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Politica, sesso libero e violenza un film sul 77 e sulla radio libera Alice
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Alice nel paese delle acciughe Thursday, Aug. 19, 2004 at 9:56 AM |
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La pellicola riscostruisce la vicenda bolognese di Radio Alice
Il regista: "Il suo messaggio contro l'autorità è ancora attuale"
Politica, sesso libero e violenza
così il cinema riscopre il '77
"Lavorare con lentezza" di Guido Chiesa, con Mastandrea
e Claudia Pandolfi, è tra i film italiani più attesi a Venezia
La pellicola riscostruisce la vicenda bolognese di Radio Alice Il regista: "Il suo messaggio contro l'autorità è ancora attuale" Politica, sesso libero e violenza così il cinema riscopre il '77 "Lavorare con lentezza" di Guido Chiesa, con Mastandrea e Claudia Pandolfi, è tra i film italiani più attesi a Venezia di CLAUDIA MORGOGLIONE
Mastandrea nel film ROMA - "Lavorare con lentezza, senza alcuno sforzo. Lavorare ti fa male, ti manda all'ospedale". Versi creati dal cantautore napoletano Enzo Del Re, e diventati celebri come inizio-tormentone dei programmi di Radio Alice: ovvero il prodotto più geniale, sovversivo (nel linguaggio) e anti-autoritario (nei contenuti) della Bologna della contestazione. Un inno vivente alla rivoluzione, alla società senza bisogni, al libero amore; un'emittente che, nei suoi brevi, tredici mesi di vita - dal febbraio 1976 al marzo '77 - lasciò un'impronta indelebile su un'intera generazione.
Era l'epoca del Movimento, del femminismo, degli scontri di piazza; per alcuni, sarebbe diventata anche l'epoca della droga. E ora, a riportarla in auge, ci pensa uno dei tre film italiani in concorso alla Mostra di Venezia 2004: si chiama, appunto, Lavorare con lentezza, è diretto da Guido Chiesa, e interpretato, tra gli altri, da Valerio Mastandrea (nel ruolo di un poliziotto) e Claudia Pandolfi (è Marta, una delle ragazze del gruppo). Un'opera che è un omaggio a quella breve stagione: controversa, sì - l'emittente fu chiusa il primo marzo del '77, nel pieno degli scontri - ma certamente creativa e originale. Grazie anche al contributo di talenti come Bifo.
Torinese, classe '59, già indagatore del fenomeno in questione (col documentario Alice è in paradiso), Chiesa si ripresenta così al Festival veneziano, quattro anni dopo l'accoglienza freddina riservata al suo Partigiano Johnny. E lo fa con l'unica pellicola, tra quelle made in Italy in cartellone, che parla non solo di vicende private ma anche della nostra storia: "Non sono in grado di esprimere in una sola frase perché ho deciso di fare questo film - spiega - ma non l'ho fatto certo per nostalgia. Anche se è vero che Radio Alice è centrale, specie per come ha usato il linguaggio; un modo ancora attuale, libertario, senza censure, e non autoritario".
Ma la pellicola - prodotta dalla Fandango di Domenico Procacci, in collaborazione con Medusa - sceglie di parlare di quegli anni con un'ottica molto, molto particolare. E cioè partendo dal tentativo compiuto da due ragazzi bolognesi di periferia, Sgualo (Tommaso Ramenghi) e Pelo (Marco Luisi), di arrivare a rapinare una banca attraverso lo scavo di un tunnel. Ed è proprio mentre danno colpi di piccone sottoterra che i due, dotati di radiolina, scoprono i programmi di Alice: e sarà un vero colpo di fulmine, che li porterà in contatto con il popolo della radio e cambierà il corso della loro vita.
E ci sono anche altri elementi, che suscitano attesa per l'uscita del film (nelle sale a settembre). Ad esempio, un Mastandrea nel ruolo di poliziotto, dopo aver conquistato la Mostra di Venezia, due anni fa, come pilota di corse clandestine (in Velocità massima di Daniele Vicari, molto applaudito dal pubblico). O una Claudia Pandolfi che si rituffa nel cinema dopo il pieno di fiction. O, ancora, la presenza nella colonna sonora (e con un'apparizione nel film) del gruppo musicale Afterhours. E, soprattutto, il fatto che a scrivere la sceneggiatura, insieme allo stesso Chiesa, sono stati i cinque "creativi" del collettivo Wu Ming, autori di libri best-seller come Q.
