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rassegna stampa acciaierie terni 01/02 e 02/02
by rassegna stama Wednesday, Feb. 04, 2004 at 4:26 PM mail:  

rassegna stampa 01/02/04 02/02/04

01/02/04

LIBERAZIONE

La Thyssenkrupp ha sempre penalizzato l'impianto italiano. Anche per la forza del sindacato tedesco
Ast di Terni, le colpe del padron


Perdere il lavoro quando si ha la sicurezza di essere i migliori nel proprio campo fa ancora più male. Uno dei fattori che hanno portato alla sollevazione degli operai dell'acciaieria di Terni sta proprio qui: nessuno è disposto ad accettare passivamente una soluzione calata dai piani alti e presa dalle stesse persone che sono le uniche responsabili della situazione attuale. Ancora una volta, insomma, è il dipendente a pagare le colpe del padrone.
Per cercare le cause che hanno portato l'Ast di Terni a rischio chiusura è sufficiente tornare al 1 aprile 2002, quando Thyssenkrupp decide lo scorporo del settore magnetico da quello dell'acciaio inossidabile e la parallela creazione della Tkes, una società nuova, ma sempre controllata dalla casa madre, sotto la cui tutela finisce l'Ast. Il primo effetto di questo riassetto è la cessione di 140mila tonnellate di acciaio a grano non orientato all'acciaieria di Bochum, in Germania, con la motivazione dei minor costi per la lavorazione a caldo previsti dallo stabilimento tedesco. In realtà, la differenza di costi è nulla, essendo lo stabilimento ternano più economico per la lavorazione a freddo; inoltre quel tipo di acciaio permetteva la massima efficienza per tutto il ciclo di produzione dell'Ast. Ma in quel momento il polo tedesco era in difficoltà e il trasferimento è stato un vero toccasana. Per Terni, invece è stato un colpo basso.
Per correre ai ripari i dirigenti tedeschi hanno messo sul piatto la promessa di creare in Umbria il polo di eccellenza per la lavorazione dell'acciaio a grano orientato, più ricco perché a maggior mercato, accompagnata da 90mila tonnellate del materiale e dal preventivo di investimenti pari a 6 milioni di euro. Alle parole però non sono corrisposti i fatti: con la scusa dell'eccellenza dei prodotti, il prezzo di vendita ai clienti viene fissato ad un livello molto maggiore del prezzo di mercato e i centri di servizio, strutture intermediarie che acquistano il bene dal produttore e lo smistano poi sul mercato, venivano saltati a piedi pari, con l'intento non dichiarato di metterli in difficoltà fino ad incorporarli a basso costo. Ma sia i clienti che i centri di servizio sono prontamente corsi ai ripari, andando a cercare nuovi fornitori in Russia. D'altronde perché pagare cifre astronomiche per un prodotto che, seppur eccellente, mi offre lo stesso servizio di un altro, meno valido ma altrettanto funzionale? Il risultato più scontato di questa gestione è il crollo del mercato, prontamente verificatosi a fine 2002. E quale dei 4 stabilimenti (Bochum, Terni, Isberques e Gelsenkirchen) viene scelto per il sacrificio? Ovviamente quello italiano, il più lontano dalla casa madre.
Ma non è solo la lontananza la base di questa decisione: nel frattempo la Germania esce distrutta da un'indagine conoscitiva sulla propria economia, tanto da essere a rischio sanzioni per il mancato rispetto dei patti di Maastricht e di conseguenza il governo di Schroeder dà l'input di favorire le esportazioni. Ora, l'Italia presenta uno dei mercati più floridi per l'acciaio a grano non orientato e per quello a grano orientato, con una richiesta rispettivamente di 250mila e 100mila tonnellate: con la probabile chiusura degli stabilimenti della Tyssenkrupp in Italia, i clienti saranno costretti ad importare i prodotti dalla Germania. Il dubbio che la volontà del gruppo tedesco sia proprio quella di abbandonare la produzione italiana non può non venire se già si parla di un rischio chiusura per lo stabilimento di Torino da qui ad un anno, mentre dal 2007 sarà attivo il nuovo polo, fotocopia di quello ternano, che la multinazionale sta costruendo in Cina, stesso anno della pianificata chiusura anche del settore dell'acciaio inossidabile dell'Ast. Non si spiega altrimenti perché gli stabilimenti francese e tedeschi siano stati privilegiati nonostante i loro maggiori costi di produzione e le maggiori difficoltà logistiche: mentre a Terni il ciclo di produzione è svolgibile in siti vicini tra loro, in Germania ogni passaggio della lavorazione dell'acciaio magnetico ha un proprio stabilimento, anche molto lontano dalla destinazione successiva. Ma per dimostrare la non redditività dell'impianto ternano, i dirigenti hanno anche venduto per mesi ad un cliente lo stesso materiale, proveniente da tutti e tre i Paesi, ma con prezzi differenti: 1.150 euro a tonnellata per quello tedesco, 1.050 euro per quello francese e 850 per quello italiano; sommando e facendo la media, al cliente risulta un prezzo di mercato, comunque conveniente, ma al momento di ridistribuire i capitali, Terni veniva inevitabilmente penalizzata.
D'altronde, il gioco per la Tyssenkrupp è semplice: se infatti nel 1994, anno dell'inizio della privatizzazione, la multinazionale si era limitata ad avere il 51% della proprietà (proprio per non avere il monopolio che avrebbe potuto provocare grane legali) ed il restante 49% era in mano a 2 imprenditori italiani, adesso la multinazionale è rimasta padrona assoluta dell'Ast. Neanche le rappresentanze sindacali hanno vita facile: in Germania il sindacato fa parte del Cda dell'azienda ed ha quindi potere decisionale, e quello che viene deciso in patria deve valere per tutte le filiali mondiali, senza possibilità di trattare con le parti sociali. Ecco perché finora, dalla vicenda Ast le istituzioni locali ed i sindacati ne sono usciti con le ossa rotte.
Andrea Milluzzi



