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L'ordigno, in una borsa frigo, trovato nel camminamento delle terrazze da un impiegato
Milano, la bomba in Duomo e ora è allarme terrorismo Era pronta per esplodere alle 3 di notte Amato ha convocato i vertici della polizia
di PIERO COLAPRICO MILANO - La palizzata è alta poco più di un metro e settanta, lunga una decina di metri, c'è una scopa sporca e umida, più in là uno straccio che la pioggia ha quasi liquefatto. E là c'è anche una vecchia borsa hippy. Una specie di trasandato, ma forse non casuale, residuo degli anni '70. Qualcuno, ieri mattina, l'ha sistemata in questo angolo di Duomo, sul tetto, tra il quarto e il terzo ordine di guglie, sul lato di fronte alla Rinascente. Un nascondiglio non scelto male.
Turisti e custodi non possono notare la borsa, passando lungo i percorsi previsti dalla visita ai luoghi aperti al pubblico. Se ne accorge casualmente un operaio, che era andato a scrostare smog dai marmi preziosi. Chissà cosa pensava ci fosse dentro, quando, poco prima della pausa di pranzo, si avvicina, per prenderla, e però nota i fili elettrici. Via i fedeli dagli altari, via i turisti dalle guglie: quando alle 11.50 arriva la telefonata del capo dei custodi al 113 e scatta l'allarme, dentro restano solo detective e artificieri.
Non lavorano molto, per disinnescare il contenitore da frigo "farcito" di esplosivo. C'è un chilo di materiale - forse polvere nera Vulcan 03, forse gelatina del tipo usato nelle lettere-bomba che vengono spedite sia in Italia che in Spagna - racchiuso in un cubo di plastica opaca, con ovatta sotto il coperchio. I fili collegano la bomba a un timer artigianale ed efficiente, tarato sulle 24 e non sulle 12 ore, la lancetta impostata sulle tre di notte.
È stato facile rendere inerte il pacco micidiale, ma se uno gira la testa e guarda in alto, non può non notare, nella giornata di sole, la statua d'oro della Madonnina. Si capisce, senza essere artificieri, che lo scoppio della bomba, alle tre di notte, non l'avrebbe raggiunta, ma certamente illuminata molto più di quanto fa il solito faro. E le macerie sarebbero precipitate nella piazza. "Non volevano colpire persone", spiega il questore Giovanni Finazzo. Ma danni, a una settimana dal Natale, il Duomo ne avrebbe avuti.
Ieri sera c'è stato un colloquio di un'ora tra il presidente del Consiglio Giuliano Amato e il capo della Polizia, Gianni De Gennaro. Poco prima a Palazzo Chigi si era recato anche il responsabile del Cesis Ferdinando Masone. Per il Viminale si tratta di "un episodio grave e da non sottovalutare". Anche se questa bomba non è scoppiata nella realtà, deflagra nelle dichiarazioni di un'ansiogena giornata politica. E gli investigatori fanno di tutto per imporre il silenzio e custodire qualche dettaglio, qualche particolare noto solo agli attentatori per separare la rivendicazione "vera" dalle tante telefonate e lettere di mitomani.
Nessun investigatore pensa che l'indagine si possa chiudere a breve, vengono smentite seccamente le voci di un fermo, o dell'identikit di un giovane, e non esistono indizi, se non la borsa datata e il suo contenuto esplosivo. Pare che sia stata preservata per il lavoro della Scientifica la zona dell'attentato sventato grazie alla curiosità di un lavoratore e in questura non si nasconde la soddisfazione per aver trovato tutto integro. In più, esiste il bagaglio di esperienza e informazioni acquisito dal pm Stefano Dambruoso e dai suoi investigatori durante la lunga teoria di attentati che ha funestato Milano. Dai loro dossier, pezzo dopo pezzo, sta emergendo una struttura terroristica internazionale, una specie di banda europea, con vertici italo-spagnoli.
Spetterebbero a questa banda almeno altre tre tappe milanesi che hanno preceduto l'attacco di ieri al Duomo. La prima risale all'estate '98, quando non scoppiano le lettere-bomba inviate a politici, magistrati, giornalisti e un carabiniere della periferia di Milano dopo la tragica morte degli "Squatters" torinesi. Seconda tappa, due bombe sempre a Milano, e nemmeno queste esplodono, nell'ottobre '99, rivendicate "Solidarietà Internazionale". Terza tappa, 28 giugno 2000, Basilica di Sant'Ambrogio, due bottiglie incendiarie che sarebbero dovute esplodere durante la messa-cerimonia per la polizia penitenziaria. La rivendicazione è ancora "Solidarietà internazionale".
(19 dicembre 2000)
repubblica.it
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