Vedremo come la Mostra reagirà alla sfida di riportare d'attualità quell'epoca così forte. Secondo Chiesa, la battaglia si può vincere: anche se da allora sono trascorsi 27 anni, "quel rifiuto del mondo della fabbrica non ha cambiato di molto le cose. Anzi, in Occidente oggi si lavora molto più di prima e senza le garanzie di una volta. In più c'è anche maggior stress e competizione. Anche per questo - conclude - il tema mi sembra del tutto attuale".
repubblica (18 agosto 2004)
www.anarchaos.tk
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da Liberazione
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p. Friday, Aug. 27, 2004 at 8:34 PM |
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Da Liberazione del 25/VIII/2004
Il ritorno di Guido Chiesa
"Lavorare con lentezza, senza fare alcuno sforzo. Il lavoro ti fa male e ti manda all’ospedale". Il ritornello scritto dal barese Enzo Del Re era uno dei principali cavalli di battaglia di Radio Alice. E ora lo è di Guido Chiesa, regista che concorrerà al Leone d’oro e che ha scelto proprio “Lavorare con lentezza” come titolo per il suo film. Chiesa torna dunque sul luogo del delitto, ovvero a parlare della radio bolognese a cui nel 2002 aveva dedicato il bel documentario “Alice va in paradiso”.
Come mai?
E’ vero, torno a parlare di Radio Alice, ma non del ’77, anche se l’epoca è quella. Ci torno perché ho la netta convinzione che ciò che quella radio proponeva in anni così lontani è oggi di strettissima attualità. Radio Alice parlava di molte cose.Di amore, di gioia, del vivere la vita con ironia.
A cosa ti riferisci in particolar modo?
Tutto ciò che ha rappresentato quell’emittente in quegli anni e anche dopo, ovvero la sua rivoluzione nel campo della comunicazione politica, è rimasto ineguagliato. Ma il film si concentra soprattutto sul tema del lavoro, anzi del “rifiuto del lavoro”. Parola d’ordine di quegli anni che crediamo vada assolutamente riattualizzata.
In che senso?
Ti dò alcuni dati elaborati dall’Onu. Negli anni Trenta, in Occidente, si lavorava in media - nel corso di una vita - 90mila ore. Negli anni Settanta sono scese a 40mila. Oggi sono oltre le 100mila. Orario dunque aumentato per tutti, a fronte di un potere salariale diminuito, di garanzie sociali quasi inesistenti e di un carico di stress, dovuto alla competitività, in continuo aumento. Quando diciamo di riattualizzare lo slogan “rifiutare il lavoro” non intendiamo spingere all’ozio, ma rivendicare il lavoro come un’attività separata dal profitto.
Così sembra un’enunciazione un po’ astratta...
Altro che astratta! In queste settimane in Germania e Francia le grandi aziende stanno chiedendo ai lavoratori di tornare a lavorare 40 ore settimanali, con relativo aumento di stipendio. I lavoratori hanno detto “sì”. Non perché abbiano voglia di lavorare di più, ma perché sono sotto ricatto. Se non ci stanno, i padroni spostano le produzioni in Indonesia dove gli operai lavorano il triplo per stipendi minimi. Dovremmo, qui sì, fare una battaglia per la globalizzazione dell’orario a 35 ore, in tutte le parti del mondo.
Ma è una cosa possibile?
Certo che lo è. Nel senso che ci sono tutte le condizioni tecnologiche per farlo. Il problema è che si riducono i profitti degli industriali, e la cosa ovviamente non è gradita. Ma noi speriamo con il film di riattualizzare la sacrosanta battaglia del “lavorare meno, lavorare tutti”. Perché è una battaglia che rimette al centro dell’azione politica la vita e la felicità umana.
Parli sempre al plurale. Evidentemente intendi parlare di te e dei cinque autori Wu Ming che con te hanno scritto la sceneggiatura?
Certo. Abbiamo lavorato in una ottima armonia di intenti. Scrivere in sei è stata una grande esperienza, aiuta molto alla riduzione dell’ego individuale.
Cosa ti auguri per il tuo film a Venezia?
Che il film scateni una discussione su questi temi, che riporti al centro del dibattito la questione del lavoro e lo spazio che questo deve avere nella vita di ciascuno di noi. Protagonisti del film sono due ragazzi che preferiscono tentare una rapina piuttosto che andare a lavorare in fabbrica. Allora era così. I figli degli operai si inventavano di tutto pur di non percorrere le fatiche paterne. Spero che il film piaccia, certo. Ma spero soprattutto che faccia tanto discutere. Per questo abbiamo creato un sito (www. lavorareconlentezza.com) in cui siamo pronti a raccogliere ogni tipo di proposta e intervento.
RO. RO.
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..
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. Saturday, Aug. 28, 2004 at 1:42 PM |
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Sara' bellissima la Pandolfi a fare la nongarantita... gia' mi sbellico! Giusto perche' fara' vedere le sue doti prorompenti sara' da andarci...
ma i wuminghi non gli odiavano gli anni '70??? si vede che di fronte ai soldarelli le idee si snebbiano...
guidochiesa e' riuscito a fare un film orrendo dal partigiano johnny, con la scemeggiatura dei wuminghi fara' faville!
ma e' vero che romanzo criminale sara' portato sullo schermo da.... Michele Placido!!!!