IL MESSAGGERO

L’INTESA TRADITA
Terni
ERA una mattina del dicembre 1994. Sulla palazzina della direzione delle acciaierie venne issata la bandiera tedesca. «Fu uno choc», dice Mario Giovannetti, allora segretario generale della Camera del lavoro. Più d’uno, fra i dipendenti e la gente di Terni, vide in quella cerimonia un segnale di conquista e un pessimo auspicio per il futuro. Terni era destinata a perdere la sua fabbrica? E’ la stessa domanda che si pone oggi l’intera città, dopo l’annuncio della multinazionale tedesca Thyssen Krupp di trasferire nei suoi stabilimenti in Francia e in Germania la produzione dell’acciaio magnetico. Cancellando almeno 800 posti di lavoro, compresi quelli dell’indotto. Ma oltre al trauma di questa amputazione, certo non indolore per l’economia di una città con poco più di centomila abitanti, si teme che i tedeschi prima o poi possano decidere di trasferire anche la produzione dell’acciaio inossidabile, quindi di abbandonare Terni. Non ci si fida più di loro. Il sindaco Paolo Raffaelli, diessino, parla di «tradimento».
La Krupp, che successivamente si fuse con la Thyssen, rilevò dieci anni fa le acciaierie ternane dall’Iri insieme con un gruppo di industriali italiani (Agarini, Falck e Riva) che, però, via via si sfilarono dalla società. «Con i tedeschi le cose – racconta Raffaelli non sono andate affatto male: hanno realizzato 1.500 miliardi di utili ma ne hanno reinvestiti 1.000. Si sono assunti i loro impegni e li hanno rispettati. E rapidamente hanno perso l’iniziale diffidenza nei confronti dei lavoratori italiani. Spesso, in questi anni, mi hanno detto che non si aspettavano di trovare una manodopera così tranquilla e laboriosa». Così fino alla decisione dei giorni scorsi, che non appare giustificata – secondo l’opinione di tutti – né dai livelli di produttività, né da ragioni di mercato, né dalla qualità del prodotto, e neppure dai costi. Un «tradimento», appunto.
Ben diversamente le cose stavano negli anni Ottanta: si era infatti in presenza di una crisi mondiale dell’acciaio. E ben diversi furono i comportamenti dell’azienda: «Ci fu, sì, la perdita di 2.000 posti di lavoro alla Terni, con gli inevitabili conflitti. Ma fu graduale e avvenne in modo non troppo traumatico, attraverso il blocco del turn over e il trasferimento di lavoratori in altri settori e in altre aziende». Chi parla è Guido De Guidi, ex senatore dei cristiano-sociali, dipendente della Terni dal 1974 al 1982.
La vicenda di questi giorni presenta semmai analogie con la ristrutturazione del 1953. Dall’oggi al domani furono cacciati 3.000 lavoratori. In città scoppiò la rivolta. Fu grazie a un mitico segretario della Fiom ternana, Menichetti, se non sfociò in tragedia. «Durante i tumulti, salì su una camionetta della “celere” – racconta Giovannetti e andò in giro invitando lavoratori e cittadini alla calma».
Non siamo per il momento in una situazione così incandescente. La rabbia dei lavoratori della Terni si è manifestata nei giorni scorsi in blocchi stradali e in un lancio di pasticcini. Insieme con lo spumante li aveva portati il signor Wolfgang Trommer, presidente del Comitato esecutivo della Tkes (la società della Thyssen Krupp cui è stata conferita la produzione dell’acciaio magnetico), all’incontro di giovedì con le delegazioni dei sindacati e delle istituzioni. Forse pensava di comunicare l’irrevocabile decisione di chiusura e poi fare un brindisi, come si usa in America. Gli operai si sono impadroniti della pasticceria “mignon” e il massiccio signor Trommer è diventato un bersaglio, a stento protetto dal sindaco Raffaelli che ci ha rimesso un vestito.
Tuttavia la situazione rischia di esplodere. Anche per il particolare rapporto della città con la sua fabbrica. Terni è infatti cresciuta grazie all’acciaieria: nel 1884, quando gli stabilimenti entrarono in funzione, era solo un “paesone” di 15.000 abitanti. La fabbrica ha plasmato Terni, trasferendo nelle famiglie – di generazione in generazione – i valori di solidarietà, di convivenza civile, di rispetto per il lavoro che sono tipici della classe operaia. Certo, ultimamente, le cose sono cambiate: se quindici anni fa tre famiglie su quattro vivevano del lavoro in fabbrica, oggi tre su quattro vivono di terziario. Quel rapporto non è così intenso come un tempo, ma senz’altro è ancora forte. Per cui si può affermare che la città sostiene compatta la lotta per la Terni.
Ne è la riprova, in queste ore, il pellegrinaggio dinanzi ai picchetti dei lavoratori, che bloccano a oltranza l’uscita dei materiali dagli stabilimenti. Ragazzi delle scuole, anziani e meno anziani ex dipendenti della Terni e tanti altri cittadini hanno voluto testimoniare la loro solidarietà ai lavoratori. Molti hanno portato caffè, bevande, cibo. Anche pasticcini, che però – in questo caso – gli operai intirizziti dal freddo hanno avidamente gustato.

IL MESSAGGERO2

Martedì a Palazzo Chigi incontro con il governo, venerdì sciopero generale contro la chiusura dell’impianto che produce acciaio magnetico

Acciaierie Terni, si mobilita la Regione
Dal sindaco ai giocatori del Perugia: l’Umbria si stringe intorno ai lavoratori


