Donna e Lavoro
Alle soglie del 2000 si deve obiettivamente riconoscere che, pur in presenza di sostanziali miglioramenti, sono ancora grandi le difficoltà che la donna incontra sui posti di lavoro dove, troppo spesso, anche se in maniera talvolta occulta, subisce gravi discriminazioni dovute esclusivamente alla sua condizione di donna e di madre.
In effetti, dopo il riconoscimento pieno del "problema donna" nel Ventennio fascista per il quale si è legiferato (R.D.L. 25 Marzo 1923, N° 1207 - Disposizioni intese a reprimere la tratta delle donne e dei fanciulli; Legge 26 Aprile 1934 N° 653 - Tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli; R.D. 7 Agosto 1936 N° 1720 - ...tabelle indicanti i lavori per i quali è vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni...; D.L. 8 Giugno 1938 - Determinazione delle attività per le quali è obbligatoria la visita medica alle donne ed ai fanciulli che vi sono occupati) con soluzioni, per l'epoca, certamente di avanguardia, come riconosciuto tempo fa anche dal Presidente della Camera Irene Pivetti, lo Stato democratico repubblicano ha lasciato trascorrere invano quasi un quarto di secolo prima che si arrivasse a normative nuove e qualificanti, fatta eccezione per l'Art. 37 della Costituzione(1948) che riconosce la piena parità del lavoro dell'uomo e della donna e per la legge 860 del 1950 (Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri).
Per il resto e per lungo tempo, il problema donna e lavoro è stato infatti analizzato solo nei termini demagogici propri della Sinistra che ha sostenuto (e questo retaggio è ancora presente) contrapposizioni sessiste in nome e per conto di presunte e complete parità fisiologiche.
Oggi sembra invece esserci un ritorno da parte delle donne alla propria identità fisiologica e psicologica, senza contrapposizione tra i sessi, alla ricerca di specificità da valorizzare e non da mortificare.
La donna "socialnazionale" è cosciente che il suo ruolo anche nel mondo del lavoro, superati beceri luoghi comuni mascherati da necessità efficientistiche, è da "prima linea" nelle possibilità "manageriali", intellettuali e spesso anche operative, senza però scadere nella demagogia della differente strutturazione fisica: il lavoro delle donne va protetto, non mortificato con mansioni pesanti ed insalubri.
Per quanto riguarda le molestie sessuali, la piaga è certamente ancora presente e va rimossa con la retta applicazione della legge per rendere inefficace il ricatto del "lavoro in cambio di sesso"; questo ricatto è infatti una tangente molto diffusa, sicuramente la causa più diffusa del problema. Riportiamo qui di seguito una sintesi delle leggi che tutelano il lavoro della donna, l'evoluzione dei contenuti, gli aspetti da migliorare.
Il presente documento non vuole essere altro se non l'invito alla riflessione, la base di partenza per le prossime battaglie che ci debbono necessariamente vedere in prima linea, nella politica come nel mondo del lavoro.
Legge n° 1204 del 1971 (Tutela delle lavoratrici madri): garantisce il mantenimento del posto di lavoro della donna dall'inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino. E' consentita inoltre l'astensione dal lavoro in caso di malattia del figlio fino a che il piccolo non abbia superato i tre anni di vita, con facoltà di scelta tra la madre ed il padre. Il periodo di astensione dal lavoro va dai due mesi precedenti il parto presunto fino ai tre mesi dopo la nascita.
Legge n° 903 del 1977 (Parità uomo-donna): sancisce il divieto di qualunque discriminazione basata sul sesso, sullo stato matrimoniale, sulla condizione familiare, sullo stato di gravidanza per qualsiasi livello di responsabilità, a cominciare dalla pubblicità della ricerca di personale presente sugli organi di stampa; a parità di mansioni e prestazioni deve essere garantita la stessa retribuzione. Sono escluse da questa legge le attività professionali che richiedano la specificità del sesso (moda, arte e spettacolo).
Tale legge trova applicazione anche nel caso di madre adottiva, alla quale sono garantiti gli stessi diritti previsti dalla legge 1204/71.
Legge n° 125 del 10 Aprile 1991 (Per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro): fissa le norme che consentono di fornire gli strumenti idonei a garantire alle donne "pari opportunità" effettive di accesso, di formazione e di carriera. In pratica vanno garantite, a "parità di condizioni", e cioè di abilità, di competenza, di livello scolastico e di preparazione professionale, "pari opportunità". Le disposizioni hanno dunque, come fine ultimo, quello di favorire l'occupazione femminile ed ottenere finalmente l'uguaglianza tra uomo e donna nel mondo del lavoro; la legge indica pertanto misure idonee, dette "azioni positive" per le donne, per riuscire a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità; istituisce presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale il Comitato Nazionale per le Pari Opportunità e, con finalità analoghe, all'interno di tutte le Pubbliche Amministrazioni.
Questi Comitati devono occuparsi anche del problema "molestie sessuali", istituendo veri e propri osservatori per la prevenzione ed il monitoraggio del fenomeno puntando sulla sensibilizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici. L'obiettivo ultimo deve essere quello di considerare le molestie sessuali non come un'evenienza che rientra nell'ordine delle cose, bensì come un'offesa alla persona da cui è necessario tutelarsi e che bisogna reprimere.
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