NAPALM SUL CINEMA ITALIANO!!!!
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x miloz
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Ile Saturday, Aug. 28, 2004 at 2:57 PM |
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Mastandrea è un attore bravissimo (hai visto il Rugantino a teatro? Altro che "Palermo Milano solo andata"), oltre che un compagno. Ricordi quando, dopo la morte der patata, storico conduttore di radio onda rossa, fu denunciato per aver scritto su un muro "Er patata abita qui" vicino a falce e martello? Mastandrea è nato e cresciuto a Garbatella, uno dei quartieri popolari di Roma, è andato a scuola al Borromini, che ora non esiste neanche più. E a Garbatella ancora gira, lo si può incontrare in pizzeria. E' una persona normale. Che senso ha criticare un film che nessuno ha ancora visto, partendo poi da pregiudizi sugli attori?!
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rotfl
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x Saturday, Aug. 28, 2004 at 4:16 PM |
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Che è 'sta stronzata che i Wu Ming non si occupano degli anni 70"? l'avete letta la loro ricostruzione in "Nemici dello Stato"? e le loro campagne per gli esuli parigini? pure il testo dal sito del film che riporto qui sotto indica che sono dei cultori di quel decennio. comunque, il fatto che se ne parli male su Indy, a loro mi sa che va benissimo, visto che qui si è sempre agli antipodi della capacità di incidere sulla realtà.
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Anni Settanta: ma quale revival? - di Wu Ming
Dal punto di vista del costume, in Italia il revival dei Seventies comincia ufficialmente nel 1992 con il secondo album degli Elio e le storie tese, Italian Rum Casusu Cikti. Nelle canzoni si citano i borselli, l'analcolico biondo, le scarpe Tepa, Sandro Giacobbe, "Sei forte papà", le barzellette che i quarantenni di oggi si raccontavano alle medie. Le musiche fanno il verso al prog rock, ai cori dei Pooh, alle canzoni per bambini di Sergio Endrigo. Nel frattempo l'esondazione planetaria dell'hip-hop lascia nei campi della cultura sedimenti musicali di due decadi prima, che il fiume ha trascinato fino a noi: funk, disco, blaxploitation. Nel giro di qualche anno, trasmissioni televisive celebreranno nel prime time gli anni Settanta più frivoli, ma senza il tono dolente di Elio (cfr. "Tapparella", da Eat The Phikis, 1996). L'interesse per il côtè frivolo viene giustificato con la sfida allo stereotipo degli "Anni di Piombo", della decade fosca e mortifera: mica stavano tutti in giro a sparare e fuggire dagli sbirri, echeccazzo! In realtà, non si fa altro che ripescare un altro stereotipo, quello dei Seventies come anni trash, pacchiani e chiassosi, di innocente cattivo gusto, da rivisitare con la solita fredda ironia postmoderna. In breve, il citazionismo si fa stucchevole, Alvaro Vitali portato in trionfo, le parrucche afro fanno capolino ovunque, fino a fermarsi sulle teste di Bonolis e Laurenti che fanno la cover di Daddy Cool cambiando le lyrics: "Er barcarolo va / controcoré-e-nte". Il tutto implode nella breve ricomparsata sulle scene dei Cugini di Campagna. Nel frattempo, paradossalmente, cresce l'interesse per gli altri Seventies italiani, proprio quelli a cui s'era opposto il trashismo militante: gli anni Settanta plumbei, zavorrati di memorie mai digerite. L'evento fondante di quest'altro revival è la trasmissione-culto di Sergio Zavoli La notte della Repubblica (altra espressione che avrà grande successo), in onda nel 1989. Da quel momento è tutto un parlare di lotta armata, non si contano più i libri dedicati al fenomeno: interviste di reduci, biografie, pseudo-inchieste. Per ovvie ragioni, il fenomeno s'ingigantisce con l'inizio della recessione, il riesplodere del conflitto sociale, gli inevitabili paralleli tra il terrorismo "di ieri" e quello "di oggi" e, dulcis in fundo, gli anniversari: trentennali di questo, venticinquennali di quello, ventennali di codesto. E poi c'è il problema dei rifugiati all'estero (Francia, ma non solo). Oggi siamo probabilmente all'apice di quest'interesse per Brigate Rosse et similia, interesse che ha qualcosa di morboso. Ironia della storia, l'industria culturale considera "sexy" il brigatismo (forse una delle cose più fredde e asessuate di sempre), qualunque libro con la stella a cinque punte in copertina va via come brioscine calde. Dietro l'angolo, oramai, può esserci qualunque cosa, anche un musical sul sequestro Cirillo. E' possibile parlare di anni Settanta senza restare prigionieri dell'uno o dell'altro cliché? [WM]
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informarsi
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non-miloz Saturday, Aug. 28, 2004 at 4:20 PM |
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La Pandolfi non fa la non-garantita, fa l'avvocato. Mastandrea fa il caramba che dà l'ordine di sparare a Lorusso. I protagonisti del film non sono loro. Leggete le anteprime sul sito, bestie! Guido Chiesa è un compagno, presente a molti appuntamenti di movimento degli ultimi anni.
