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Se l'aguzzino è una donna
by da repubblica (di Adriano Sofri) Sunday, May. 09, 2004 at 7:34 AM mail:

Se l'aguzzino è una donna.

NON è vero che la tortura americana (o inglese, e di carcerieri militari, o di aguzzini a contratto privato) sia, nello stesso carcere di Abu Ghraib, la trista riproduzione speculare delle torture che vi compivano i carnefici di Saddam. Perché c'è un'inversione in più, quel rapporto fra donna e uomo, che frusta gli uomini musulmani, il loro pudore e i loro pregiudizi, più che mille bombardamenti. Ne sono così attonito che mi sembra bastare perché vadano via subito dall'Iraq, non i militari italiani, ma i militari americani, e fino all'ultima donna e all'ultimo uomo, costi quel che costi.

E non dimentico che è stato un generale americano a denunciare l'infamia a lungo consumata sotto il comando d'una generale americana: ci mancherebbe altro. Il pudore speciale dei maschi musulmani (di tanti fra loro: nessuna generalizzazione è lecita oltre un certo punto) è di quelle "differenze" che vanno rispettate, o discusse per quel che le lega a conseguenze bruttissime, come la reclusione delle "loro" donne dentro fagotti di stoffa mortificata.

Deriderlo, oltraggiarlo, ferirlo materialmente, al riparo del potere assoluto su corpi inermi e piegati, è peggio che un crimine: è una follia foriera di sventura. Chissà a che cosa si è ispirata la ragazza soldato, e il suo ragazzone e le loro colleghe e colleghi. Magari si sono ricordati di quei kamikaze dell'11 settembre che avevano saputo prendere il brevetto per pilotare un jet di linea, e però ci andarono con indosso tre paia di mutande, per presentarsi in ordine al paradiso dei martiri. Ma appunto! Ci sono, in questo episodio, i due ingredienti che, combinati, bastano ai miei occhi a spiegare la guerra mondiale: il destino delle donne, e le peripezie della modernità.
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Misuriamo la febbre al mondo con l'argento vivo della sessualità. Se si cede alla tentazione di interpretare i tempi secondo un criterio dominante, questioni come il controllo del petrolio o il fanatismo religioso o l'esaltazione etnica o qualunque altra appaiono futili a paragone della libertà o la proprietà delle donne. Scherziamo pure sull'ingenuità favolosa dei nostri antenati, che credettero di battersi per dieci anni a Troia per la bella Elena. Però ci siamo accorti che anche gli ultimi, quelli che non avrebbero da perdere che le loro catene, hanno da perdere le loro donne.

Quel che più conta, se ne sono accorti loro, gli ultimi: da quando le distanze si sono così accorciate da renderli spettatori di un mondo in cui le donne diventano padrone di sé. Dunque la vittoria di quel mondo avverte il pastore errante nella steppa dell'Asia col suo gregge le sue donne e il suo televisore satellitare che una simile oltraggiosa destituzione può toccare anche a lui. E bisogna correre ai ripari.

Pensieri come questi li avevo espressi tante volte, e certo non io solo. Ma ecco che si è compiuto un passo colossale su questa strada. Dalla famigerata galera di Bagdad, il posto delle torture ordinarie di Saddam, arriva dentro la yurta del pastore e delle sue donne la fotografia della sbarazzina ventenne americana che tiene al guinzaglio - alla catena: "Avete da guadagnarle, le vostre catene" - un musulmano nudo e strisciante al suolo.

