nemici esterni. E non è difficile comprendere quanto una presunta pacificazione interna delle contrapposizioni serva a mantenere costante, al contrario, la sorveglianza su una popolazione ed un territorio.
L'economia del capitale, proprio per le spaventose lacerazioni interne che appartengono alla sua stessa evoluzione, si fonda su dinamiche di sviluppo dei conflitti sociali. In una parola, la massa va tenuta d'occhio, soprattutto quando si è consapevoli che i ritmi dell'avanzare della macchina industriale impongono dei livelli complessi di dominio. La guerra è dentro al sistema, alle singole economie, ai singoli territori: i frequenti scambi tra servizi segreti e la sostanziale identità di vedute anche tra Paesi che fino ad un momento prima spedivano sui campi di battaglia quella stessa manodopera che sfruttavano nelle fabbriche, sono singolarmente esemplificativi di un progetto internazionale mirato alla conservazione di determinati rapporti di forze.
La guerra, quindi, non appartiene soltanto formalmente all'idea del conflitto tra eserciti schierati ma diventa in realtà l'idea-chiave per interpretare il sistema di potere nell'Europa contemporanea (e naturalmente nel blocco statunitense, non a caso territorio a fortissimo sviluppo industriale). Lo tattica dello scontro permanente che, inutile nasconderselo, ha individuato il nemico interno per eccellenza nell'opposizione comunista (e comunque in tutti quei gruppi che rivendicano l'emancipazione da un sistema oppressivo) ha la inderogabile necessità di servirsi di ogni mezzo possibile per irregimentare la popolazione che vive, o meglio sopravvive, dentro ad un territorio sul quale, mentendo clamorosamente, si assicura la completa sovranità dell'insieme dei cittadini. Nel linguaggio dello Stato moderno che si sostituisce alle vecchie monarchie assolute compare per la prima volta la figura giuridica del cittadino, e non più del suddito, al quale vengono garantiti dalle nascenti costituzioni diritti che raramente trovano riscontro sul piano sostanziale. L'idea di democrazia, la cui origine quasi mitologica viene ampiamente sostenuta dall'intellettualità borghese che la colloca, non senza spreco di retorica altisonante, nelle affollate piazze della Grecia antica (mistificando ed imbrogliando le carte sulla realtà di ciò che fu la civiltà greca, improntata al maschilismo guerriero e con una struttura sociale rigidamente gerarchizzata), si fa strada proprio in questo contesto storico, economico e culturale per creare la convinzione dell'esistenza di un mondo libero abitato da persone libere.
Ci illumina, a questo proposito, l'analisi di Marx sul processo economico-sociale introdotto dal capitalismo. La meccanica capitalista, muovendo dalla necessità di un eterno movimento dei flussi di produzione e dovendo comunque regolare costantemente lo scambio ineguale della forza-lavoro con il salario, deve assolutamente possedere nell'ambito sociale che essa racchiude e disciplina una caratteristica fondamentale senza la quale non sarebbe consentito all'apparato burocratico (la forma Stato indispensabile per governare) di funzionare, vale a dire la proclamazione dell'uguaglianza giuridica. Questo originariamente con il duplice scopo di eliminare i privilegi nobiliari e di liberare la forza-lavoro da qualsiasi legame di natura feudale, rendendola disponibile ad una contrattazione del suo prezzo, imbrigliando in tal modo il lavoro e trasformandolo in fonte originaria di profitto e, nello stesso momento, di controllo pressochè totale. Democrazia e libertà, perciò, sono create dal capitalismo per regolare lo scambio ineguale, così ben espresso nella formula, che ognuno di noi ha sentito almeno una volta nella vita, della pari dignità sociale.
A tutto questo corrisponde, sul piano giuridico, l'affermazione di un sistema complesso di leggi e di una struttura verticistica che le gestisca, lo Stato.
Ed è senz'altro la coscienza di questa menzogna di fondo, su cui si articola la società industriale, che giustifica l'approntamento di una rete di sorveglianza capillare che più è celata ed articolata e meglio è. I collegamenti tra questa rete ed i potentati industriali sono sicuramente la dimostrazione di quanto stiamo dicendo. Il colonnello Rocca, direttore dell'ufficio del Sifar denominato Rei (Ricerche economiche e industriali), che ufficialmente, dal 1949, avrebbe dovuto tutelare la sicurezza dei brevetti industriali italiani e sorvegliare i commerci di armi tra le industrie del nostro paese e quelle straniere, raccoglieva tranquillamente finanziamenti anticomunisti da questa o quella lobby economica (inutile dire che frequenti furono i rapporti con la Fiat) per poi distribuirli a partiti politici, gruppi e gruppetti il cui scopo era quello di fermare ad ogni costo l'avanzata di ogni e qualsiasi movimento che si opponesse alla logica del sistema.
