Articolo pubblicato oggi sul Manifesto
Dalla bomba a Prodi alla chiusura di Indymedia La procura di Bologna: «Nostra la rogatoria negli Usa, non il sequestro». E il governo gioca a scaricabarile ALESSANDRO MANTOVANI SARA MENAFRA
«Quello che vi posso dire è che io non ho sequestrato i server di Indymedia. E tantomeno ho aperto un'indagine su Indymedia su commissione del governo o di Alleanza nazionale». Nel suo ufficio alla procura di Bologna, la pm Morena Plazzi respinge i cronisti. «La nostra rogatoria si riferiva unicamente alla ricerca di alcune informazioni presso la società statunitense che ospita i server di Indymedia Italia. E non abbiamo ancora avuto risposte. Quindi - aggiunge la pm - non possiamo neanche dire con certezza che quanto è successo sia dipeso dalla nostra rogatoria». Quanto è successo è l'oscuramento di Indymedia Italia e di una ventina di altri siti Indymedia nel mondo. Il portale italiano ha ripreso a funzionare con un altro provider, ma tutto ciò che è passato su italy.indymedia.org rimane all'Fbi. Giovedì 7 gli investigatori federali hanno fatto visita agli uffici del provider Rackspace a San Antonio, Texas, ottenendo la consegna degli hard disk conservati a Londra, in base a richieste da Italia e Svizzera. E la rogatoria, effettivamente, era partita da Bologna. L'inchiesta della pm Plazzi riguarderebbe la Federazione anarchica informale/Fai che lo scorso dicembre firmò i pacchi incendiari a Romano Prodi e ad altri responsabili Ue. Il 23 dicembre un lungo documento, spedito a Repubblica, annunciava la nascita di una federazione tra diverse sigle della galassia «anarco-insurrezionalista». Il testo integrale finì su Indymedia Italia. E siccome i server sono all'estero la procura bolognese attivò la rogatoria per identificare gli autori del messaggio. Conferma il procuratore capo, Enrico Di Nicola: «In relazione alle notizie di stampa concernenti una temporanea chiusura del sito Indymedia, ordinata dal tribunale di San Antonio, Texas, la procura di Bologna precisa che è stata espletata rogatoria internazionale per accedere ad informazioni specifiche e mirate presso il provider di Indymedia. Tali informazioni non riguardano la gestione né il contenuto del sito», sottolinea Di Nicola per chiarire che la legge sulla stampa non è stata violata. La pm Plazzi, nota anche per indagini coraggiose e per il tentativo di processare un maresciallo che ha sparato a un albanese, ha assicurato agli avvocati di Indymedia che darà loro tutte le informazioni non appena le riceverà dagli Usa.
C'è insomma un discreto imbarazzo, a Bologna. E anche a Roma, dove il ministero della giustizia non fornisce dettagli sulla rogatoria. An fa festa ma l'unico a parlare, a nome del governo, è stato il ministro dell'innovazione tecnologica, l'ex amministratore delegato di Ibm Italia Lucio Stanca: «La rete è un grande spazio di libertà e come tale va salvaguardato, e proprio per questo non può essere una zona franca - ha detto Stanca domenica - Se c'è stato un intervento dell'autorità competente, ossia la magistratura, è evidente che ci sono motivi validi». Quali siano il ministro non lo dice. Gli piace, però, ricordare che «l'oscuramento riguarda un sito che offende la memoria di eroi caduti per mano di terroristi». Riferimento alla strage di Nassiriya, commentata su Indymedia con toni che spinsero An a chiederne la chiusura.
Ci vorrà tempo per chiarire le responsabilità della procura di Bologna e dei governi di Italia e Usa. Le risposte di Stanca, comunque, non soddisfano le opposizioni, che hanno presentato numerose interrogazioni.
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