Vedete, la chiave di interpretazione dominante che vale per la guerra e in generale per la storia del mondo, vale a maggior ragione per la tortura. La tortura è prima di tutto una manifestazione - la più abominevole - della sessualità. La spoliazione della persona, la sua riduzione a corpo nudo, e la degradazione del corpo nudo alla sua anonima genitalità, è qui il centro della tortura. Lo è sia che il torturatore uomo operi su una donna, violentandola e stuprandola e mutilandola, sia che operi su un altro uomo, umiliandone e scempiandone la virilità, vendicando su lui la virilità propria agli occhi di una spettatrice femminile, persona o fantasma. Ma la tortura eseguita da una donna sull'uomo, topos di romanzi neri e film gialli e fumetti porno, era finora meno probabile nella realtà. Tanto più da una donna soldato americana su un maschio musulmano.

La ragazza - chissà quale micidiale sventatezza l'ha spinta dai suoi giorni di paese a diventare il manifesto universale dello scontro di civiltà - si fa fotografare mentre punta il dito a mo' di revolver contro i genitali di altri legati e incappucciati. In una foto un legato e denudato ha il viso coperto non da un cappuccio nero, ma da reggiseno e slip femminili. Sodomizzazioni, sesso orale forzato, stanno da sempre nel repertorio delle stanze da tortura. Però mai l'intenzione sessuale della tortura era stata così esplicita e insieme candida, per così dire. Le responsabilità in alto, anzi in altissimo, e il vincolo connaturale fra guerra e tortura, non tolgono la verità che una ragazza, e il suo ragazzone, che si fanno le foto ricordo mentre torturano, torturano per farsi la foto ricordo.

Qualunque ordine o autorizzazione o omissione abbiano ricevuto, la loro allegra creatività (goliardia, ha detto la povera madre della ragazza) è la rivelazione più significativa e irreparabile della vicenda. Non temo di insistere troppo su questo aspetto dell'affare. Al contrario, sbaglia gravemente chi lo trascuri.

* * *

Si può ancora attardarsi a descrivere Occidente e Oriente, saltata la frontiera geografica, secondo l'opposizione fra materialismo e spiritualismo. Balle. Occidente e Oriente si misurano sulla posizione delle donne, dunque sulla sessualità. Donne sottomesse, o fortemente discriminate, e natalità irruente, nella grandissima parte dei paesi islamici. Donne libere (anche liberamente in vendita), e natalità avarissima, nell'occidente ricco. All'origine dei movimenti di opposizione islamisti, dal wahabismo ai fratelli musulmani a Bin Laden, sta lo scandalo per i costumi sessuali occidentali, e per la condizione delle donne.

"Le puttane ebree e americane". Una piega sessuale segna lo stesso terrorismo suicida-omicida. Le ragazze cecene stuprate dai contrattisti russi (epoca di contratti, la nostra) vengono messe al bando da famiglie e villaggi, e indotte a farsi attentatrici suicide. Poco dopo che il terrorismo pio di Hamas aveva rinunciato a escludere le donne dagli attentati suicidi, una giovane è stata mandata ad ammazzare e morire con la pancia grave di esplosivo e di un feto nato da un adulterio: giusta punizione, devoto riscatto.

Tutto questo orrore ha trovato nelle fotografie di Abu Ghraib la convalidazione che gli islamisti volevano, oltre le proprie stesse immaginazioni frustrate o morbose. Quanto all'Iraq, se la posta primaria era una liberazione, il risultato peggiore, e sempre più imminente, è la restituzione delle donne a una prigionia sciita più grave della pur ridotta libertà di abbigliamento e di movimento che concedeva loro la "laica" tirannide baathista. E i pasdaran iraniani, che uso staranno facendo di quelle fotografie, contro le ardite ragazze iraniane?

Mi resta da dire che cosa penso della modernità, salvo tornarci su cento volte, perché è un punto che mi sta sommamente a cuore. Penso che dobbiamo abituarci a considerare la modernità come qualcosa di staccato e spesso di dissociato e opposto alle persone. Che da quando, sì e no tre secoli, la modernità ha preso un andamento così svelto, e addirittura, mezzo secolo sì e no, vertiginoso, i suoi frutti, scienza, tecnologia, prodotti, abitudini, si accumulano e depositano in modo astratto e incontrollabile da qualunque cittadino del mondo, pastore errante dell'Asia o premio Nobel di fisica dei neutrini.

