Che lanciare sassi contro i carri armati sia un gesto futile, e' un cliché giornalistico. Errato. Certo, e' un gesto simbolico, ma non futile. Ci vuole molto coraggio per affrontare con semplici pietre un mostro d'acciaio di 60 tonnellate; l'impotenza del sasso nel fermare il carro armato sottolinea solo l'impotenza del carro armato nel fare ciò che e' suo obiettivo fare: terrorizzare la gente.
Perché non voterò per Kerry di Gabriel Ash
La scorsa estate ero a Nablus durante uno di quei regolari raid israeliani che distruggono ogni parvenza di vita normale in città. Centinaia di persone irate e coraggiose si erano radunate nel pomeriggio per affrontare i carri armati che avevano preso possesso della strada principale. La folla avanzava in circoli ampi e furiosi, migliorava la sua posizione, cercava riparo o attaccava, scansando le jeep della polizia di frontiera che imperversavano nelle strade, distribuendo granate assordanti e lacrimogeni.
Mentre correvamo - tutti correvano - nella strada del mercato, in cui alcuni banchetti erano stati dati alle fiamme, un giovane, con tra le mani pezzi di cemento armato che intendeva lanciare contro i carri armati, corse di fianco a noi e rallentò un po', seguendo il nostro passo, essendosi accorti che non eravamo del luogo. Ci chiese: "Vi piace Bush?". In quel particolare momento, si trattava di una domanda paurosa. Pieno di adrenalina, risposi senza esitare: "Bush e' un pazzo". Il giovane corse verso i carri armati, lasciandosi noi alle spalle.
Che lanciare sassi contro i carri armati sia un gesto futile, e' un cliché giornalistico. Errato. Certo, e' un gesto simbolico, ma non futile. Ci vuole molto coraggio per affrontare con semplici pietre un mostro d'acciaio di 60 tonnellate; l'impotenza del sasso nel fermare il carro armato sottolinea solo l'impotenza del carro armato nel fare ciò che e' suo obiettivo fare: terrorizzare la gente.
Paragonato a ciò, gettare nell'urna una scheda elettorale per le elezioni presidenziali del novembre 2004 richiede molto meno coraggio personale ed e' molto più futile. Eppure, il lanciatore di pietre mi sfidò a proposito delle mie scelte elettorali. Come rispondo?
Per me, il giovane di Nablus rappresenta i miliardi di diseredati, gente il cui destino, e spesso la cui stessa vita e morte, viene decisa a Washington dal presidente degli Stati Uniti e che non ha alcun modo di scegliere quel presidente.
Alcuni di quei diseredati sono americani - prigionieri, ex detenuti e gente in libertà condizionale, ad esempio. Ci sono anche i cento milioni di americani che hanno deciso di rinunciare al voto. Tuttavia, la grande maggioranza di diseredati non sono cittadini americani. Se gli USA si facessero i fatti loro, non ci sarebbe alcun bisogno di essere preoccupati sulle preferenze presidenziali da parte dei non-cittadini. Ma il governo USA ritiene che sia un suo diritto concesso da Dio quello di determinare il destino degli abitanti di luoghi come Nablus. Dalle città sci'ite dell'Iraq del sud ai villaggi indigeni della Bolivia, gli USA ritengono di poter determinare chi vivrà, chi morirà, chi sarà represso e chi governerà e, in particolar modo, in quale direzione fluirà il denaro. Il presidente USA e' l'imperatore non eletto del pianeta.
E allora, nel momento in cui compio il gesto simbolico del voto, qual e' la mia responsabilità verso queste persone? Quando esercito il mio diritto di voto, in quale modo prendo in considerazione gli interessi ed i desideri di coloro che non hanno questo privilegio?
Come membro della classe dei consumatori americani, mi e' chiaro che John Kerry sarebbe un presidente migliore di George Bush, per me e per tutti coloro che conosco personalmente. Non che questa sia una sfida - il pomo della mia porta di casa sarebbe un presidente migliore di George Bush. Ma la presidenza di John Kerry non ridurrà l'amarezza della vita a Nablus. I carri armati israeliani continueranno a rullarvi, sostenuti dal supporto finanziario e protetti dall'immunità diplomatica USA. Nablus continuerà a morire di morte lenta e soffocante, secondo i piani guida dei "ripulitori etnici" israeliani approvati dagli USA. Con Kerry alla Casa Bianca, gli iracheni continueranno a morire per il diritto di liberarsi dall'occupazione straniera. La guerra contro i contadini sud-americani si intensificherà, combattuta con le leggi del "Libero Commercio", con i fondi della "guerra alla droga" o con intervento militare diretto.