TERNI Gli operai delle acciaierie ternane sono tornati ieri mattina al lavoro. Hanno cominciato quelli del turno delle 6. Due ore di sciopero alla fine di ogni turno, le portinerie ancora bloccate. Passa solo la merce in entrata, camion e vagoni ferroviari pieni zeppi di rottame di ferro, la materia prima per la produzione di acciaio. Lavorano anche i 450 dipendenti dello stabilimento dell’acciaio magnetico, quello che la Thyssen Krupp, proprietaria del polo siderurgico ternano, ha annunciato di voler chiudere.
Una giornata di calma. Senza dimostrazioni eclatanti. Ci si prepara per la prossima settimana. Per martedì, quando a Palazzo Chigi ci sarà l’incontro col Governo; e per venerdì quando tutto il Ternano si fermerà per lo sciopero generale in difesa di circa ottocento posti di lavoro (vanno considerati quelli dell’indotto) e, in prospettiva, di una fabbrica che è in simbiosi con la città da centoventi anni.Si annuncia come una giornata di grande mobilitazione, quella dello sciopero generale. Terni scenderà per l’ennesima volta in piazza in difesa della sua fabbrica e della sua economia. E con Terni ci sarà tutto il resto dell’Umbria.
Le istituzioni si stanno organizzando, sono già scese in campo, mentre Rifondazione Comunista annuncia la partecipazione di Fausto Bertinotti; mentre i Ds fanno sapere che Piero Fassino incontrerà i lavoratori mercoledì mattina; mentre si annunciano collegamenti con questo o quel programma televisivo: da quelli di informazione a quelli di intrattenimento.
Ci saranno anche i sindaci di gran parte dei novantatré comuni dell’Umbria, alla manifestazione di venerdì prossimo. L’invito lo ha avanzato Renato Locchi, il sindaco di Perugia. E subito c’è stata l’adesione di quello di Orvieto, Stefano Cimicchi, che è presidente dell’Anci regionale, di quelli di Norcia e Spoleto; del presidente della Provincia di Perugia.
Si superano, in un’occasione come questa, anche vecchi e consistenti steccati: la rivalità di campanile tra Terni e Perugia che trova la sua espressione più ”alta”, come sempre accade, nel cuore delle tifoserie calcistiche. Ebbene, ieri i tifosi del Perugia hanno espresso la solidarietà ai colleghi ternani: «Vi siamo vicini», «la vostra lotta è anche la nostra», «Organizziamo una manifestazione allo stadio Curi prima di Perugia-Parma», hanno scritto sui siti internet.
«Mai come ora Perugia è stata vicina a Terni», ha affermato il sindaco di Perugia, Renato Locchi.
Solidarietà di tutta l’Umbria, ma non la solidarietà che si dà al parente povero. E’ la solidarietà di chi sa come spiega il sindaco di Perugia «che una perdita così pesante di produzione industriale e di occupazione non resterebbe un problema isolato, ma coinvolgerebbe nei suoi effetti tutto il tessuto produttivo e la realtà sociale regionale. La Thyssen Krupp, il governo italiano e le autorità europee sappiano di non avere di fronte la protesta di una città, ma di tutte le città umbre».
Ieri a Terni una sola manifestazione: quella degli studenti. Una manifestazione spontanea, organizzata alla svelta: duecento giovani sono andati a portare la loro solidarietà ai lavoratori in lotta.
Stamattina c’è l’iniziativa di mobilitazione promossa dal vescovo di Terni Vincenzo Paglia: una messa alle 12 in cattedrale, alla presenza di una delegazione dei lavoratori delle acciaierie. Ed una preghiera ad hoc, che si dirà in tutte le chiese. «Signore, molte nostre famiglie, i nostri figli sono in pericolo per la mancanza di lavoro: aiuta coloro che possono, a trovare soluzione al grave problema delle nostre acciaierie». Così recita.

IL MESSAGGERO 3

Si rompe il feeling con i tedeschi, pasticcini in faccia ai manager Krupp

vide in quella cerimonia un segnale di conquista e un pessimo auspicio per il futuro. Terni era destinata a perdere la sua fabbrica? E’ la stessa domanda che si pone oggi l’intera città, dopo l’annuncio della multinazionale tedesca Thyssen Krupp di trasferire nei suoi stabilimenti in Francia e in Germania la produzione dell’acciaio magnetico. Cancellando almeno 800 posti di lavoro, compresi quelli dell’indotto. Ma oltre al trauma di questa amputazione, certo non indolore per l’economia di una città con poco più di centomila abitanti, si teme che i tedeschi prima o poi possano decidere di trasferire anche la produzione dell’acciaio inossidabile, quindi di abbandonare Terni. Non ci si fida più di loro. Il sindaco Paolo Raffaelli, diessino, parla di «tradimento».
La Krupp, che successivamente si fuse con la Thyssen, rilevò dieci anni fa le acciaierie ternane dall’Iri insieme con un gruppo di industriali italiani (Agarini, Falck e Riva) che, però, via via si sfilarono dalla società. «Con i tedeschi le cose – racconta Raffaelli non sono andate affatto male: hanno realizzato 1.500 miliardi di utili ma ne hanno reinvestiti 1.000. Si sono assunti i loro impegni e li hanno rispettati. E rapidamente hanno perso l’iniziale diffidenza nei confronti dei lavoratori italiani. Spesso, in questi anni, mi hanno detto che non si aspettavano di trovare una manodopera così tranquilla e laboriosa». Così fino alla decisione dei giorni scorsi, che non appare giustificata – secondo l’opinione di tutti – né dai livelli di produttività, né da ragioni di mercato, né dalla qualità del prodotto, e neppure dai costi. Un «tradimento», appunto.
Ben diversamente le cose stavano negli anni Ottanta: si era infatti in presenza di una crisi mondiale dell’acciaio. E ben diversi furono i comportamenti dell’azienda: «Ci fu, sì, la perdita di 2.000 posti di lavoro alla Terni, con gli inevitabili conflitti. Ma fu graduale e avvenne in modo non troppo traumatico, attraverso il blocco del turn over e il trasferimento di lavoratori in altri settori e in altre aziende». Chi parla è Guido De Guidi, ex senatore dei cristiano-sociali, dipendente della Terni dal 1974 al 1982.
La vicenda di questi giorni presenta semmai analogie con la ristrutturazione del 1953. Dall’oggi al domani furono cacciati 3.000 lavoratori. In città scoppiò la rivolta. Fu grazie a un mitico segretario della Fiom ternana, Menichetti, se non sfociò in tragedia. «Durante i tumulti, salì su una camionetta della “celere” – racconta Giovannetti e andò in giro invitando lavoratori e cittadini alla calma».
Non siamo per il momento in una situazione così incandescente. La rabbia dei lavoratori della Terni si è manifestata nei giorni scorsi in blocchi stradali e in un lancio di pasticcini. Insieme con lo spumante li aveva portati il signor Wolfgang Trommer, presidente del Comitato esecutivo della Tkes (la società della Thyssen Krupp cui è stata conferita la produzione dell’acciaio magnetico), all’incontro di giovedì con le delegazioni dei sindacati e delle istituzioni. Forse pensava di comunicare l’irrevocabile decisione di chiusura e poi fare un brindisi, come si usa in America. Gli operai si sono impadroniti della pasticceria “mignon” e il massiccio signor Trommer è diventato un bersaglio, a stento protetto dal sindaco Raffaelli che ci ha rimesso un vestito.
Tuttavia la situazione rischia di esplodere. Anche per il particolare rapporto della città con la sua fabbrica. Terni è infatti cresciuta grazie all’acciaieria: nel 1884, quando gli stabilimenti entrarono in funzione, era solo un “paesone” di 15.000 abitanti. La fabbrica ha plasmato Terni, trasferendo nelle famiglie – di generazione in generazione – i valori di solidarietà, di convivenza civile, di rispetto per il lavoro che sono tipici della classe operaia. Certo, ultimamente, le cose sono cambiate: se quindici anni fa tre famiglie su quattro vivevano del lavoro in fabbrica, oggi tre su quattro vivono di terziario. Quel rapporto non è così intenso come un tempo, ma senz’altro è ancora forte. Per cui si può affermare che la città sostiene compatta la lotta per la Terni.
Ne è la riprova, in queste ore, il pellegrinaggio dinanzi ai picchetti dei lavoratori, che bloccano a oltranza l’uscita dei materiali dagli stabilimenti. Ragazzi delle scuole, anziani e meno anziani ex dipendenti della Terni e tanti altri cittadini hanno voluto testimoniare la loro solidarietà ai lavoratori. Molti hanno portato caffè, bevande, cibo. Anche pasticcini, che però – in questo caso – gli operai intirizziti dal freddo hanno avidamente gustato.