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carruba
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mastandrea = compagno Saturday, Aug. 28, 2004 at 4:28 PM |
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Mastandrea era a Genova e qualche tempo dopo scrisse un bell'articolo per Carta, contro le forze dell'ordine. Anche su Carta di questa settimana, intervistato sul film, dice cose molto belle contro le fiction coi carabinieri buoni. A pensarci, non mi viene in mente neanche un film italiano degli ultimi anni con un carabiniere cattivo. mi sa che questo è il primo dopo tantissimo tempo. Se i wming sono riusciti a imporre al cinema italiano una cosa del genere, li dobbiamo ringraziare.
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carruba
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mastandrea = compagno Saturday, Aug. 28, 2004 at 4:31 PM |
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Mastandrea era a Genova e qualche tempo dopo scrisse un bell'articolo per Carta, contro le forze dell'ordine. Anche su Carta di questa settimana, intervistato sul film, dice cose molto belle contro le fiction coi carabinieri buoni. A pensarci, non mi viene in mente neanche un film italiano degli ultimi anni con un carabiniere cattivo. mi sa che questo è il primo dopo tantissimo tempo. Se i wming sono riusciti a imporre al cinema italiano una cosa del genere, li dobbiamo ringraziare.
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mastandrea e i detenuti
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........ Saturday, Aug. 28, 2004 at 4:34 PM |
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x quelli ke scrivono stronzate su Mastandrea:
Documentario "Codice a sbarre" a Mostra Cinema di Venezia Il Messaggero, 5 giugno 2004
"Quando si parla della vita in carcere si tende sempre ad esagerare in un modo o nell’altro. La mia idea è quella di mostrare realmente cosa accade nei quattro metri per quattro di una cella, popolata da persone che hanno provato cosa vuol dire stare dietro le sbarre".
Il regista Ivano De Matteo fa sul serio. Così come Valerio Mastandrea, per l’occasione in veste di produttore insieme a Giorgio Formica, che ha provato sulla sua pelle la dura legge della prigione. La loro provocazione diventa realtà tangibile e si trasformerà in un documentario "che speriamo sia ancora in tempo per una possibile selezione alla Mostra del Cinema di Venezia. Sarebbe un piccolo miracolo". Oggi, al centro di Piazza Trilussa, monteranno davanti ad una platea di strada una struttura in plexiglas trasparente, che riproduce fedelmente una cella con tanto di piccolo lavabo, fornelletto, tavolo e letto a castello per una performance dal vivo assolutamente improvvisata che ha inizio alle 18. Titolo, Codice a sbarre.
In quel microcosmo lontano dal mondo, il tempo è scandito da caffè mandati giù a ripetizione, sigarette, partite a carte, chiacchiere su sport e politica, "rigidi cerimoniali, come la pulizia della cella, il pranzo, la cena, il bucato, che ricordano instancabilmente a che punto della giornata si è arrivati. Un secondo di carcere - dice ancora De Matteo - non vale centocinquanta giorni di "tugurio" di un reality show. Ma Codice a sbarre non è certo una risposta alle invenzioni della tv.
Qui si tratta di vita che brucia" Si chiamano Giulio, 48 anni, Ezio, 76 e Adamo, 38, tutti romani e Adel, 39 anni di Tunisi. Generazioni a confronto che, ognuna col suo preciso codice di vita, restituiscono emozioni, insegnamenti: "È certo un lavoro di sensibilizzazione il nostro - sottolinea Valerio Mastandrea - ma io, che spesso ho avuto modo di lavorare per e con i detenuti, ogni volta mi sono portato nella mente e nel cuore informazioni indicibili.
La persone che vivono in carcere hanno sensibilità e creatività impensabili, una energia incontrollabile. Quando sto lì dentro - dice ancora Valerio - mi sento male, ma poi capisco che non ne ho motivo perché le vibrazioni sono positive: le generazioni si annullano, così come il tempo. Tutto diventa irreale e allo stesso tempo molto più vivo che nel cosiddetto mondo dei giusti". I versi su nastro di poesie scritte dai parenti dei detenuti si uniscono a pensieri letti dagli stessi protagonisti del lavoro accompagnati da musiche di Mendhelson e Ciaikovskij. Alle 21 la porta della cella si aprirà "e i detenuti torneranno liberi - spiega Mastandrea -. Liberi di parlare con il pubblico, di respirare l’aria di una città che speriamo sempre più aperta".
