Attentato a Prodi, da giorni era un bersaglio.
Una busta tra le tante, ferma sul tavolo in mezzo ai biglietti con gli auguri, ai libri omaggio delle banche, alle altre carte natalizie. Sono passate da poco le 18 quando Romano Prodi, solo nel suo studio, decide di aprire quel pacco, arrivato da alcuni giorni. Prima legge il timbro postale , Bologna 22 dicembre, poi il mittente: “Circolo Dozza, piazza Maggiore 3”. Forse si insospettisce, qualunque bolognese sa che quell’indirizzo è inesistente. Prodi decide lo stesso di aprire la busta destinata a Flavia Franzoni, sua moglie, tenendola lontano dalla faccia. Immediatamente si sprigiona una fiammata che lambisce il soffitto e brucia il tappeto. Il presidente della Commissione Ue è incolume, l’ordigno era studiato per far male, molto male, ma forse non per uccidere. Nessuno controllava la corrispondenza del professore dopo che, domenica scorsa, due bombe avevano incenerito altrettanti cassonetti della spazzatura, a cinquanta metri dalla sua abitazione. Quando Prodi era presidente del Consiglio, questo compito era affidato a un artificiere, ma l’attentato di domenica non aveva fatto scattare ulteriori check-up. Del resto le bombe, secondo quanto ha dichiarato due giorni fa il ministro Pisanu, erano per la polizia, Prodi non veniva citato nel documento diffuso dal Viminale. Se la trappola scattata ieri sera non ha prodotto effetti gravi è perché qualcuno molto vicino al presidente gli aveva consigliato di maneggiare con cura i plichi e di adottare alcune precauzioni nell’aprirli.
Per la seconda volta in meno di una settimana Bologna ha riassaporato la paura dei giorni in cui Marco Biagi cadeva sotto il piombo delle Br. Questa volta l’attacco non è al cuore dello Stato, ma a quello dell’Unione europea, accusata dagli anarcoinsurrezionalisti di perfezionare «le nefandezze delle scelte politiche, economiche, militari/repressive» delle singole nazioni. Lo stesso documento, recapitato quattro giorni fa alla redazione bolognese di un quotidiano nazionale, avvertiva Prodi che «stava iniziando la manovra di avvicinamento a lui e ai suoi simili». L’arma usata non è una pistola, ma un mucchio di polvere nera infilata in un libro di D’Annunzio, “Il Piacere”, collegata a una batteria e azionata dall’anima metallica di una molletta da bucato: lo strappo della busta ha fatto scattare il contatto, provocando la fiammata.
Via Gerusalemme, la strada in cui abita Prodi, si riempie di gente. Il primo ad arrivare è il questore Marcello Fulvi, lo segue di pochi minuti il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, unico esponente del centrodestra ad aver manifestato solidarietà a Prodi dopo l’attentato di domenica scorsa. «Indipendentemente dalle battaglie politiche, dalle competizioni che vi sono - dice ai cronisti - deve essere chiaro che questi atti di intimidazione vengono isolati dall' opinione pubblica tutta. Naturalmente non bisogna abbassare la guardia,perchè il terrorismo ha dimostrato proprio in questa città di essere ancora vivo e vitale». Arriva per una breve visita anche il sindaco di Bologna, Giorgio Guazzaloca, che ai cronisti dice solo: «Prodi sta bene». Verso le 20 arriva Sergio Cofferati, che si trattiene a cena con Prodi insieme al sindaco di Reggio Emilia, Antonella Spaggiari. Tra i primi ad arrivare c’è anche il procuratore aggiunto Luigi Persico.
La matrice dell’attentato, confermano gli inquirenti, è quella anarcoinsurrezionalista. C'è una forte analogia con i plichi bomba e la pentola esplosiva-trappola piazzata vicino alla questura di Bologna del luglio 2001, nei giorni del G8 di Genova. «La metodologia costruttiva, innanzitutto - spiega un inquirente - ricorda i plichi esplosivi del 2001: ad esempio in entrambi i casi c' è una molletta che fa parte del meccanismo. E c' è la stessa scansione: allora i plichi vennero preceduti dalla pentola-bomba collocata vicino alla questura, questa volta il plico è stato preceduto dai due cassonetti esplosi domenica scorsa».
Il pacco contenene il libro di D' Annunzio è stato spedito da Bologna,verosimilmente la sera stessa in cui sono esplosi i cassonetti. Anche nel 2001 i plichi esplosivi partirono da Bologna, quasi in contemporanea al fallito attentato con la pentola. Le buste esplosive arrivarono al Tg4 a Milano, alla Benetton di Treviso e ad una caserma dei Carabinieri di Genova. Da Bologna erano partite anche le lettere che segnalavano la presenza di una bicicletta in via Terribilia, a pochi metri dalla Questura, con droga dentro il bauletto. Era una trappola. L'esplosivo, compresso in una pentola a pressione, era collegato alla lampo di una borsa. L’apertura avrebbe fatto saltare l' ordigno, con effetto probabilmente letale per chi fosse intervenuto senza cautele. Il questore, insospettito, mandò gli artificieri e la bomba venne disinnescata. Il mancato attentato fu rivendicato dalla “Cooperativa artigiana fuochi e affini”. La stessa sigla è stata utilizzata per rivendicare i cassonetti esplosivi vicino a casa di Prodi.
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