Uno stato di agitazione permanente, in un apparente contesto di pace, è il quadro generale che risulta da queste analisi. La guerra diventa in sostanza il mezzo privilegiato con cui sono stati condotti gli anni di un oscuro e tanto declamato cinquantennio di democrazia, durante il quale si sono combattute feroci battaglie per il mantenimento e la progressiva evoluzione, con qualunque mezzo, del sistema economico depotenziando qualsiasi spinta sociale al cambiamento. Rileggendo la storia degli anni che hanno seguito la proclamazione della Repubblica nata dalla resistenza (di partigiani coraggiosamente e rabbiosamente antifascisti) è abbastanza semplice seguire il filo sottilissimo, ma ben visibile, che segna lo svolgersi lento ed inarrestabile di un potere che risucchia in sè ogni spinta antagonista e che continuamente intorbida le acque di una palude abitata da creature incredibili, dissimulando le origini dello scontro e autoriproducendosi costantemente.
I servizi segreti, in questo senso, sono la punta di diamante del modello disciplinare di controllo che si afferma, ovunque, nelle società industriali e che socializza l'individuo alla violenza sin dai primi anni di vita, inducendo senza sosta suggestioni di aggressività e competizione.
La pretesa democrazia a cui sottoporre un'intera cultura cela un progetto radicalmente diverso, la riproduzione coatta del sistema economico capitalista e dei rapporti di forza che esso genera nell'intera struttura. Non esiste infatti un luogo, od un momento, nel quale la paziente opera di allarmanti e sfuggevoli personaggi non abbia influenzato il procedere degli avvenimenti più importanti della nostra storia nazionale del dopoguerra.
La stessa organizzazione gerarchica degli apparati dello Stato moderno rimanda ad un modello verticale tipico delle disposizioni di potere in Occidente. Il comando e la coercizione sono gli elementi base per ottenere l'efficienza ed il correlato ideologico di tutto questo è certamente rappresentato dalla cultura di destra (che non corrisponde sempre a quella fascista in senso stretto). In una pubblicazione di molti anni fa, era il 1972, intitolata Il libretto della destra[1] <operazione_fn.html> e stampata dalle famose Edizioni del Borghese, Armando Plebe si esercita volentieri ad identificare i caratteri peculiari del vero uomo di destra. Fra le tante incredibili tesi sostenute nel libro, ce n'è una che merita in particolare la nostra attenzione, lì dove si sostiene che diventare uomini di destra significa prima di tutto conoscere gli uomini di sinistra per poterli combattere. L'affermazione di Plebe sintetizza un'epoca intera: la lotta va sostenuta contro il solo nemico possibile, il comunista destabilizzatore che nega valore alle istituzioni, quali che siano, prodotte dal Capitale. E' incredibile pensare come si siano potute sostenere tali e tante menzogne nel mentre scoppiavano le bombe nelle banche e si tentava di porre in atto colpi di Stato, ma anche quel linguaggio era plasmato nell'intento di creare un clima favorevole al passaggio ad una cultura dell'autorità.
I cardini intorno a cui ruota il pensiero occidentale hanno mantenuto le caratteristiche essenziali di riproduttori del dominio e della violenza che fa tacere le minoranze anche se tra il '60 e il '70 questa situazione sembrava dover essere rovesciata. Così di fronte all'inasprirsi delle resistenze al sistema, non c'era che la vecchia soluzione di dare origine da se stessi al proprio conflitto per poi avere tutte le carte in regola per intervenire a mettere ordine. Il Doppio Stato, se così lo possiamo chiamare, entra in scena esattamente a questo punto, rendendo operativa l'organizzazione reticolare che da tempo era stesa in tutto il territorio. Questo territorio non ha gli stessi contorni geografici dei singoli paesi, trattandosi di un'area politico-economica definita da funzionalità diverse; nel nostro caso l'intera Europa.