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zippo
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zappo Saturday, Aug. 28, 2004 at 4:58 PM |
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Quelli che parlano male del film senza averlo visto (in realta' parlano male del casting...) fanno la stessa cosa di chi parla bene del film senza averlo visto....
quanto al ragionamento "mastandrea e' un compagno" (quindi - sottinteso - non se ne puo' parlar male).... no comment!
nessuno ha scritto che i wuminghi non si occupano degli anni '70, ma che il loro giudizio su quegli anni e' molto cambiato da prima a dopo aver scritto il film ed essersi pappati i soldini della produzione...
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x zappo
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zeppo marx Saturday, Aug. 28, 2004 at 5:24 PM |
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Zappo, nella prima parte del tuo msg hai in parte ragione (anche se chi ricorda che Mastandrea è un compagno lo fa in polemica con chi scrive che se in un film c'è Mastandrea non può essere un film politicamente accettabile), nella seconda invece non hai la minima idea di che cazzo stai dicendo. "Nemici dello Stato", la lunga ricostruzione blissettiana/wuminghiana del periodo dell'emergenza e delle leggi speciali, è di sei anni fa, che c'entrano i soldi della produzione? Non tutto quello che scrivono mi piace ma se tutti i compagni la conoscessero come loro, la storia dei movimenti, anche qui sopra si leggerebbero meno stronzate. Scaricatelo, quel cazzo di libro, è gratis sul sito dei WM.
Ecco un pezzo di introduzione:
...nel 1973, su iniziativa di David Rockefeller, nasce la Trilateral Commission, gruppo di pressione di cui fanno parte i più importanti magnati e capitani d'industria americani, europei e giapponesi, oltre a politici, economisti e giornalisti. La posizione della Trilateral è che in nome della "stabilità" del sistema si debbano porre limiti alla "estensione potenzialmente indefinita della democrazia politica". La partecipazione di sempre più gruppi (tra cui "i negri") sta provocando un "indebolimento dei mezzi tradizionali di controllo sociale" e "una delegittimazione dell'autorità politica". Per far funzionare il sistema e non "sovraccaricarlo" di "richieste che estendono le sue funzioni ed erodono la sua autorità", è necessaria "una certa misura di apatia" e la "marginalizzazione di alcuni gruppi". Secondo la Trilateral i governi devono affrontare una "minaccia interna" rappresentata dagli intellettuali radicali che seminano "disgusto" e "malcontento", pericolo "potenzialmente almeno, serio allo stesso modo in cui lo furono in passato... i movimenti fascisti e comunisti"[5]. È in questo periodo che la "stabilità" e la "governabilità" del sistema iniziano a essere considerati valori puri e indiscutibili. La crisi dello stato sociale fordista si "risolverà" in un lungo processo di involuzione autoritaria.
Zoom in: con la proposta di "compromesso storico" il Pci inizia a cambiare strategia, fino a identificarsi completamente con la repressione e le leggi speciali, invitando i propri iscritti alla delazione sistematica e spedendo i propri magistrati alla crociata contro i sovversivi. Una mutazione irreversibile, che farà del Pci/Pds/Ds una forza politica giustizialista, alla quale s'iscriverebbero volentieri Judge Dredd e Marion Cobretti. Ma procediamo per gradi.
Il "compromesso storico" viene annunciato alla fine del 1973: è il progetto di un’alleanza tra i due più grandi partiti italiani, Pci e Democrazia Cristiana. Dai tragici eventi cileni dello stesso anno, Enrico Berlinguer trae la conclusione che la sinistra non potrebbe governare da sola nemmeno col 51% dei voti. Occorre dunque superare la conventio ad excludendum decisa dagli Stati Uniti, far entrare il Pci nella maggioranza parlamentare e unire le masse cattoliche a quelle comuniste, in modo da creare una maggioranza sociale oltre che politica, e scongiurare il pericolo di un colpo di stato (la Dc cilena ha appoggiato il golpe di Pinochet). Nonostante la Dc si mostri ostile a quest'ipotesi, Berlinguer persevera e ribadisce le sue tesi al XIV° congresso del partito (marzo 1975). Per dimostrare nei fatti di essere ormai un partito democratico e filo-atlantico, il Pci collabora a imporre ai lavoratori la cosiddetta "austerità", cioè la deflazione monetaria e la politica di tagli e sacrifici rese "necessarie" dalla crisi energetica e dalla crisi strutturale del modello industriale fordista.
