Siracusa / L'industria sciopera contro le dismissioni
Trenta chilometri di impianti industriali, chimici petrolchimici e cantieristici, che hanno fatto del triangolo Siracusa-Priolo-Augusta il più grande polo petrolchimico d’Europa, grazie anche ai cospicui finanziamenti statali e agli incentivi che, a partire dagli anni sessanta, hanno dirottato su quell’area ricca di storia, arte e bellezze paesaggistiche i fermenti della politica industriale, permettendo ad aziende e imprese di assumere e svilupparsi in un ambiente favorevole. Migliaia di posti di lavoro, tra diretto e indotto, che hanno contribuito a fare della provincia di Siracusa la più industrializzata di tutta la Sicilia: non si è investito nel turismo, poco nell’agricoltura e, in linea con l’economia globale, solo da qualche anno si sta sviluppando il settore dei servizi. L’equilibrio dell’intera area, nell’ultimo trentennio, si è basato su un semplice scambio: le industrie portavano sviluppo e lavoro, i siracusani in cambio accettavano il deturpamento dell’ambiente e l’inquietudine di vivere in un’area a rischio.
Ma nello scambio qualcosa è andato storto, qualcuno ha barato. Dopo avere inquinato, sfruttato, piagato in maniera irreversibile la gente e il territorio, le imprese hanno deciso di andarsene: troppo alti i costi per gli indispensabili lavori d’ambientalizzazione e ammodernamento degli impianti, secondo le nuove normative nazionali ed europee, troppo ingenti le spese per lo smaltimento dei rifiuti industriali prodotti, mentre la chimica europea in generale attraversa la sua fase di crisi per l’inevitabile concorrenza che avanza da oriente. C’è la Cina, c’è la Russia, ci sono i paesi dell’Est asiatico, dove la manodopera costa niente, dove si può inquinare, dove le imprese comandano. La dismissione parte proprio dall’Eni, che cinque anni fa decide di rinunciare alla chimica e investire in operazioni finanziarie e nel settore gas, evidentemente più redditizi. A Siracusa fa cassa, vendendo i pezzi pregiati, mantiene le produzioni plastiche, che ritiene ancora remunerative, e avvia un lento e irreversibile processo di dismissione degli stabilimenti degli altri settori, che nell’ultimo anno si traduce nella perdita secca di 1.500 posti di lavoro, tra diretto e indotto. I sindacati, ovviamente, non ci stanno: protestano e insieme ai lavoratori gridano al furto.
Al governo nazionale chiedono un piano di rilancio della chimica e investimenti certi, a quello regionale un interessamento concreto, che potrebbe trarre linfa dai molti finanziamenti europei per il Mezzogiorno, a partire da Agenda 2000. Più o meno un anno fa, il colpo di scena. I vertici Enichem di Siracusa, coinvolti in un’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti tossici, nata nel 2001 dalla comparsa di un’ampia chiazza di color rosso nel mare di Priolo, vengono arrestati. La procura individuerà la causa nel mercurio impiegato nelle “celle ad amalgama” dello stabilimento del clorosoda, quello che da almeno otto anni i sindacati chiedevano di riconvertire in “celle a membrana”, non inquinanti e in linea con le normative europee. Pochi giorni dopo gli arresti, l’Enichem ferma lo stabilimento, che poi verrà riattivato, ma il dado è ormai tratto. A distanza di 17 mesi, le prospettive per la chimica siracusana non sono cambiate di una virgola, e il sindacato ha deciso di scendere sul piede di guerra. “Il 18 maggio l’industria di Siracusa si ferma e soprattutto si fermeranno a freddo gli impianti – annuncia Pippo Zappulla, segretario generale della Camera del lavoro provinciale –. Cgil, Cisl e Uil, dopo un aprile di manifestazioni e richieste di interventi alle autorità rimasti inascoltati, hanno deciso di ricorrere a una forma estrema di protesta, che, assieme ai lavoratori del polo, coinvolgerà i commercianti, gli artigiani e le altre categorie”.