I famosi Stati Uniti d'Europa che sono oggi ormai una realtà, perlomeno dopo Maastricht, rappresentano il concretizzarsi di un progetto di controllo che ci porterà dritti, dritti nel composto mondo del Grande Fratello. La funzione dei gruppi di difesa nazionale che hanno lavorato nell'ombra, nonostante le bugie su un immaginario pericolo di invasione dall'Est, è stata anche quella, perciò, di coordinare su un piano evidentemente internazionale le concentrazioni di resistenze pericolose alla diffusione del modello capitalista.
I collegamenti con la nota Agenzia di spionaggio statunitense vanno letti sicuramente nel senso del pieno appoggio dato alle strutture informative europee e non tanto nella prospettiva, piuttosto generalizzata, che gli Stati Uniti volessero trasformare il vecchio continente in una colonia americana. Non ce n'è mai stato bisogno, dato che la stessa matrice economica (l'America è un prodotto schiettamente europeo dal punto di vista della logica industriale) nei rapporti di produzione garantisce la sopravvivenza del blocco capitalista.
Nel quadro generale che abbiamo delineato fino a qui, i servizi segreti sono a tutti gli effetti una promanazione diretta del potere economico e politico, inserita strutturalmente nell'apparato statale da cui formalmente dipendono. Ma se questo apparato, come abbiamo cercato di dimostrare, nulla ha a che vedere con la forma di coercizione che viene chiamata, a vario titolo, democrazia, non esiste nemmeno la possibilità di parlare di deviazioni o di attività illegali per ciò che concerne i servizi. Anche in questo caso si confondono pericolosamente le rappresentazioni linguistiche di un certo fenomeno. Rispetto a che cosa sono deviati i gruppi di spionaggio e controspionaggio? E la loro eventuale illegalità a che cosa viene riferita? Certamente ad un concetto di Stato legale che appartiene alla miglior tradizione liberale con tutto il suo patrimonio storico e culturale. L'insieme stesso delle leggi che regolano i nostri codici e la nostra vita giuridica provengono da quella stessa fonte che adotta l'uso di servizi segreti per proteggere se stessa.
In Italia, per venire a questioni meglio conosciute, i servizi non hanno deviato assolutamente di una virgola rispetto alle funzioni per le quali erano stati costituiti. Continuare a celare questa parte così scomoda della storia del paese, non può che apparire come un'operazione destinata a coprire la realtà dei fatti. Purtroppo questo modo di pensare è sedimentato da tempo nella nostra visione dei complessi e tragici problemi che ci accadono intorno. Abbandonate, non senza sollievo da parte delle stesse forze della sinistra istituzionale, che ancora non riescono ad ammettere, anche se ne hanno piena coscienza, di aver servito la causa del potere, le contrapposizioni radicali al sistema dominante e disarticolate le istanze rivoluzionarie di coloro che avevano ben compreso quale sarebbe stato il pericolo da affrontare, ci si rifugia in un riformismo dannoso e privo di soluzioni politiche immediate dietro al quale si nasconde la paura di affrontare i problemi nel loro effettivo spessore.
Le stragi sono servite appunto a determinare questo tipo di reazioni, mute ed angosciate, dinanzi ad una società attraversata dall'incubo del sangue e della violenza. Inutile sottolineare, per l'ennesima volta, che il disordine creato doveva servire proprio ad attivare il desiderio del ritorno alla normalità, normalità del sistema s'intende.
Che l'insieme di queste vicende sia adesso nel circuito dell'informazione pubblica, quella che si può sentire e comprendere senza alcuna mediazione e che è stata immessa nei canali dell'ascolto nazionale, non aiuta minimamente a risolvere il problema. Se è vero quello che sostiene Debord in un libro ormai famoso, La società dello spettacolo[2] <operazione_fn.html>, quando i fatti raggiungono il livello della rappresentazione spettacolare, e diventano notizia, sono già automaticamente merce e si svuotano di ogni potenzialità di rottura. Non disvelano più l'occultamento al quale sono stati sottoposti, e tantomeno sollecitano la rivolta (forse purtroppo neanche più l'indignazione).
Concrezione autorizzata di potere, i servizi segreti ritornano silenziosamente nell'ombra ancora una volta, nella miglior tradizione cinematografica, perchè tracciarne definitivamente la composizione condurrebbe a delle inevitabili domande sul significato e la pertinenza dello Stato così come lo conosciamo adesso, delle ragioni del suo stesso esistere.