INUMBRIAONLINE

Terni, settimana decisiva per il futuro delle acciaierie

Martedì l’incontro a Palazzo Chigi con il governo, venerdì lo sciopero generale cittadino. Tutta la regione solidale con i lavoratori. Anche la Chiesa a fianco degli operai

La vertenza acciaio entra nella fase cruciale. Quella che si apre lunedì sarà con ogni probabilità la settimana decisiva per il futuro delle acciaierie ternane dopo la paventata decisione della Tyssen Krupp di sospendere la produzione nello stabilimento del reparto magnetico e la relativa perdita di quasi 900 posti di lavoro. Una vicenda che sta assumendo connotazioni europee per l'importanza del presidio ternano, unico in Italia di questo genere, e per la portata socio-economica di un comparto che ha segnato in maniera indelebile la storia del secondo capoluogo umbro.

Il primo delicato passaggio istituzionale è in programma martedì a Palazzo Chigi, dove si svolgerà l’incontro tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta ed i rappresentanti delle istituzioni umbre e dei sindacati.

Altro momento cruciale della lotta sarà lo sciopero generale cittadino programmato dai sindacati per venerdì 6 febbraio in difesa degli oltre 900 posti di lavoro che potrebbero essere cancellati dalla decisione della multinazionale tedesca.

Tutta la regione solidale con i lavoratori
Si allarga di ora in ora la mobilitazione e gli attestati di solidarietà in favore delle maestranze dell'Ast di Terni.
Una solidarietà morale, politica e sociale, che viene da istituzioni, semplici cittadini, studenti, alla quale il vescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia, e il sindaco, Paolo Raffaelli, , in un appello congiunto, hanno chiesto di affiancare la solidarietà “concreta”: monsignor Paglia e Raffaelli, vice presidenti della Fondazione San Valentino, hanno deciso, che la dotazione economica del Premio San Valentino 2004, pari a 15 mila euro, sarà devoluta alle rappresentanze sindacali dei lavoratori dell'Ast.

Contro la paventata chiusura del magnetico si schiera apertamente il coordinatore regionale dei presidenti dei Consigli comunali dell'Umbria, Marco Vinicio Guasticchi, che ha invitato tutti i colleghi della regione a mobilitarsi ed esseri vicini agli operai, ai sindacati e alle istituzioni in questa delicata settimana per il futuro dell'Ast di Terni.

TERNINEWS

Ast: per Micheli va aperto un ''contenzioso'' con la Germania

Sulla vicenda dell'Ast la cui chiusura e' stata annunciata dalla Thyssen Krupp, va aperto un ''contenzioso'' con la Germania. Lo sostiene il deputato della Margherita Enrico Micheli, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio. ''Il comportamento dei tedeschi - afferma Micheli - e' stato inqualificabile, arrogante, anzi peggio: brutale. Ci hanno presentato una loro scelta senza spiegare in quali strategie aziendali dovrebbe inserirsi e senza offrire alcuna alternativa: un diktat. Non hanno neppure informato il nostro ministro delle Attivita' produttive. Il governo italiano deve intervenire e fare la voce grossa''. Secondo il parlamentare, l'iniziativa del governo italiano sarebbe ''legittimata non solo dalla necessita' di salvaguardare i posti di lavoro delle acciaierie Ternima anche quella di impedire un danno al nostro Paese, visto che l'Italia acquista il 60% dell'acciaio magnetico prodotto in Europa, utilizzato per realizzare i 'lamierini' dei trasformatori elettrici di ogni tipo''. ''Quella di Terni - sottolinea - e' l'unica fabbrica a produrlo. L'Italia rischierebbe quindi di dover comprare all'estero acciaio magnetico di qualita' inferiore''. Per quanto riguarda infine l'accusa che questa crisi delle acciaierie Terni e' dovuta alla scelta di privatizzare presa dall'Iri quando lo stesso Micheli era direttore generale e Romano Prodi presidente, Micheli ricorda che ''per Terni fu indetta una gara europea alla quale parteciparono due cordate: i francesi della Ugine insieme con Lucchini, e i tedeschi con Agarini, Falck e Riva''. ''Questi ultimi presentarono un'offerta migliore - spiega - e l'operazione fu sollecitata e approvata anche dal governo Berlusconi, che nel frattempo aveva vinto le elezioni''

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02/02/2004
by rassegna stampa Wednesday, Feb. 04, 2004 at 4:31 PM mail:  