Io non posso fermare i carri armati, ma, ala mia prossima visita a Nablus, non voglio dover mentire sul mio voto. Non voglio dover spiegare che non condivido il supporto di Kerry per la pulizia etnica, nonostante abbia votato per lui. Suonerebbe come una scusa che non sta in piedi, ed in effetti lo e'. Non voglio essere costretto ad ammettere ad i miei ospiti che ho votato per Kerry per la sua politica pensionistica e della sicurezza personale, dimenticandomi di Nablus e di ciò che i suoi abitanti subiscono. Il giorno delle elezioni, invece, io non dimenticherò Nablus e non voterò per Kerry.
So che molti lo considereranno un tradimento. C'e' un silenzio assordante su Kerry tra la leadership progressista, un silenzio vergognoso che intende nascondere la familiare discussione: e' giunto il momento, oggi più che mai, di votare strategicamente per il male minore. Bush sta distruggendo l'America e fermarlo deve essere la priorità assoluta. Questa argomentazione sarebbe più convincente se non fosse spolverata e dispiegata ogni quattro anni.
E' un'argomentazione che sembra compiacere i demografi progressisti chiave. Il terrore palpabile che Bush evoca nel cuore di molti americani e' ben fondato. Bush e' una minaccia diretta per le finanze ed il benessere della classe media. Per quello che concerne i nostri problemi interni, vi e' una differenza reale tra Bush e Kerry. Tuttavia, più ci allontaniamo da casa, più le differenze si accorciano. Per il 50% degli americani, la differenza e' probabilmente troppo piccola per giustificare la corsa alle urne. Per le vittime dell'imperialismo americano, non vi e' alcuna differenza. Si tratta di scegliere tra due differenti impegni a bombardarle per ridurle alla sottomissione. La prossima elezione non sarà un referendum sull'impero americano, ma una gara sull'abilità di gestirlo. Kerry dichiara che lui sarebbe un amministratore migliore dell'impero. Pacificherebbe meglio l'Iraq, imporrebbe meglio le soluzioni USA al Medio Oriente, sottometterebbe meglio il mondo alla volontà americana. Forse e' vero, ma perché dovremmo aiutarlo? Qual e' la nostra posta nel migliorare la qualità della gestione dell'impero? Molti di noi hanno una posta in gioco, e questo può essere il problema.
L'argomentazione "tutti tranne Bush" e' oggi un mezzo per proteggere gli interessi personalifingendo un alto senso di responsabilità. Quando si dice che tutti sono meglio di Bush, non si dice che anche noi abbiamo una posta in palio nel successo del dominio mondiale degli USA. In questo contesto, la cattiva gestione di Bush rappresenta un pericolo per noi perché minaccia di distruggere l'impero e, con esso, lo stile di vita relativamente sicuro di coloro che riescono a vivere bene all'interno del mostro.
Ma possiamo onestamente dire che un imperialismo americano meglio gestito renda il mondo un posto migliore anche per gli altri? Il fatto che la maggior parte del bilancio versato per la ricerca alle università americane abbia a che fare con lo sviluppo di modi sempre più efficaci per infliggere la morte, aiuterà i popoli della terra? L'eventuale vittoria americana in Iraq beneficerà quegli americani che non possono permettersi le cure mediche?
Il giorno delle elezioni, abbiamo una scelta. Possiamo votare o la nostra complicità con l'imperialismo o la nostra solidarietà verso le sue vittime. Io non discuto sul fatto che "peggio e', meglio e'". Se lo facessi, invocherei il voto a favore di Bush. Ciò che voglio dire e' che non so quale presidenza - Bush o Kerry - sia migliore per coloro che non hanno diritti. Non lo so in parte perché questo non e' un argomento da campagna elettorale. Entrambi i contendenti si sono impegnati ad estendere e rafforzare la potenza finanziaria e militare USA, senza alcuna considerazione per le sue vittime, in patria ed all'estero.
Il "voto strategico", dunque, si limita a ciò che e' "strategico dal punto di vista dei miei interessi ristretti". Il conflitto sulla opportunità di votare "per il male minore" e' (mal) rappresentato come un conflitto tra pragmatismo e idealismo - "qualcosa e' meglio di niente" contro il "tutto o niente". E' invece un conflitto tra la morale ed il ristretto interesse personale.
Lasciamo a coloro che supportano l'imperialismo il dibattito su come gestire al meglio l'impero. La cosa giusta da fare e' usare il nostro potere per votare, simbolicamente, il nostro rifiuto a contribuire ad una conversazione civica sulla qualità della gestione e del dominio imperiale. E' un gesto quasi futile, ma non completamente; e' un atto di solidarietà con i diseredati.
Gabriel Ash e' nato in Romania ed e' cresciuto in Israele. Vive negli USA, dove scrive articoli perché crede che "la penna e' a volte più potente della spada - e a volte no". Collabora a YellowTimes.org, una pubblicazione di notizie ed opinioni internazionali.
da YellowTimes.org
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