Il gruppo Gladio
Nel febbraio 1972 ad Aurisina, vicino a Trieste, i carabinieri della stazione locale scoprono per caso un deposito sotterrato di armi, esplosivo in grossa quantità e materiale bellico vario. Orgogliosamente un giovane capitano dell'Arma si vanta di essere riuscito a mettere le mani su un arsenale di chissà quale banda di delinquenti organizzati e di aver inflitto una pesante sconfitta al crimine dilagante.
Quello che il povero capitano non sa, nè saprà mai se non a distanza di anni, è che in realtà lui ed i suoi uomini avevano involontariamente riportato alla luce uno dei 139 depositi a disposizione del gruppo Gladio, variamente distribuiti ed occultati in punti strategici delle zone per così dire a rischio del territorio italiano. Secondo quanto lo stesso Andreotti confermerà quasi vent'anni dopo, il ritrovamento getta per un momento nello scompiglio i quadri dell'organizzazione, e si decide di rimuovere dalla loro originaria sede tutti i depositi per spostarli in luoghi più sicuri (cioè dentro alle stesse caserme dei carabinieri). C'è da osservare, in aggiunta, che l'esplosivo al plastico ritrovato ad Aurisina è dello stesso tipo di quello usato a Peteano (forse proviene da uno dei 139 depositi sparsi in tutta la penisola) per far saltare la fiat 500 che uccise tre militi dell'Arma nello stesso anno.
Nessuno all'epoca avrebbe mai potuto immaginare quanto, per un istante, ci si fosse avvicinati ad una verità che sarebbe stata tenuta nascosta per molto tempo ancora.
La storia di Gladio era iniziata più di vent'anni prima, quando in un'Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale ed ancora divisa da aspri conflitti politici (i comunisti continuavano a rappresentare un potenziale pericolo per le sorti della nascente repubblica democristiana), si stavano approntando delle strutture operative di controllo in grado di far fronte ad un'eventuale guerra civile. Il passaggio dal modello politico e culturale fascista alla nuova democrazia era stato gestito con grande abilità, reinserendo a poco, a poco gli stessi elementi delle milizie e degli uffici di polizia del vecchio regime in quelli di recente costituzione. Questi stessi funzionari, di cui stiamo raccontando, li ritroveremo poi in tutte le vicende più scabrose degli anni successivi (il questore Guida, ad esempio, a Milano negli anni delle bombe e dell'omicidio Pinelli, era stato il direttore del confino politico fascista di Ventotene).
Nel panorama generale complessivo, inoltre, non sono da dimenticare i rapporti che si andavano costruendo con gli Stati Uniti ed i loro servizi segreti e il Patto Atlantico da poco costituito a difesa del blocco occidentale.
Contemporaneamente alla nascita delle strutture ufficiali dei vari servizi e reparti di informazione, militari e civili, si dava corpo ad un organico ufficioso con compiti ben determinati che andavano dal sabotaggio, alla provocazione, all'azione di guerriglia vera e propria, al mantenimento di stretti rapporti di collaborazione con i settori dell'esercito, della stampa, dei partiti politici e di tutte le istituzioni favorevoli ad una svolta autoritaria verso destra.
Fin dal 1951 il Sifar aveva studiato la possibilità di realizzare una rete clandestina che collegasse in modo omogeneo le strutture militari italiane e quelle degli altri paesi aderenti alla Nato, tenuto conto che nel frattempo erano addirittura note agli stessi servizi attività di questo tipo nell'Italia settentrionale ad opera degli americani. Nel 1956 viene concluso un accordo con il servizio statunitense di difesa militare per organizzare la rete denominata Stay Behind (Stare Dietro). Sono gli anni della direzione Sifar del generale De Lorenzo, attivissimo fino a quasi tutto il decennio successivo culminato nel fallito tentativo di golpe del 1964. Il gruppo Gladio è organizzato in una struttura cellulare rigorosa - fatta apposta per chi deve agire nella completa clandestinità - pensata in maniera tale da impedire agli aderenti di conoscersi tutti tra di loro e nello stesso tempo coordinata da una base operativa unica.