LIBERAZIONE

Acciarie, da Terni a Roma la rabbia dei lavoratori

Sono attesi in 600 sotto le finestre di palazzo Chigi mentre Letta incontrerà sindacati e istituzioni
Terni conoscerà le reali intenzioni del governo riguardo al futuro della acciaieria cittadina stasera alle 19, quando il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, incontrerà a Palazzo Chigi i rappresentanti istituzionali di Terni e dell'Umbria e i sindacati territoriali del settore metalmeccanico. Sotto le finestre dell'esecutivo, intanto, sono attesi per un sit-in decine di lavoratori.
Sul tavolo 900 posti di lavoro, il destino di una città intera e anche di una voce importante dell'intera economia italiana. «Faremo pesare al governo - afferma Alessandro Rampiconi, segretario provinciale della Fiom-Cgil - l'importanza che l'acciaio magnetico riveste nell'economia nazionale. Siamo i maggiori esportatori in Europa e l'Ats ne è la maggior produttrice. Il magnetico a Terni non si tocca». Parole ribadite anche da Carla Cantone, segretaria confederale della Cgil: «Dall'incontro di oggi deve uscire un impegno produttivo del governo, affinché lo stabilimento di Terni continui a produrre. Non è accettabile - conclude Cantone - che l'Italia prenda atto della decisione della Thyssenkrupp di andarsene, nonostante si produca un materiale altamente competitivo per qualità e costi, anche grazie alla professionalità dei lavoratori impegnati nello stabilimento stesso». Il timore che la chiusura del settore magnetico sia solo il primo passo verso un «rapido disimpegno per la progressiva chiusura dell'Ast», preludio della «localizzazione in Cina», è stato espresso dalla Federmanager: «La Thyssenkrupp deve dire chiaramente se è ancora interessata allo stabilimento oppure no. Da parte loro, governo ed istituzioni devono assicurare al sito di Terni un approvvigionamento energetico a costi competitivi. Se non ci sono precisi impegni al riguardo - si legge sulla nota della federazione - lo stabilimento ritorni in mani italiane». La possibilità di vendita è appoggiata anche dal segretario generale della Uil, Luigi Angeletti che, nel corso della terza conferenza della Uilm a Fiuggi, ha parlato di «altri imprenditori interessati».
Una soluzione che per adesso non è in cima alla lista degli operai e dei rappresentanti sindacali locali: «Ancora di privatizzazione ne abbiamo parlato solo formalmente - spiega Rampiconi - il nostro interesse primario è che l'acciaio magnetico rimanga a Terni. Poi verificheremo tutte le opzioni». Nel frattempo in città continuano le forme di lotta: anche ieri è stato giorno di presìdi, che hanno anche visto la partecipazione della governatrice dell'Umbria Maria Rita Lorenzetti, e le portinerie degli stabilimenti di viale Brin, dove è l'acciaieria, sono stati totalmente bloccati. Anche il Papa ha speso un pensiero di solidarietà per i lavoratori ternani, affidando al vescovo di Narni, Terni ed Amelia, monsignor Vincenzo Paglia, il suo messaggio di vicinanza alla loro vicenda. E lo stesso vescovo, insieme al sindaco Paolo Raffaelli, hanno comunicato domenica la decisione di devolvere i 15mila euro del premio San Valentino 2004 alle rappresentanze territoriali di Cgil, Cisl e Uil al fine di «sostenere tangibilmente l'impegno per scongiurare la chiusura del reparto magnetico ed i licenziamenti».
Intanto, 10 pullman sono pronti a partire alla volta di Roma oggi pomeriggio, dove 600 persone organizzeranno un sit-in sotto le finestre di palazzo Chigi, mentre i lavoratori che rimarranno a Terni porteranno avanti la lotta con uno sciopero a scacchiera di 2 ore, per garantire la più ampia presenza possibile e rallentare la produzione allo stesso tempo.
Andrea Milluzzi

LIBERAZIONE 2

Una curva, un solo grido: no ai licenziamenti. Domenica la "Nord" del Renato Curi di Perugia ha offerto uno spettacolo unico, e questa volta le coreog


Una curva, un solo grido: no ai licenziamenti. Domenica la "Nord" del Renato Curi di Perugia ha offerto uno spettacolo unico, e questa volta le coreografie non c'entrano. Tutti i tifosi, gruppi ultras soprattutto, che solitamente frequentano quella porzione di stadio, hanno esposto un immenso striscione con la scritta "No allo smantellamento industriale umbro". In tempi di grave crisi economica, che vedono i lavoratori delle acciaierie ternane lottare per mantenere in vita il "loro" stabilimento, quel messaggio ha un valore enorme, tanto più perché proveniente da chi è spesso criminalizzato e descritto come capace di sola violenza. «Il momento è difficile non soltanto per l'industria umbra e non soltanto per le acciaierie ternane - commentano gli "Ingrifati" - il cui dramma merita spazio e rilevanza. Noi vogliamo dare visibilità ai problemi di tutti i lavoratori e le lavoratrici di questo Paese, quindi anche a chi rischia il posto a Terni». Tutto il pubblico del Curi domenica ha applaudito all'iniziativa degli ultras.

LIBERAZIONE 3

Una vertenza esemplare


Quella aperta negli ultimi giorni a Terni è una vertenza davvero esemplare, nel bene e nel male, nella quale possiamo trovare conferme alle analisi di Rifondazione Comunista a livello locale e generale. Non devono trarre in inganno gli eventi degli ultimi giorni: ciò che in queste ore si sta consumando nella "città dell'acciaio" fa parte di un processo complesso che affonda le sue radici indietro negli anni, fin dai tempi delle privatizzazioni delle partecipazioni statali, e risente in maniera evidente degli effetti della globalizzazione.
E' bene, pertanto, per poter parlare dell'oggi, ripercorrere alcuni passaggi fondamentali. A partire dalla svendita che dieci anni fa vide cedere il sito ternano, punto d'eccellenza europeo nella produzione degli acciai speciali, ai tedeschi della Krupp affiancati da una cordata di imprenditori italiani, considerando questa la garanzia che le relazioni industriali sarebbero state adeguate e non vi sarebbe stato un allontanamento dei centri decisionali dal nostro Paese.
Nulla di più falso: la cordata italiana ha messo in campo una mera operazione di speculazione finanziaria, rivendendo lautamente alla multinazionale tedesca le proprie quote. In seguito, la fusione di due colossi mondiali, la Krupp e la Thyssen, lasciava presagire che l'acciaio e le seconde lavorazioni non sarebbero stati centrali nelle strategie della multinazionale.
A conferma di ciò la Thyssen Krupp, circa 18 mesi fa, ha scorporato le due maggiori produzioni, l'acciaio magnetico e quello inossidabile, lasciando intendere che una delle caratteristiche fondamentali del sito di Terni, la polisettorialità, condizione essenziale per la tenuta della fabbrica, poteva essere messa in discussione dalla multinazionale. Così è stato: oggi siamo nella fase in cui tutti i nodi vengono al pettine con una velocità ed una dirompenza inusitata.
Quando in tempi non sospetti denunciavamo tali rischi, da più parti venivamo additati come disfattisti. Ma oggi non è il tempo delle polemiche. Oggi è il tempo di stare al fianco dei lavoratori che stanno realizzando una lotta durissima.
Una vertenza esemplare, dicevo, per molti motivi: centinaia di lavoratori, centinaia di famiglie conoscono oggi sulla propria pelle cosa nel concreto voglia dire "globalizzazione", nella quale è lecito per una multinazionale azzerare 120 anni di storia di produzione di acciaio senza battere ciglio. Esemplare nelle forme di lotta: da decenni, infatti, a Terni non avveniva un conflitto sociale che coinvolgesse non soltanto i lavoratori che rischiano il posto ma un'intera comunità cittadina e regionale, con atti concreti di solidarietà che ai lavoratori in lotta provengono ormai quotidianamente da ogni settore della società terzana e umbra.
Ciò testimonia che il rapporto fra la fabbrica e la città, pochissimo indagato negli ultimi anni, è ancora strettissimo e forte, nonostante la frantumazione sociale e l'individualismo esasperato che caratterizzano oggi il mondo del lavoro e la società.
Oggi è il tempo della resistenza e della lotta. Ma c'è un grande assente: il governo nazionale, il soggetto che dovrebbe avere quantomeno un'idea sul profilo produttivo ed industriale del Paese. E' ormai da almeno un decennio che l'Italia è priva di una qualsivoglia politica industriale degna di questo nome.
Oggi pomeriggio a Palazzo Chigi i sindacati e le istituzioni locali ternane ed umbre incontreranno i rappresentanti dal governo. Abbiamo dovuto bloccare l'autostrada A1 per ottenere un coinvolgimento che questo territorio chiede da mesi. Noi saremo lì sotto, saremo con i lavoratori. E ci saremo venerdì prossimo quando un'intera città si fermerà per innalzare lo scontro, per dire alla Thyssen Krupp che Terni non è una terra di conquista, da spremere finché fa comodo per poi lasciarla morire neppure troppo lentamente; per dire ai lavoratori della siderurgia, così come agli autoferrotranvieri o alle giovani generazioni che oggi si riappropriano della politica attraverso i movimenti, che questa globalizzazione non la vogliamo e che c'è bisogno di un altro mondo.
Damiano Stufara
segretario federazione
Prc di Terni