Il Pci ottiene un super-risultato alle elezioni amministrative del 1975, col 33,4% (+5,5% rispetto alle politiche del '72) e alle politiche del 1976 col 34,4%, massimo risultato di sempre. Ma non si tratta di una ratifica da parte delle masse della strategia berlingueriana: al contrario, è l’onda lunga della vittoria al referendum sul divorzio (1974), e in generale della stagione di riforme iniziata con lo Statuto dei lavoratori. Il Pci non lo capisce, e investe i suoi voti astenendosi sulla formazione di un monocolore democristiano guidato da Giulio Andreotti. È la paradossale formula della "non sfiducia", passo decisivo verso l'attuazione del compromesso storico.
In questi anni trova forma compiuta il "consociativismo" a livello nazionale e locale. La lottizzazione degli enti pubblici e la spartizione partitocratica dei posti di potere non hanno alcun fine di "vigilanza democratica", anzi: per essere accettato nell'area di governo, il Pci abdica a qualunque funzione di controllo e denuncia degli abusi polizieschi e di altri fenomeni, uno su tutti la corruzione. Dovrebbe far riflettere il fatto che la grande fase riformatrice seguita all'Autunno Caldo si esaurisca più o meno contemporaneamente alla proclamazione del "compromesso storico".
I conflitti sociali s'inaspriscono, aumentano di intensità, e poiché non c'è più una vera e propria opposizione, ai movimenti non resta che mettere in crisi le forme di rappresentanza politica e sindacale. È il periodo delle "assemblee autonome" nelle fabbriche occupate, lo stesso in cui si forma l'area dell'autonomia operaia organizzata. Mantenere l'ordine pubblico si fa sempre più difficile, servono leggi speciali. Qui inizia il primo capitolo di questo libro, e la lunghissima notte dei lunghi coltelli durante la quale il Pci annienterà o consegnerà al boia più o meno chiunque si muova alla sua sinistra.
A tutti i livelli e con ogni mezzo, il Pci si dedica alla metodica demolizione dei movimenti nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università, nei quartieri: fino alla trasformazione delle sezioni in commissariati ausiliari, all'intimidazione verso gli intellettuali, all'utilizzo di ogni strumento dell'arsenale stalinista nella battaglia contro il terrorismo e l'eversione.
Il disorientamento della base operaia del partito viene incanalato nell’odio isterico per gli "estremisti", i "gruppettari", gli "autonomi", i "terroristi". Il Pci diffonde la psicosi anche tra le proprie fila: la dirigenza non può digerire il fatto che alcuni brigatisti arrestati siano ex-militanti del partito, e fa partire sempre più pressanti inviti alla delazione. Racconta il giudice Ferdinando Imposimato:
Nelle mie indagini ho sempre visto nel Pci il più feroce antagonista di questi transfughi. Ci offrivano collaborazione, ci segnalavano persone... Più di una volta venne da me un avvocato, a nome di Berlinguer, per comunicarmi spunti d'indagine e notizie su alcuni inquisiti. In certi casi il Pci ha finito per esagerare, come quando espulse dal partito un sindacalista accusato ingiustamente dalla falsa confessione di un "pentito". (cit. in: Centro di iniziativa Luca Rossi, Gladio, stragi, riforme istituzionali, autoprod., Milano 1991, p.33)
Il movimento del '77 sancisce definitivamente la reciproca ostilità tra movimento e partito-sindacato. "Untorelli", "fascisti" e "diciannovisti" sono alcuni degli epiteti usati da Berlinguer per descrivere gli studenti che occupano le università. A Roma, gli occupanti cacciano dalla Sapienza Lama e il suo servizio d'ordine. Ma è a Bologna, perenne show-case del buongoverno pciista, che avviene lo scontro al tempo stesso più duro e più simbolico:
...riappare la doppia organizzazione del Pci. A Bologna l'apparato paramilitare e violento è fornito da alcune aziende municipalizzate, dai loro servizi d'ordine con cui la pubblica amministrazione fornisce aiuti e forza al partito: cosa per niente inedita in un paese dove il partito di governo, la Dc, considera lo stato come una sua proprietà, ma sempre scandalosa. Sta di fatto che ci sono uffici del comune che provvedono con i mezzi comunali a schedare i nuovi sovversivi, gli avversari del partito e che nella circostanza si mettono a disposizione della polizia. (Giorgio Bocca, Noi terroristi. Dodici anni di lotta armata ricostruiti e discussi con i protagonisti, Garzanti, Milano 1985, p.178)
Fra il febbraio e il marzo 1978 il presidente della Dc Aldo Moro tira le redini di un governo di "solidarietà nazionale", che il Pci voterà in parlamento pur non occupandovi poltrone ministeriali. Moro viene rapito il 16 marzo, il giorno stesso in cui il governo si presenta alle camere. Nei 54 giorni del sequestro, il Pci è l'anima di quel "fronte della fermezza" che rifiuta ostinatamente di trattare con le Br, lasciando che queste ultime eseguano la loro sentenza di morte.