Agli atti della Commissione Stragi esistono documenti[3] <operazione_fn.html> che indicano già per il 1956 un totale di 40 nuclei (di sabotaggio, propaganda, evasione e fuga, guerriglia) e la presenza di quasi un migliaio di persone pronte a mobilitarsi in situazioni considerate di emergenza. Tuttavia non lasciamoci ingannare dalle deposizioni ufficiali, che finiscono per dare l'impressione di un gruppo clandestino fin che si vuole, ma comunque nei limiti di una specie di mal intesa legalità; Gladio è rimasto attivo per un trentennio ed è stato probabilmente presente anche in situazioni insospettabili, se così possiamo dire, a cominciare dalle provocazioni durante scioperi o cortei. L'ufficio Rei, di cui abbiamo parlato, testimonia il colonnello del Sifar Falde alla Commissione parlamentare sulla P2, aveva svolto numerose attività di carattere politico mobilitando gli uomini di Gladio ad esempio - ed è quanto emerge anche dalle indagini di Casson - durante gli scioperi degli edili a Roma, nel 1963. I gladiatori si affiancarono alla polizia indossando tute mimetiche o divise da poliziotto durante il sanguinoso pestaggio dei manifestanti (duecento feriti e la città nel caos).
Ma molte altre ancora devono essere state le occasioni di infiltrazione nei cortei di protesta con lo scopo di alzare il livello dello scontro con le forze dell'ordine democratico. Se a questo vogliamo aggiungere il paziente lavoro di vivacizzazione delle associazioni di destra e delle stesse forze armate, con la parola d'ordine della lotta al comunismo dilagante, il quadro si amplia ulteriormente e ci consente di allargare lo sguardo su una incredibile opera di attivazione di conflitti estesa a tutto il tessuto sociale.
Due anni prima, nel '61, con la Notte dei fuochi, erano cominciati gli attentati attribuiti al terrorismo altoatesino del gruppo Stella Alpina, formazione neo-nazista che operava localmente per creare disordini. Sono gli anni che preparano il progetto di De Lorenzo, passato alla storia come piano Solo, per destabilizzare il governo ed imporre una giunta militare. Il potere del capo del Sifar era all'epoca incredibilmente consolidato, se si pensa che De Lorenzo ed i suoi accoliti occupavano i vertici dell'Arma dei carabinieri e del Sifar; per l'esattezza, comandante generale dell'arma, capo del servizio segreto, capo dell'ufficio D, capo del raggruppamento Centri di controspionaggio di Roma, amministratore del Sifar, capo dell'ufficio Bilancio dell'arma. Nessuna meraviglia, dunque, che in quegli anche il gruppo Gladio funzioni splendidamente ed anzi venga potenziato come struttura più segreta degli stessi servizi.
Il 18 novembre 1965 viene istituito il Servizio informazioni difesa (Sid), che porta per ironia del destino lo stesso nome del servizio segreto della repubblica di Salò, mai entrato in funzione. Il Sid non è oggetto di alcun dibattito parlamentare, nè si decide minimamente quale genere di controlli esercitare su di esso, particolare questo che ci dà un'idea piuttosto chiara di quale fosse l'atmosfera che si respirava in Italia a quei tempi. E' durante la gestione Sid dell'ammiraglio Henke che inizia ciò che è passato alla storia come strategia della tensione, fenomeno che, in realtà, appartiene da sempre alle vicende italiane del dopoguerra, ma che si inasprisce dal '68 in poi, sull'onda della rivolta degli studenti e degli operai. Il 12 dicembre del 1969 scoppia la bomba di Piazza Fontana che devasta i locali della Banca dell'Agricoltura provocando 17 morti e 90 feriti. Comincia a farsi strada l'idea, negli ambienti conservatori, che sia più che mai utile trovare un rimedio ad una situazione di totale anarchia e si invoca un intervento deciso per ristabilire l'ordine.
Si moltiplicano, nel frattempo, mentre la magistratura, la polizia e lo stesso Parlamento mistificano clamorosamente quello che sta avvenendo e coprono tutto quanto è possibile, i campi di addestramento paramilitari voluti dagli stessi servizi con il finanziamento del ministero della Difesa. Era già attivo il centro di capo Marrargiu, in Sardegna, che sotto la guida di tecnici americani addestra personale civile e militare (i gladiatori sono preparati ed indottrinati laggiù). Nel dicembre 1970 Junio Valerio Borghese dà il suo personale contributo alla storia patria e tenta un altro un colpo di Stato rapidamente fatto rientrare; dieci anni più tardi l'istruttoria sarà archiviata definitivamente.
