La distilleria più grande d'Europa sbuffa sempre lì, con i suoi tizzoni maleodoranti e nauseabondi, che covano e si riaccendono nel cuore di Partinico, ....
La distilleria più grande d'Europa sbuffa sempre lì, con i suoi tizzoni maleodoranti e nauseabondi, che covano e si riaccendono nel cuore di Partinico, provincia della Sicilia più gattopardesca che da un quarto di secolo respira puzza e pulviscoli. Protesta, si agita un po', infine si tura il naso e tira a campare. Per quattro mesi una centralina di rilevamento atmosferico della Provincia Regionale di Palermo ha suonato nuovamente l'allarme: il livello d'inquinamento dell'aria supera di tre volte la soglia di rischio. A Partinico, cioè, gli oltre 30 mila abitanti ne hanno pieni i polmoni: di polveri e idrocarburi che appestano con un penetrante fetore di sottofondo le generazioni che si incontrano sotto lo stesso cielo. Alcuni se ne sono andati. Già, perché le statistiche sui morti di tumore a Partinico non sono rassicuranti. Le patologie respiratorie, dicono i medici, hanno percentuali superiori alla media nazionale. Un'indagine epidemiologica è stata abbozzata dall'Asl, ma alla resa dei conti non si arriva. Turarsi il naso è servito a poco sotto le imponenti ciminiere della distilleria Bertolino, un gruppo industriale cresciuto a dismisura, una manager tutta d'un pezzo, una famiglia e un nome di rango nella Sicilia dei mammasantissima. Come facciamo a dire che la causa dell'aria appestata, dei tumori, dei fiumi e del mare inquinato è proprio lei? Guai a darle colpe che non si possano provare formalmente. Ed ecco la pietra filosofale dei sindaci, degli assessori, degli organi istituzionali che da decenni, chiamati a prendere una decisione, si fanno tremare le vene ai polsi al solo pensiero di far mettere i sigilli a quell'industria, nel cui cortile non disdegnavano di discutere d'affari galantuomini del calibro di Giovanni Brusca e Angelo Siino, famigerato ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, nonché cognato di Antonina Bertolino, amministratrice unica dell'azienda, ereditata dal padre Giuseppe, con un pedigree agli atti del primo maxiprocesso alla mafia istruito da Falcone.Nei giorni scorsi qualcuno è tornato a urlare la sua indignazione manifestando al Comune e alla Provincia. Un film già visto. Quando imperava la diccì a cavallo fra i settanta e gli ottanta, l'illusione della sinistra negli anni '90, infine la Restaurazione dei giorni nostri. Picche ha sempre risposto la Regione alle richieste di cittadini e ambientalisti di porre fine ad abusi che erano sotto gli occhi di tutti. Molte parole ha speso un Ministro dell'Ambiente, il verde Edo Ronchi. Denaro sonante ha speso invece un Ministro dell'Industria, il diessino Bersani: un finanziamento di 67 miliardi di vecchie lire per il trasferimento dell'azienda in un altro sito. Dieci anni dopo quell'industria è sempre là, a ridosso del centro abitato di Partinico, a due passi da una scuola elementare, mentre nel trapanese, dove Bertolino è decisa a issare le sue ciminiere, nessuno la vuole. Men che meno il cavaliere Patti, patron della Valtur che ha messo gli occhi sulla stessa zona per farci un bel villaggio turistico. E giù petizioni e appelli al Capo dello Stato da parte di istituzioni e politici locali, comitati cittadini e studenteschi.Troppo comodo pensare che si tratti soltanto di una questione locale: negli anni se ne sono occupati Ministri, Capi di gabinetto, deputati, amministratori dell'isola, partiti, associazioni e naturalmente la magistratura. Che, rilievi alla mano, ha messo sotto inchiesta la distilleria, ordinandone la chiusura degli scarichi e della centrale termica dal '92 al '96. Proprio allora, mentre la città prendeva una boccata d'aria, coloro che avrebbero potuto agire sono rimasti imbrigliati in una rete di cavilli, pareri, lettere, relazioni, approdati solo a uno stucchevole balletto di responsabilità. Alla fine quel colosso la spunta sempre. Potenza di un gruppo industriale che di strada ne ha fatta tanta, da quando Giuseppe Bertolino, negli anni '30, si fece una piccolissima distilleria artigianale, poco più che una quaràra, un enorme pentolone di rame. Antonina Bertolino guida oggi un Gruppo formato dai sei società, con insediamenti produttivi in Sicilia, Veneto, Francia, Spagna e Argentina dove produce alcool etilico, acquavite e altri derivati. Da sola rappresenta l'80% della distillazione in Sicilia.Fin dalla metà degli anni '70 lo stabilimento di Partinico si è ingrandito progressivamente, grazie alle autorizzazioni degli amministratori locali e a una sequela di presunti abusi edilizi mai puniti. Così la distilleria, con i suoi silos pieni di alcool cresciuti come funghi, si è come mossa verso l'abitato, espandendosi in un'area dove, piano regolatore alla mano, proprio non può stare, perché classificata dalla legge come industria insalubre di prima classe, ad alto rischio per la salute e la sicurezza. Nel suo cammino ha incontrato ben pochi ostacoli, come quando, negli anni '70, il sindaco Giuseppe Bongiorno le fece tappare gli scarichi col cemento. Nel tempo quell'industria ha potuto scaricare i propri reflui direttamente nei fiumi, fino a colorare di rosso vino il Golfo di Castellammare. Due corsi corsi d'acqua gravemente inquinati, il mare per tanti anni puzzolente e non balenabile, la spiaggia di San Cataldo, un gioiello incastonato nel golfo, moribonda e spopolata, il depuratore comunale mandato ripetutamente in tilt. Per inquinamento dei corpi idrici l'azienda è stata condannata in secondo grado. Provvidenziale le è stata, invece, la prescrizione del reato per l'accusa di inquinamento delle falde acquifere. Gli scarichi bollenti e altamente inquinanti delle sue lavorazioni sono stati rintracciati durante i controlli in alcuni pozzi vicini allo stabilimento. La titolare dell'azienda ha sempre sostenuto di essere in regola addossando le colpe alle cantine vinicole e alle caldaie degli impianti civili di riscaldamento e alle automobili. Se l'olfatto dei suoi paesani è ormai annichilito dal fetore delle sue ciminiere, Bertolino non ha mai perso il proverbiale fiuto per gli affari. Dopo alcune ricerche, nei primi anni '90 l'allora eurodeputato del Pds Carmine Nardone, oggi Presidente della Provincia di Benevento, chiese di far luce su strani traffici di alcool tra l'Italia e il Sudamerica. Un banchetto ricco di soldi con tanti zeri, indovinate chi c'era tra i commensali.Affari, potere, relazioni. Perché è così difficile spezzare questa catena di protezione? Chi asseconda la pur legittima aspirazione di un'impresa decisa a difendere solo i suoi interessi particolari? Qualcuno, oltre all'azienda, ne ricava dei vantaggi? Domande che rimangono senza risposte, il resto sono storie più o meno note, denunciate ad alta e bassa voce, per le quali le istituzioni si mostrano ancora oggi tiepide e incerte. Nessuno si azzarda a promuovere azioni concrete, come l'attuale sindaco di Partinico pronto a prendere provvedimenti di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, ma soltanto dopo che tutti gli altri organi competenti si saranno espressi in maniera chiara e univoca. (W. Molino, A. Vitale)
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