La base del Pci non si raccapezza più, e le elezioni amministrative del maggio 1978 segnano un grave arretramento del partito (-7,1% rispetto alle politiche del '76). È la fine della tendenza iniziata con l'Autunno Caldo. Finisce anche la "solidarietà nazionale", poiché l'emorragia di voti apre una grande crisi all'interno del Pci, che esce dal governo nel gennaio '79 e come se niente fosse torna a predicare l' "alternativa". Invero, nessuna alternativa è più praticabile: l'eroina è ovunque; le avanguardie rivoluzionarie e giovanili sono state distrutte; centinaia di militanti affollano le patrie galere, altri se la sono svignata prima di finirci; soprattutto, nelle fabbriche si è imposta una pax romana, il padronato non ha più paura di pigiare sul pedale del downsizing e dei licenziamenti di massa, della fuoriuscita violenta dal taylorismo. Nel 1980 la sconfitta degli operai della Fiat di Torino e la strage di stato alla stazione di Bologna sono l'epilogo più appropriato di una tragedia decennale [6].
Il Pci non ammetterà mai le proprie gravissime responsabilità, anzi, si appunterà sul bavero la coccarda insanguinata della "vittoria sul terrorismo".
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pietà
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x ufficio stampa wuminchi Saturday, Aug. 28, 2004 at 6:32 PM |
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basta con questo promuovere l'anteprima sono già stremato :) Se volete far colpo in modo politicamente corretto mettete una copia divx o avi su qualche P2P così uno sceglie se andare al cine o vedere gratis alla faccia dal mercato
Ho fatto una scommessa: appena meglio de La meglio gioventù e molto al di sotto del capolavoro anche formale di Kassovitz
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pippe
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. Saturday, Aug. 28, 2004 at 6:38 PM |
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lo danno a venezia il 4, c'è scritto sul sito. i WM e Mastandrea non frequentano Indy, mica è colpa loro se qui i thread diventano di una lunghezza infinita e su qualunque argomento ci si fanno le pippe?! aspettate di vederlo, 'sto cazzo di film, poi ne parlate, bene o male! segaioli.
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ah
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quello di prima Saturday, Aug. 28, 2004 at 6:58 PM |
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>WM e Mastandrea non frequentano Indy
ahhahahha allora visto che sei informatissimo :) che non ne sbagli una guarda caso una fagli un fischio e digli che un film sul 77, di qualsiasi qualità sia, con intento militante abbisogna di una copia in rete messa a bella posta dagli autori.
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lezioni
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pentolone Saturday, Aug. 28, 2004 at 7:41 PM |
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un film sul settantasette si ma che non lo si scarichi gratis e soprattutto senza gesti che rompano davvero con la logica di mercato. Quando comincia a girare in rete allora si fa l'apologia di chi scarica tanto per stare sia dalla parte del mercato che da quella di chi è fuori dal mercato
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e domandaglielo, no?
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quell'altro Saturday, Aug. 28, 2004 at 7:46 PM |
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sul sito del film c'è uno spazio x i commenti, perché non gliela chiedi direttamente questa cosa? magari mi sbaglio, ma mi sa che nel cinema lo sceneggiatore non ce li ha i diritti dell'opera, non può farci quello che vuole,, e forse manco il regista.
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Mastandrea
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Ile Sunday, Aug. 29, 2004 at 12:47 PM |
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Eh no, io non dico che non si può parlar male di mastandrea perchè è un compagno, ma cerco solo di spiegare il fatto che non è detto che uno che abbia fatto "Palermo milano solo andata" non può recitare bene in un film su '77. Per di più è un compagno (ed è preparato sull'argomento, te lo assicuro, conosco la sua insegnante di lettere delle superiori) e, quindi, lo avrà fatto anche con una certa sensibilità. Detto questo, il film potrà anche essere una cagata, ma la responsabilità non sarà certo di mastandrea.
