Migliaia di donne dell'est comprate e costrette a prostituirsi. Amnesty denuncia il coinvolgimento impunito dei militari Ue
-- dal manifesto
LUCIA SGUEGLIA* Un vero e proprio «centro di smistamento» per il traffico delle donne provenienti dall'Est e destinate alla prostituzione nella Ue. Ma anche un luogo di sfruttamento sessuale diretto delle vittime della tratta. Con pesanti responsabilità anche di personale Onu e Kfor. Questo sarebbe diventato oggi il Kosovo post `99 - recentemente colpito da nuova violenza etnica - secondo un rapporto diffuso ieri da Amnesty International dal titolo «So does that mean I have rights?». Dal 1999 ad oggi, quello che era un piccolo affare locale si è trasformato in una vera e propria industria su vasta scala, gestita dalle gang criminalli locali, spesso in collaborazione con le forze di polizia locali. Ma i primi responsabili di questa escalation sarebbero proprio le migliaia di operatori internazionali e peacekeepers presenti in Kosovo, che hanno contribuito in questi anni a foraggiare ampiamente alcuni settori dell'economia a scapito di altri.
Immediatamente dopo l'arrivo delle truppe Nato-Kfor (erano 49.000 nel 1999), nuclei di prostituzione si svilupparono intorno alle basi militari, che costituivano la maggioranza della clientela. Le donne erano spesso reclutate nell'Europa dell'Est con l'inganno, vendute a diversi padroni per somme che vanno dai 50 e i 3500 euro, private del passaporto prima di arrivare a destinazione e dunque ridotte in schiavitù.
All'epoca furono identificati diciotto bordelli destinati esplicitamente ai militari Nato, in tutti e quattro i settori in cui era allora suddivisa la regione. Coinvolti gli statunitensi di Gnjilane/Gjilan (dove si trova Camp Bondsteel); i tedeschi di stanza a Prizren; gli italiani di Pejë/Pec; e i francesi di Mitrovica, che avrebbero gestito direttamente alcuni bordelli. Ai militari si aggiunse poi il personale Unmik e quello delle 250 Ong presenti allora in Kosovo.
Inizialmente, la comunità internazionale costituiva l'80% della clientela dei trafficanti sessuali: oggi la percentuale è scesa al 20-30%, facendo largo agli utenti locali. In molti casi membri di Kfor e di Unmik erano direttamente coinvolti nella tratta, come avvertì l'Osce a soli tre mesi dalla fine dei bombardamenti.
Già nel novembre 2000 una massiccia operazione di polizia aveva indotto alla chiusura una rete di bordelli nella zona di Kosovo Polje, gestita in collaborazione da serbi e albanesi. Nel 2001 fu stilata persino una lista dei locali off limits per il personale internazionale, ma nel luglio 2003 si contarono circa 200 locali di vario tipo - frequentati quasi esclusivamente da personale straniero - dove si esercitava il mercato del sesso: bar, ristoranti, club come il Miami Beach di Pristina, dove le ballerine venivano costrette a prostituirsi sotto pesanti minacce e violenze.
Oggi nella piccola provincia serba del Kosovo arrivano migliaia di donne straniere (provenienti in maggioranza di Moldova, Romania, Bulgaria e Ucraina), perlopiù condotte qui attraverso Serbia o Macedonia, per poi essere istradate verso Olanda, Inghilterra, Italia, via Albania o Bosnia. E purtroppo alle donne dell'Est si sono aggiunte in tempi più recenti giovanissimi adolescenti kosovare sfruttate dal mercato interno della prostituzione, e protagoniste di abusi d'ogni tipo, vittime di una società fortemente maschilista.
L'accusa di Amnesty mette in prima fila tra i clienti il personale Onu e i militari della Kfor, chiedendo un immediato intervento dell'Unione Europea. Sia il personale Unmik che quello della Kfor però, è protetto dall'immunità totale accordatagli dalla risoluzione Onu 1244/99, e non può essere perseguito salvo diretta indicazione del Segretario generale dell'Onu o dei comandanti nazionali della Nato. Per quanto se ne sa, fino ad oggi nessuno è stato perseguito per crimini connesi alla prostituzione commessi in Kosovo.
Nel 2000, l'Unmik formò una speciale unità (TPIU) per combattere il traffico e la prostituzione. Nel 2001 arrivò finalmente anche una prima regolamentazione che dichiarava punibili i responsabili della tratta, e che prevede anche la protezione e l'assistenza delle vittime del traffico. Le uniche azioni legali fino ad oggi intraprese per crimini connessi alla tratta risalgono al periodo compreso tra gennaio 2002 e luglio 2003, quando furono messi sotto accusa fra 22 e 27 soldati della K-for.
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