Fermare a freddo gli impianti, significa bloccarli per un tempo imprecisato, una settimana, forse 10 giorni. Un processo complicato e delicato, che rischia di lasciare a secco di carburante mezzo paese. “Quello di Siracusa-Priolo è un polo industriale – prosegue Zappulla –, un raggruppamento di imprese sorte una a fianco all’altra, perché in qualche modo in simbiosi. Se l’Eni, come annunciato, chiuderà l’impianto del clorosoda, chiuderanno automaticamente tutte le industrie collegate”. I sindacati in questi mesi hanno messo in campo tutte le loro forze per richiamare l’attenzione a livello regionale e nazionale, per chiedere un accordo di programma che non si basasse solo sulla bonifica del territorio, ma soprattutto sul rilancio delle attività. “Dal 1° di aprile Eni ha palesato le sue intenzioni – osserva ancora Zappulla –. Ha rotto il tavolo della trattativa sul quale, con l’avallo del governo nazionale, aveva posto il risanamento ambientale in cambio dei posti di lavoro persi, facendo passare per una concessione quello che invece è un suo preciso dovere”. Prima di arrivare allo sciopero del 18 maggio, i sindacati, per dar forza alla loro voce e stimolare la giusta attenzione da parte degli organi istituzionali, hanno messo in campo altre iniziative: sono stati organizzati nelle aule consiliari dei Comuni maggiormente interessati incontri, discussioni e dibattiti sul futuro dello sviluppo industriale, aperti a lavoratori e cittadini, il 27 aprile nell’area industriale di Siracusa si è svolta un’imponente manifestazione, con migliaia di lavoratori, e il 20 aprile uomini e macchine hanno marciato su Punta Cugno, nella zona del porto di Augusta, dove la politica del disinteresse ha già prodotto gravi danni.
Nell’80 nell’area di Punta Cugno, in base a un progetto congiunto di sindacati e Regione, si sviluppa un’area attrezzata per la carpenteria pesante, specializzata nella realizzazione di piattaforme petrolifere off shore, per cui ottiene commissioni importanti, arrivando a contare 1.500 posti di lavoro. In quella situazione, la zona passa di competenza dalla Regione alla Capitaneria di porto, che l’affida in gestione a un consorzio di 18 imprese. Come da 18 si siano ridotte all’unica esistente attualmente, è da ricercarsi nell’abbandono e nell’indifferenza delle amministrazioni. “In questi giorni si parla di un’importante commessa per la Motoroil Hellas di Corinto, che conferma le potenzialità poco sfruttate dell’area di Punta Cugno – spiega Angelo Cifali, segretario generale della Fiom Cgil di Siracusa –. Il timore è che Priolo finisca per fare la stessa fine: mentre il nostro presidente del Consiglio invita le imprese a investire in Cina, i sindacati chiedono che a farlo vengano qui, dove ci sono elevate professionalità e potenzialità”. Secondo i più recenti dati, il tasso di disoccupazione nella provincia di Siracusa, che conta una popolazione di circa 405.000 abitanti, è del 18 per cento della forza lavoro maschile e del 37,5 di quella femminile. “Oggi sono circa 10.000 i lavoratori che tra diretto e indotto operano nella nostra provincia – rileva Cifali –, ma senza una seria politica di riorganizzazione e di rilancio delle attività nell’arco di poco tempo sparirà tutto. Serve a poco che l’assessore regionale ai Beni culturali, Fabio Granata, insista sul turismo o sulle nostre bellezze naturali. Anche in questo caso, servono investimenti e non parole. Al di là dei porti manca una rete efficiente di trasporto e collegamento: l’aeroporto più vicino è quello di Catania, ci sono solo 10 chilometri di autostrade e 131 di rete ferrata, di cui 63 a binario semplice e 68 a binario semplice elettrificato, mancano i servizi di supporto al turismo e persino le strutture d’ospitalità”.
La polemica con i rappresentati del governo regionale e nazionale è forte e non si ferma all’assessore Granata. I sindacati contestano anche la presa di posizione del ministro delle Pari opportunità Stefania Prestigiacomo, siracusana di nascita e direttamente coinvolta attraverso le imprese di famiglia nell’industria della zona, che, interpellata di recente sul futuro dell’Eni, si è espressa a favore dell’abbandono dell’area e sul recupero ambientale. “La manifestazione del 18 maggio segna l’inizio di una lunga lotta dei metalmeccanici di Siracusa e della Sicilia – annuncia Giovanna Marano, segretaria generale della Fiom Sicilia –. Noi chiediamo che sviluppo, lavoro, ambiente e salute dei cittadini convivano. L’attuale governo nazionale e quello regionale non ci hanno mai ascoltato, non si sono impegnati per sostenere le nostre imprese e i nostri lavoratori, che sono invece portatori di competenze e professionalità. È questa la vera concorrenza, non l’abbattimento del costo del lavoro, come Melfi insegna”.
(Rassegna sindacale, n.19, 13-19 maggio 2004)
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