IL MESSAGGERO
Eventi Valentiniani, non solo festa ma un aiuto concreto a chi rischia il lavoro

AVREBBE poco senso parlare di Eventi Valentiniani in questo momento se non ci fossero, nei principi che stanno alla base della manifestazione più importante di Terni, elementi di raccordo con le vicende drammatiche che stanno investendo la città dopo l’annunciata chiusura del sito produttivo del magnetico da parte della Thyssen Krupp. Alla base di entrambe le realtà esiste, infatti, un denominatore comune che si lega al futuro del nostro territorio.
Un futuro che rischia di assumere caratteri di incertezza, di precarietà, di disperazione e che ci obbliga, in senso politico, ad un impegno concreto affinché quanto è stato prefigurato non si realizzi, richiamando l’attenzione a livello locale, nazionale ed europeo, difendendo quanti si trovano oggi a dover manifestare per far valere un proprio diritto. D’altra parte, non possiamo neanche esimerci dal considerare il nostro passato e quindi dal promuovere - quando sarà il momento, una volta respinto il proposito di chiudere il magnetico - una doverosa e onesta riflessione su quanto da dieci anni a questa parte è stato o non è stato fatto per scongiurare un epilogo così doloroso.
E’ plausibile che in un momento difficile, delicato per le sorti del nostro territorio, anche una festa come gli Eventi Valentiniani assuma toni diversi dal previsto e possa rafforzarsi nel suo ruolo, come punto di riferimento, catalizzando tutte le energie per promuovere accanto alla figura straordinaria del Santo patrono, l’immagine di una Terni che deve trovare forme di affermazione diverse tenendo conto delle sue peculiarità.
In questo quadro, sarebbe anche inopportuno ricordare che il lavoro svolto per realizzare una manifestazione complessa come gli Eventi Valentiniani, si è prestato spesso a critiche, talvolta ingiustificate, se non fosse per mettere in evidenza che da questo impegno sono nate iniziative di valore mondiale come quelle che hanno portato nella nostra città Gorbaciov e Lea Rabin, Grossman per la letteratura, Nuseibe per il mondo universitario, Ciobotea e Kjrill per l’unità delle Chiese. Non solo presenze significative che hanno qualificato il nostro sforzo proponendolo all’attenzione dei media italiani e internazionali, ma anche personaggi di primo piano all’interno di una idea-principio di base: la pace nel mondo, la solidarietà tra i popoli. Valori fondamentali sui quali oggi più che mai siamo chiamati a riflettere alla luce di quanto sta accadendo nel campo dell’economia mondiale con gli effetti che abbiamo, purtroppo, sotto gli occhi: in casa nostra.
Ma c’è anche un altro aspetto importante che non va sottovalutato: il rapporto tra la Diocesi, le organizzazioni di categoria, la società civile ed economica che è stato posto alla base delle iniziative di quest’anno. Questa unità di intenti dovrà essere sempre più stretta per ritrovarsi in tutti i settori che regolano la vita del nostro territorio.
L’impegno che abbiamo profuso negli Eventi Valentiniani, dovrà essere invece un valido punto di partenza per migliorarsi ancora, per promuovere momenti di riflessione ad una comunità che oggi più che mai è chiamata a stringersi, con atti concreti, attorno alla doppia identità di “città dell’acciaio e di San Valentino”.
E’ anche per questa necessità di concretezza che, nell’emergenza, su invito del sindaco Raffaelli e del vescovo monsignor Paglia, abbiamo accettato e fatta nostra la volontà di dare un segnale di sostegno a quanto vorranno intraprendere le R.S.U. aziendali delle Acciaierie Thyssen Krupp, stanziando subito, come Associazione Eventi Valentiniani, 15.000 euro e aprendo un conto corrente che raccoglierà i contributi di tutti coloro che vorranno appoggiare la causa dei lavoratori di Terni, impegnandoci a promuovere l’iniziativa su scala nazionale.
Assessore comunale
IL MESSAGGERO 2

«I tedeschi ci fanno pagare i tanti errori fatti da loro»