Troppo vasto è questo deposito, troppo schiacciante la sua inerzia, perché non contraddica e avvilisca la nostra capacità di stare al passo. La resistenza alla modernità può essere più o meno forte, e soprattutto più o meno imbrigliata e addomesticata, ma vale per tutti, credo, anche per Bill Gates - certo per me. Del resto, non mi sono mai rassegnato all'idea che quell'Henry Ford che inventò il fordismo fosse un fanatico diffusore dei "Protocolli di Sion". All'altro capo, non smetto di sorridere al filmino del vecchio passatista Tolstoi che guida entusiasta il suo velocipede, e al vegliardo Francesco Giuseppe che passa i suoi giorni a spedire telegrammi.

Il mondo è moderno, le persone antiche. Ci sarebbe amaro riconoscere nell'intera storia rivoluzionaria una radice essenziale di resistenza alla modernità, alla dolorosa rapidità del cambiamento. Avevamo immaginato il contrario: i rapporti sociali di produzione che a un certo punto non si lasciano più contenere dal modo di produzione, e allora occorre il pietoso colpo di forcipe eccetera. Ma già allora ci ritrovavamo con la nostra piccola vita privata, e la piccola vita privata di Carlo Marx... La dirò grossa: l'inadeguatezza penosa che noi stessi, individui occidentali moderni, ci trasciniamo dentro a confronto dello spettacolo pubblico di liberazione e oltranzismo e trasgressione sessuale, è alla radice di quell'endemia di omicidi-suicidi (o solo omicidi...) di mogli fidanzate figlioletti prostitute che sono, da noi, il fenomeno più prossimo al terrorismo kamikaze islamista.

Quando aggiungeremo alla nostra chiusa e gelosa frustrazione la constatazione che possiamo fare molto più rumore, passeremo anche noi forse dalle camere da letto e le cucine agli autobus e alle discoteche, e forse l'abbiamo già fatto, senza avere il coraggio di proclamare che era per vendicarci di lei che ci ha lasciati, e anzi compilando chissà quale demenziale volantino. Speriamo di no, dite? Certo, certo, speriamo.

I tempi cambiano? Al contrario. In Arabia Saudita si annuncia ogni anno che forse dal prossimo anno le donne potranno guidare l'auto. Sembra lo scherzo dei bar: "Da domani si fa credito". I tempi tornano indietro, o corrono avanti, è lo stesso. Una porta girevole fra un presunto medioevo e una misteriosa postmodernità (già: che cos'era?). L'Islam del Jihad è oggi la bandiera più aggressiva e pretestuosa della resistenza di tanta parte del mondo alla modernità che è arrivata dovunque, e dunque soprattutto di odio per America e Israele, per le "puttane ebree e americane".

Della modernità sa impiegare la tecnica, telefoni satellitari e brevetti di pilotaggio e giochi di borsa, e la usa per ripudiare e attaccare uno stile di vita: la libertà delle donne, la libertà e la promiscuità sessuale, la responsabilità delle donne nell'educazione dei bambini. Le immagini che le nostre vetrine e i nostri schermi portano da loro sono tali da esasperare il loro pudore e da eccitare le loro paure. A volte non hanno torto, benché sia affar nostro occuparci della volgarità e della ottusità in cui traduciamo troppo spesso la nostra libertà. Se però andiamo a casa loro, a "liberarli", e ridiamo alla nostra collega fotografa dal bordo della catasta di corpi nudi che abbiamo ammucchiato a botte, avremo ancora il diritto di provare dolore, ma non più di provare sgomento, al prossimo 11 settembre.


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mavaunpo'afangala jokunb Monday, May. 10, 2004 at 12:43 AM
sofri senza sorprese Sunday, May. 09, 2004 at 3:26 PM
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