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Mastandrea
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. Sunday, Aug. 29, 2004 at 1:50 PM |
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tie', ho scannerizzato la parte di articolo di Carta con le dichiarazioni di Mastandrea. ho corretto gli errori ma me ne e' scappato qualcuno disicuro:
"’L’odore della notte’ - ricorda Valerio Mastandrea - si svolgeva nello stesso periodo storico, ma con al centro il punio di vista di un gruppo di giovani emarginati che tentavano un assalto al cielo, completamente impermeabili al subbuglio sociale e politico che li circondava. Questo, invece, non vuole essere un film sul pas5ato o su un grande evento del passato, ma una storia su un frammento di vita che, semplicemente, è per sempre. Una narrazione su una stagione difficile ma affascinante, segnata da un conflitto sociale aspro, radicale, tra scelte di vita, aspirazioni, desideri contrapposti. Un mondo violento, ma non in misura maggiore o minore di altre epoche storiche. Cambia il modo non l?intensità: a Genova, nel luqlio del 2001, eravamo armati soltanto di 'fucili' elettronici e il potere ha colpito duramente senza concedere vie di fuga". "Nel 1977 avevo cinque anni e la mia memoria di quegli eventi è costruita sui racconti di famiglia e sulle testimonianze storiche pubbliche: giornali, libri, musica - continua Mastandrea - È stato strano riviverle nel film con addosso Ia divisa del tenente dei carabinieri Lippolis, ‘un drammatico bastardo’, come mi hanno definito i Wu Ming. Sinceramente, per l’obiettivo che mi ero proposto, avei preferito soltanto uno dei due aggettivi. Si tratta di un personaggio che si definisce per quel poco di potere che esercita. Detiene un’autorità che deriva non da quello che vale ma da quello che indossa. Una per5ona completamente indifferente a tutti gli stimoli di quelle giornate, che rappresenta benissimo il vero pericolo di un potere ottuso, ignorante, imcapace anche di riconoscere un qualche tipo di dignità al nemico". Non è stato facile, per Valerio, mettersi in divisa: "Dopo la giornata tragica del 20 luglio 2001, dopo la morte di Carlo, Giuliano Giuliani disse una cosa importante, con un carico di umanità straordinario: ‘Occorre andare oltre il modo di vestire delle persone’, impedire che una divisa o un tipo di lavoro determinino il giudizio morale, etico, politico nei confronti di qualcuno. Ecco, un giorno vorrei trovare la forza e la capacità per dirgli che non la penso così, che invece è importante ridare senso pieno alle scelte individuali, ricostruire il peso e gli effetti dei meccanismi di coercizione, svelarne il filo e, certamente, il grado di responsabilità. La rabbia di quei giorni mi ha portato a pensare che è giusto ridare i vestiti alla gente, che ho voluto interpretare il mio personaggio anche per rompere la retorica insopportabile di questa overdose di eroi in divisa senza macchia e paura, una fiction e un cinema che vogliono rassicurarci in tutti i modi sulla qualità e il ruolo delle categorie. Per un attore, recitare un personaggio d’epoca, ‘travestirsi’ in un ruolo rappresenta un gioco meraviglioso, restituisce in pieno il senso di questo mestiere. È come se fosse sempre carnevale, con la differenza che non sei costretto alle parate da strada ma addirittura ti pagano pure". L’attore romano racconta di aver accettato di recitare in questo film per tre motivi: il primo sono i Wu Ming, "che hanno portato la loro attitudine alla destrutturazione della scrittura e del linguaggio, letterario o storico, nell’anima della sceneggiatura, che è molto distante da qualsiasi opera romanzata o saggistica. Non c’è nessuna facile consolazione, non si tirano somme, si percepisce un’anima, si legge quella storia come storia di una impresa umana, collettiva, come un punto di rottura culturale con tutto ciò che lo precedeva. Nella mia esperienza, il loro capolavoro, ‘Q’, ha un posto speciale perché mi ha insegnato a leggere. È stata una scoperta che ha cambiato il mio rapporto con la letteratura e la scrittura". "Questo stesso talento - prosegue Mastandrea - fonda il senso del film, caratterizza i dialoghi, consegnando uno scenario narrativo rigoroso, puntuale e mai retorico". Poi c’è il regista, Guido Chiesa, "che ha contribuito a una struttura drammaturgica più compiuta, attraverso l’inserimento di alcune figure ‘classiche’ [l’antagonista, la crisi] che disegnano una trama indispensabile. Anche la scelta del cast non è stata facile: ci sono così tanti personaggi integrati fra di loro che sarebbe bastato poco per rovinare un quadro d’insieme già così precario". Infine, conclude l'attore, "questo film, pur raccontando un pezzo di quello che storicamente, o almeno per quella generazione, è stato un movimento sociale ‘sconfitto’, dalle armi, dal carcere, dall’eroina, si sottrae alla trappola del vittimismo e della retorica. Grazie, soprattutto, al senso profondo rappresentanto dall’esperienza di Radio Alice, che ha portato con sé una rivoluzione di stili, linguaggi, immaginari, relazioni, che ha trasformato i codici della militanza di fine secolo. D’altra parte, quell’esperienza ha dato molto alla nascita e allo sviluppo del movimento globale. Infatti, se a Venezia, in ocasione della Mostra del cinema, arriveranno gli Intermittenti, me metto 'na parucca e faccio quello che me dicono…".
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