«L’acciaio magnetico è solo la punta dell’iceberg; l’acciaio inossidabile, infatti, è ben più importante per le acciaierie e rischia una sorte analoga». Il grido d’allarme è di Federmanager, il sindacato dei dirigenti d’azienda. «La nuova acciaieria inox spiega il presidente di Federmanager, Luciano Neri in cui sono stati investiti mille miliardi non dà i risultati attesi poiché la tecnologia scelta non soddisfa le richieste del mercato. Ed invece di correggere gli errori impiantistici e investire sulla implementazione tecnologica, gli investimenti vengono dirottati a Shangai. Se non si arresta questa tendenza la Terni è destinata ad una progressiva chiusura».
Errori da parte del management di Thyssen Krupp ?
«Certo. Partiamo da un dato: lo stabilimento di Terni del magnetico viene chiuso perché Tk ha perso un terzo del proprio mercato e non, come vanno dicendo i managers tedeshi, perché i costi di produzione sono troppo alti».
Scelte commerciali sbagliate?
«Non solo. Dal 1998 in poi gli errori si sono susseguiti, nel settore del magnetico: fu tralasciato, a favore della Duferco, l’acquisto di un grande stabilimento russo che ora esporta pesantemente in Italia; fu invece comprato uno stabilimento francese, gemello di quello di Terni; la produzione del magnetico a Terni fu scorporata come società indipendente rompendo il ciclo virtuoso dal rottame alla spedizione; la strategia commerciale, accentrata in Germania, è stata fallimentare, con forti perdite di mercato. E ricordiamoci che il mercato italiano è il 60 per cento di quello europeo. Visto che serie di errori? Poi dicono che chiudono uno dei pezzi più pregiati che hanno, lo stabilimento ternano dell’aciaio speciale per motori e trasformatori elettrici, perché costa troppo!».
Ed allora?
«Allora bisogna ricostituire il settore dei laminati piani speciali, rimediare agli errori tecnologici per l’inox, assicurare energia a costi ridotti. Thyssen Krupp deve rispettare i patti fatti a suo tempo. Il Governo deve chiedere conto di quello che Tk ha fatto e vuol fare. Sennò che ce lo ridiano questo stabilimento. Noi dirigenti siamo disponibili a fare la nostra parte».



LA CITTA

Acciaierie, fino a sabato due ore di sciopero al giorno

Fino a sabato due ore di sciopero a fine turno, blocco delle portinerie per i materiali in uscita ma via libera a quelli in ingresso. Sono queste le forme di protesta stabilite dal coordinamento delle rappresentanze sindacali delle acciaierie di Terni TK-Ast, TK-Electrical steel e delle consociate nell'ambito della vertenza contro la chiusura del magnetico.
Nella riunione è stato fatto il punto della situazione in vista dell'incontro di domani e dello sciopero di venerdì prossimo. E' stato anche confermato l'incontro di oggi pomeriggio, davanti ai cancelli dell'Ast, con la presidente della Regione, Maria Rita Lorenzetti, il presidente della Provincia di Terni, Andrea Cavicchioli, ed il sindaco, Paolo Raffaelli.
LA REPUBBLICA

Epifani: Serve una nuova politica dei redditi

ROMA - "Altro che campagna elettorale da parte nostra: il malessere sociale c'è, la mobilitazione è già partita. Noi non facciamo che orientare la protesta, altrimenti rischia di sfociare nel ribellismo e nel corporativismo". Il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, risponde in questo modo al ministro Maroni, che ieri l'ha accusato di fare campagna elettorale e di voler provocare lo scontro sociale. Secondo Epifani, che difende la contrattazione nazionale e propone una nuova politica dei redditi, i lavoratori pagano la debolezza del sistema industriale, lo scarso peso del governo a livello europeo, la mancanza di controlli efficaci sulle società. E all'invito del segretario Cisl, Savino Pezzotta, per una piattaforma unitaria risponde: "D'accordo, ma quello che conta sono gli obiettivi".

-Epifani, oggi l'Italia si scopre a parlare non più di sviluppo e competitività, ma di povertà diffusa e crescente. Sembra quasi che il Paese abbia fatto un balzo indietro di decenni. Com'è possibile?

"Quando ci si trova di fronte a un fenomeno di queste dimensioni, con cinque milioni di famiglie povere o a rischio-povertà, la causa non può essere una sola. C'è un complesso di risposte, alcune delle quali fondamentali. La prima è la debolezza del nostro sistema industriale, un fattore che non è nuovo, ma si è aggravato. Abbiamo pochissimi grandi gruppi e siamo posizionati meglio dove la concorrenza internazionale è più forte. La seconda grande debolezza del Paese è la scarsa efficacia dei livelli istituzionali. In questo quadro si sono poi innestate alcune scelte politiche totalmente sbagliate. L'euro ha messo a nudo tutte queste debolezze, ma non ha alcuna responsabilità di questa situazione: una moneta così forte o incorpora valore, creato dalla produzione di beni e servizi, oppure rende soltanto più difficili le esportazioni".

-Nell'ambito del declino industriale siamo addirittura costretti a difendere produzioni che non hanno un elevato contenuto tecnologico, come l'acciaio. La vicenda delle Acciaierie di Terni è un sintomo grave, non crede?

"Assistiamo a due fenomeni. Uno è quello della delocalizzazione nell'Est europeo o in Asia di parte dell'industria manifatturiera per un problema di costi. Il secondo è quello rappresentato dal caso delle Acciaierie di Terni, che dice altro. Pochi sanno che l'acciaio magnetico prodotto lì è il migliore d'Europa e che l'Italia consuma il 60 per cento del magnetico nel Continente. Nello stabilimento lavorano moltissimi giovani tra i 25 e i 35 anni altamente professionalizzati. Ma, nonostante tutto questo, l'impresa tedesca decide di chiudere e favorire gli stabilimenti in Gemania e Francia. E qui paghiamo lo scarsissimo peso politico che ha il governo oggi in Europa, il fatto che non siamo in grado di fare sistema-Paese. Rischiamo grosso".

-Francia, Germania e Gran Bretagna decidono e l'Italia è esclusa...

"È così. Le grandi alleanze e scelte vengono fatte altrove. Prendiamo, ad esempio, il caso Alitalia. Io temo che la vicenda finirà in maniera drammatica: non c'è un'idea del governo, gli spazi di manovra sono stretti, il piano è di ridimensionamento. Alitalia era la settima compagnia aerea, ora diventerà una compagnia di livello regionale. Preoccupa parecchio, poi, il fatto che i primi quattro gruppi italiani hanno un debito che è il doppio del loro fatturato".

-Nel suo fondo di ieri, Eugenio Scalfari ha parlato del pericolo di una proletarizzazione della classe media. Ha questa sensazione?

"Fino a 10 anni fa il rischio era quello di avere un terzo di esclusi. Oggi non è più così. Oggi sembra che questa piramide si sia rovesciata e che ci sia soltanto un terzo della popolazione che sta bene, mentre un altro terzo è povero e la parte restante rischia. Negli ulimi dieci anni, poi, è aumentato il divario retributivo tra Nord e Sud".

-Il segretario della Cisl, Savino Pezzotta, la invita a predisporre una piattaforma unitaria su questi e altri temi. Risponderà al suo appello?

"Il problema non è né una piattaforma, né un tavolo. Ma gli obiettivi. Che sono quelli contenuti nell'accordo che Cgil, Cisl e Uil hanno firmato con la Confindustria e sui quali il presidente del consiglio non ha mai convocato le parti: ricerca e innovazione, formazione, infrastrutture".