E' il Sid, alla cui guida dal '70 arriva Vito Miceli, che trama con notevole perizia in quegli anni e conduce la sua battaglia contro la sinistra extraparlamentare. Sarebbe un errore, però, considerare l'attività dell'organizzazione Gladio esclusivamente di carattere operativo. I contatti intrattenuti con l'alta finanza italiana, la delinquenza mafiosa e gli ambienti della cultura borghese favorevole ad un atto di forza definitivo per eliminare il comunismo (De Lorenzo aveva fatto schedare qualcosa come 157.000 persone, aderenti al PCI, semplici simpatizzanti, parlamentari, sindacalisti, militanti di gruppi di estrema sinistra) suggeriscono complicità rintracciabili in molti luoghi noti dell'Italia che si dichiarava democratica e antifascista.
La loggia P2, che Gelli crea nel 1971, ne è la controprova: radunare gli esponenti della classe dominante e unire gli sforzi per dichiarare legittimo il potere autoritario del Capitale.
Le azioni stragiste proseguono a ritmo incalzante: nel 1972 Peteano, nel '73 l'attentato davanti alla questura di Roma, dove si sta commemorando la scomparsa del commissario Calabresi, ad opera di Gianfranco Bertoli; nel maggio '74 strage di Brescia, in agosto, sempre a Brescia, attentato al treno Italicus; le bombe, infine, sconvolgono la stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, con 85 vittime.
Lungo tutto il decennio non siamo in grado di contare le provocazioni ed i morti lasciati sulle strade dal Movimento degli studenti, dagli operai e da tutti coloro che si opponevano alla violenza di Stato. Secondo i dati del libro L'orda d'oro[4] <operazione_fn.html> sono più di quarantamila i denunciati, di cui quindicimila passati dalle carceri e quattromila i condannati della vasta amalgama di quanti si schierarono contro la violenza fascista.
La teoria degli opposti estremismi, che i conservatori italiani fanno propria dall'inizio degli anni '70, circolò proprio per colpire la sinistra. Si redassero, a questo scopo, documenti dettagliati che confermavano, nel mentre accennavano fuggevolmente all'eversione nera, l'esistenza di una solida matrice comunista del disordine che complottava per rovesciare il governo. Il prefetto di Milano Mazza o il questore Allitta, ad esempio, furono, su questo argomento, dei veri campionari di menzogne.
Di falsità in falsità, Andreotti in testa quando dichiara nel 1977 alla Procura della repubblica di Roma nell'inchiesta sul golpe Borghese, che nessuna organizzazione di militari o civili può avere compiti istituzionali di carattere politico, si arriva al 1990: il governo comunica alle Camere che il gruppo, o meglio i gruppi clandestini Gladio sono ancora operanti. Bontà sua.
La verità, naturalmente, sta solo nei fatti. E i fatti ci sono e ci sono sempre stati. Ma c'è chi pensa ancora che Gladio sia il nome di una pizzeria del centro o un'antica spada romana. Su tutti costoro un sistema di potere fonda la propria esistenza.
C'è anche chi, come il vecchio Partito Comunista, ha ritenuto di non dover demandare i compiti di un'inchiesta su Gladio alla Commissione Stragi, perchè non necessariamente è dimostrato il collegamento tra l'organizzazione e gli avvenimenti sanguinosi di cui abbiamo parlato.
E' singolarmente chiaro che nella cultura della disillusione e del silenzio sono alcune precise versioni le uniche ad essere ritenute plausibili. Tutto ciò che fa pensare o alimenta il dubbio di vivere immersi in circostanze storiche e sociali completamente diverse da quelle proposte in continuazione dai mass-media, dai persuasori occulti di un sistema di potere inglobante e totale, viene allontanato perchè fonte di angoscia. Il recupero delle vicende di quest'ultimo ventennio, prima che sia definitivamente strappato dalla memoria collettiva, è una delle strade possibili per ritracciare un percorso deviato più volte. La storia delle lotte degli anni che ci hanno preceduto, e che miravano ad una riappropriazione complessiva di un intero sapere orribilmente trasformato nelle mani di pochi vanno, nei limiti di quanto sarà possibile, raccontate ancora a tutti quelli che vorranno ascoltare.
