articolo del 10/10/04
Italia e Svizzera dietro la chiusura di Indymedia
L'operazione contro il sito è partita dai pm di Bologna: «Indaghiamo per terrorismo, ma non abbiamo chiesto sequestri». Richieste all'Fbi anche da Ginevra. E An rivendica
ALESSANDRO MANTOVANI SERENA TINARI
Nessuno, per ora, ha voglia di prendersi la responsabilità dell'oscuramento di Indymedia Italia e di una ventina di siti Indymedia in giro per il mondo. L'Fbi, che giovedì ha materialmente prelevato gli hard disk dei due server negli uffici londinesi del provider Usa Rackspace, fa sapere di aver agito in base a richieste di stati stranieri (Italia e Svizzera, si dice da due giorni), limitandosi a «fare il postino», nell'ambito del trattato di assistenza giudiziaria in materia di terrorismo, sequestri di persona e riciclaggio. La procura di Bologna, che indaga su Indymedia per vari reati, ammette di aver avviato una rogatoria negli Usa, per le normali vie diplomatiche del ministero della giustizia: «Ma non abbiamo chiesto alcun sequestro, abbiamo chiesto soltanto dati e informazioni in relazione a indagini tuttora coperte da segreto, collegate a vicende di terrorismo», spiega la pm Marina Plazzi, titolare dell'inchiesta sul vilipendio dei caduti di Nassiriya che un anno fa fece insorgere Alleanza nazionale (nessuna rogatoria, però, sarebbe possibile su quella base) ma anche di altre: per esempio del fascicolo sugli anarchici della «Fai informale» responsabili degli attentati a Romano Prodi del dicembre 2003, fatti ovviamente discussi e commentati su Indymedia insieme al testo della rivendicazione. Un investigatore aggiunge: «Agli Usa chiedemmo, mesi fa, l'individuazione di alcune persone». Forse gli autori di alcuni messaggi. Di più a Bologna non dicono, anche perché sostengono di non conoscere gli esiti della rogatoria. E si sbottona poco anche l'altro ufficio giudiziario coinvolto, l'altro probabile «committente» dell'Fbi: la procura cantonale svizzera di Ginevra che procede contro ignoti per la pubblicazione, su Indymedia Nantes e Indymedia Seattle, di foto e dati personali di due ispettori della polizia ginevrina, appartenenti alla squadra speciale che indaga sui disordini del G8 di Evian nel 2003. «Ho aperto un'inchiesta ma non aggiungerò altro» è la laconica dichiarazione del procuratore Daniel Zappelli. Fonti di polizia però assicurano che l'Fbi si è attivata su richiesta svizzera, mentre l'avvocato dei due ispettori, maître Marc öderlin, aggiunge che «da parte nostra non avevamo chiesto sequestri, né la chiusura dei siti, ma solo la rimozione delle pagine che raffiguravano i due ispettori e l'individuazione di chi aveva scattato la foto». Il legale è furioso perché le foto dei poliziotti sono riapparse su http://www.indymedia.ch E conferma i rapporti diretti tra polizia elvetica e Fbi. Ma aggiunge: «Ho depositato tutto solo quattro giorni fa, sarebbe curioso che l'atto ginevrino fosse già arrivato a destinazione negli Usa».
Un po' di mistero rimane, su questa brutta storia. Ma conviene ricordare che neppure Jennifer O'Connell, portavoce della società Rackspace che è uno dei maggiori provider internet degli Stati uniti, ha mai parlato di sequestri o perquisizioni. «Abbiamo consegnato gli hard disk - ha spiegato in una lettera a Indymedia - perché eravamo tenuti a farlo». E invece c'è qualche dubbio, tra gli attivisti di Indymedia Italia e i loro avvocati, sul fatto che la giurisdizione dell'Fbi potesse estendersi fino agli uffici londinesi di una società Usa. Per non dire della consegna spontanea dei due server senza neppure consultare il cliente: chissà se i «postini» dell'Fbi si sarebbero mai aspettati tanta disponibilità, perfino oltreoceano. Ora, probabilmente, gli inquirenti faranno una copia e restituiranno gli hard disk.
Tace il guardasigilli Roberto Castelli, dal quale dipendono in ultima istanza le rogatorie. Nessuna conferma dagli uffici del ministero di via Arenula, solo la precisazione che «un sequestro non sarebbe neppure ipotizzabile perché violerebbe la legge italiana sulla stampa». Dal Viminale prendono le distanze: «La polizia non c'entra, né la postale né l'antiterrorismo». Ma intanto l'oscuramento di Indymedia Italia scatena i festeggiamenti sguaiati della destra liberticida, quella che ha sempre sbraitato contro il sito no gobal e ora rivendica. Così Mario Landolfi, portavoce di Alleanza nazionale: «Aver oscurato Indymedia è stata una cosa buona e giusta: non si trattava di controinformazione ma di un sito che sputava fango e veleno, pieno di oscenita», ha dichiarato ieri. Landolfi non è uno qualsiasi: era stato lui, un anno fa, a chiedere la chiusura di Indymedia con il pretesto di frasi ingiuriose scritte da chissà chi, nello spazio aperto a tutti, nei confronti dei carabinieri e dei soldati rimasti uccisi a Nassiriya nella strage del 12 novembre 2003, ottenendo una risposta compiacente e compiaciuta dal suo compagno (camerata?) di partito Paolo Valentino, sottosegretario alla giustizia: «Non escludiamo rogatorie negli Usa», diceva Valentino a nome del governo. Ieri Landolfi ha precisato di non sapere nulla del procedimento in corso, mentre Valentino era irreperibile.
Fini era in Vietnam e «di questa storia non sa nulla», dicono i suoi. Palazzo Chigi risponde: «Chiamate Castelli». A difesa di Indymedia, oltre alla Fnsi, si schierano i Verdi con Paolo Cento, Rifondazione con Alfio Nicotra, la sinistra Ds con Pietro Folena e Articolo 21 con Beppe Giulietti. Chiedono che il governo riferisca in parlamento.
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