-Vuole negare che tra Cgil e Cisl esistano divergenze su molti punti fondamentali?

"Con la Cisl siamo d'accordo sull'idea di politica economica e industriale e anche sulla politica fiscale. Su Welfare e pensioni ci divide una sola cosa: le modalità di un'eventuale copertura della gobba previdenziale. E poi abbiamo qualcosa da discutere in tema di sistemi contrattuali: non ha senso ridurre il peso della contrattazione nazionale".

-La Cgil ha una proposta concreta che risolva il problema della perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni?

"Ci vuole una nuova politica dei redditi. Quella che avevamo è stata svuotata da questo governo".

-Come dev'essere la nuova?

"Articolata. Ci vogliono una politica di controllo e contenimento dei prezzi e delle tariffe, il ripristino del recupero del fiscal drag, interventi di tipo fiscale a sostegno dei redditi da pensione più bassi. Inoltre non si possono calcolare i rinnovi contrattuali su un'inflazione programmata non credibile. Infine, va rafforzato il secondo livello di contrattazione, ma dopo aver consolidato quello nazionale. Insomma, il protocollo del 23 luglio non va cancellato, ma migliorato".

-Il presidente della Margherita Rutelli non dice cos'è, ma propone un patto tra impresa, lavoro e risparmio. Lei che ne pensa?

"È una proposta che non comprendo. Le imprese devono fare le imprese, i lavoratori devono vedere riconosciuti i loro diritti, mentre per il risparmio vanno rafforzati i controlli e trasparenza. Guardiamo al caso Parmalat: anche qui il governo ha fatto molta confusione, rischiando di far perdere credibilità al nostro sistema finanziario. Ci vuole un intervento che risponda a una logica alta e non una bega tra ministro delle Finanze e governatore della Banca d'Italia".

-Lei che cosa propone?

"Un percorso a tappe. In primo luogo, ci vogliono reali garanzie di autonomia e indipendenza per sindaci, revisori e società di rating. Poi vanno rafforzati i poteri della Consob, una cosa che va fatta con realismo nella tempistica, visto che oggi la Consob non ha né risorse né un numero di funzionari sufficienti per assolvere in modo adeguato a questo compito. Infine non va dispersa la professionalità della Banca d'Italia".

-Di Cofferati dicevano che era il "signor no", di lei il ministro Maroni ieri ha detto che fa campagna elettorale. Non fate più sindacato?

"A Maroni ricordo solo che io ho sempre detto cose di merito e mi aspetto risposte di merito. A partire da quelle che ci aveva promesso sulle pensioni e che non ho ancora sentito. Il governo, evidentemente, non ha una strategia".

-Lei però ha detto che la tregua è finita. Ci dobbiamo aspettare una nuova stagione di conflitti?

"La lotta è nei fatti, sta già avvenendo. Il 6 si ferma tutta Terni, il 13 è in programma uno sciopero per l'occupazione in Abruzzo. Il 28 ci sarà una grande manifestazione unitaria sulla scuola. Di fronte alle difficoltà delle famiglie c'è una mobilitazione che cresce. Tanto più se il governo non dà risposte. Il malessere sociale c'è. O il sindacato lo governa o questo sfocia nel ribellismo o nel corporativismo. Altro che campagna elettorale".

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ancora prodi
by es Wednesday, Feb. 04, 2004 at 7:07 PM mail:  

Ha privatizzato l'iri, svenduta l'alfa e chiude, svenduta cirio e chiude, svenduta terni e chiude, vuole le pensioni a 67 anni, non possiamo proprio votarlo cari centrosinistri e Prc, inoltre è anche anticomunista.
30 ottobre 2003 UE R. Prodi: "mettere fuorilegge un partito comunista in un paese dell'Est non è non è antidemocratico".

denuncia del Partito Comunista di Grecia al parlamento UE: informativa sulle dichiarazioni anticomuniste di personalità dell'UE

Cari compagni,
Probabilmente già sapete che, l’11 dicembre 2003, il vicepresidente del Partito dei Lavoratori Ungherese, il compagno Attila Vajnai verrà processato, perché durante una conferenza stampa ha messo all’occhiello un distintivo con la stella rossa: come sapete, in Ungheria l’uso di simboli del movimento operaio e comunista non viene consentito e viene punito penalmente.
In questa occasione, intendiamo attirare la vostra attenzione su alcuni sviluppi negativi che si sono registrati in materia di diritti democratici e anticomunismo nell’Unione Europea.
Il 30 ottobre, il Presidente della Commissione Europea, Sig. Romano Prodi, rispondendo all’europarlamentare del Partito Comunista di Grecia Stratis Korakas ha affermato che “la messa al bando del Partito Comunista in un paese che sta per entrare nell’UE, in nessun caso può rappresentare causa di particolare dibattito o critiche nell’ambito dei criteri politici prima menzionati” (il riferimento è ai criteri di Copenaghen).
La risposta del Sig. Prodi è da riferirsi alla lettera che il parlamentare europeo gli ha indirizzato, protestando per la presa di posizione del Commissario dell’UE Sig. Verheugen, nella discussione avvenuta il 30 settembre 2003 nel corso della seduta del Comitato per gli affari esteri del Parlamento Europeo. Rispondendo a una domanda circa le clausole che mettono fuori legge i partiti comunisti e i loro simboli, ha detto: “Se mi è consentito esprimere un commento politico, posso affermare che se personalmente avessi sperimentato ciò che i popoli hanno sperimentato in Europa Orientale, sarei il primo a chiedere che il Partito Comunista sia messo al bando in quei paesi”.
Tali posizioni anticomuniste, assunte da personalità ufficiali dell’UE, costituiscono entrambe una provocazione verso i sentimenti democratici dei popoli dell’Europa e una minaccia per i diritti democratici nell’Unione Europea e nei suoi stati membri.
Pensiamo che queste dichiarazioni non solo legittimano le clausole non democratiche, anticomuniste, le interdizioni e le persecuzioni in una serie di stati membri dell’UE, ma creano le condizioni per una potenziale estensione di tali misure agli altri stati membri, dal momento che introducono l’idea che la democrazia e la messa al bando dei partiti comunisti sono compatibili.
E’ interessante notare che questi sviluppi hanno luogo nel momento in cui l’UE sta elaborando la cosiddetta “Costituzione Europea”, alla vigilia delle elezioni per il Parlamento Europeo.


La Sezione Internazionale del Partito Comunista di Grecia


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