L'esistenza del gruppo Gladio non è estranea alle prove di forza che un po' ovunque molti hanno dovuto subire, nonostante la sedicente democrazia. Gli uomini arruolati svolgevano e svolgono forse ancora la funzione di vigilare con attenzione su ogni presunta devianza, intervenendo a normalizzare e ad uccidere.
E' importante comprendere bene questo aspetto dell'intera vicenda: i perseguitati erano e saranno sempre le minoranze che si oppongono al processo capitalista nei suoi mille aspetti e al potere che esso esercita ormai senza limiti sulla e nella società. La teoria delle deviazioni dei servizi mette in risalto la sua vena schiettamente riformista quando si fa promotrice di grandi campagne democratiche per la trasparenza delle istituzioni.
Ma non ci sono più fremiti nel sociale, soltanto cupa attesa di un processo di rinnovamento inesistente nelle condizioni attuali. Le dinamiche della produzione totale assorbono in se stesse anche la quotidianità, l'onda di riflusso diventa marea.
L'affare Gladio, la fitta rete di terrore e di violenza che corre lungo il filo di così tanti anni, entra all'improvviso nella visibilità del mezzo televisivo, nella cronaca dei giornali. E' Andreotti in persona a darne le prime notizie. A questo punto si apre una serie di interrogativi che costituisce, indubbiamente, uno degli elementi più importanti per mettere a fuoco i diagrammi indecifrabili delle attuali relazioni di potere in Italia e nell'intera Europa. Cos'è successo di tanto importante, o di tanto grave, da consentire di bruciare (per usare il gergo dei servizi) la banda Gladio e di scatenare feroci polemiche dentro e fuori la compagine governativa?
Qualcuno, e può essere la risposta più plausibile, ha avanzato l'ipotesi di una transizione a nuove forme costituzionali. La repubblica presidenziale diventa la risposta al complessivo riassetto degli equilibri internazionali, in particolar modo dinanzi a quanto è accaduto all'Est e soprattutto in Germania. I governi intendono rafforzare ancora la loro posizione di controllo mentre in concreto si assiste alla scomparsa di ogni voce contraria al grande capitale. Si riaffaccia l'ideologia dello Stato forte, questa volta pubblicamente incline ad una composizione delle strategie con l'area del privato, dalla multinazionale alle aziende che comunque producono servizi integrabili con quelli statali. La forma Stato si riduce progressivamente ad un'espressione pura e semplice del Capitale totale ed è abbastanza logico che la funzione di governo scompaia rapidamente accentrando tutto nelle mani di una sola figura esecutiva, il presidente appunto.
Naturalmente, proprio come negli Stati Uniti, esiste, in una repubblica presidenziale, un gioco dei poteri che va oltre la figura pura e semplice del primo cittadino incaricato di assumere la guida del paese, ed è indiscutibile che una verticalizzazione del genere risolve infiniti problemi. I gruppi di pressione più o meno occulti, di carattere finanziario e decisionale o schiettamente operativi dal punto di vista politico, hanno in questo contesto vita facile.
Alla repubblica presidenziale non siamo ancora arrivati; ma è giocoforza ammettere che, una volta tramontato il decennio craxiano, sulla scia della frattura aperta da Tangentopoli nelle classi dirigenti, abbiamo assistito a radicali mutamenti degli assetti costituzionali. Dalla discesa nell'agone politico di Berlusconi fino alla recente presa del potere ad opera di Massimo D'Alema, non si può negare che le trasformazioni radicali della politica abbiano segnato il passo all'Europa di Maastricht. Per arrivare dove non è oggetto di queste riflessioni. La storia di Gladio declina semplicemente il racconto di uno dei tanti misteri del Sistema Occulto.
Resta certo, o abbastanza certo se preferite, che tutto sembra cambiare perchè nulla cambi veramente e l'invasione progressiva della realtà da parte dell'intrusiva, ultima economia di mercato non lascia spazio che alla celebrazione del profitto.
Si è stabilita una drammatica spaccatura tra la massa ed i pochi che la controllano, tra i lavoratori e quelli che usano del loro lavoro, in una situazione di sfruttamento non più delimitata dalla fabbrica come contesto fisico degli abusi del Capitale, ma allargata capillarmente ovunque; anche dove non era stato possibile arrivare fino a qualche tempo prima, a dimostrazione del fatto che i muri - quello di Berlino ne è esemplificazione drammatica e allo stesso tempo evidenza assoluta - cadono soltanto quando è arrivato il momento di farli cadere.

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