articolo sull arestituzione dei dischi che gia' caldeggia l'ipotesi della procura di bologna come mandante
INTERNET L'Fbi restituisce i server di Indymedia Dissequestro disposto dalla corte Usa dopo 7 giorni. Gli indyani: «Ora vogliamo la verità» ALESSANDRO MANTOVANI Il provider internet Rackspace ha comunicato a Indymedia che gli hard disk sequestrati sono stati restituiti ai suoi uffici di Londra, dove erano stati prelevati il 7 ottobre. Jason Carter, responsabile commerciale di Rackspace, ieri mattina ha spedito una laconica e-mail agli attivisti statunitensi di Indymedia: «Ho appena avuto notizia che l'ordine della corte è stato eseguito, i vostri server saranno on line a Londra alle 5 del pomeriggio. Vi trasmetterò le ulteriori informazioni che saranno disponibili e che sarò autorizzato a fornirvi». La corte dovrebbe essere quella di San Antonio (Texas), che giovedì scorso aveva spedito l'Fbi negli uffici texani di Rackspace, uno dei maggiori provider degli Usa. Per quanto è stato possibile ricostruire i giudici Usa e l'Fbi erano stati chiamati in causa, con rogatoria internazionale, dalla procura di Bologna, che non indaga su Indymedia ma punta ad alcune informazioni passate sul sito italiano (a quanto pare nell'ambito dell'inchiesta attentati sulla Federazione anarchica informale/Fai che firmò gli attentati del dicembre 2003 contro Romano Prodi e altri responsabili Ue). E' un'indagine sul terrorismo che permette il ricorso alle più ampie facoltà previste dai trattati internazionali di assistenza giudiziaria. E siccome i magistrati italiani, nei giorni scorsi, hanno dichiarato di «non aver mai chiesto il sequestro né la chiusura dei siti», facendo intendere che l'Fbi poteva essere andato al di là del mandato ricevuto, a questo punto la riconsegna del materiale potrebbe essere stata disposta proprio da Bologna. La pm Morena Plazzi, in sostanza, potrebbe aver rinunciato alla convalida del sequestro, molto discutibile per il diritto italiano. Ieri sera non è stato possibile ottenerne conferma. Oggi gli avvocati di Indymedia cercheranno di capire qualcosa di più.
«Questa storia non finisce qui, non possono certo dire `ci siamo sbagliati, arrivederci e grazie' - commentano a botta calda gli indyani italiani - Vogliamo sapere come sono andate le cose, vogliamo la verità. Ciascuno deve prendersi le sue responsabilità». Vale per i magistrati bolognesi, per il governo italiano che ha inoltrato la rogatoria e deve rispondere alle in parlamento a Prc, Verdi e Ds vari, per l'Fbi e per le autorità Usa. Vale anche per la procura e di Ginevra, dalla quale sarebbe partito (ma non c'è conferma) un altro misteriosi mandati contro Indymedia (in relazione alla pubblicazione di foto e dati personali di due poliziotti ginevrini). Vale infine per Rackspace, che ai suoi clienti di Indymedia non ha mai dato informazioni precise, né ha mai mostrato il mandato presentato dall'Fbi. E forse vale anche per le autorità di Londra, dove non si è ancora capito quali soggetti siano entrati in azione. Questa vicenda pone infatti problemi enormi sul piano della libertà dell'informazione, dello status giuridico dei dati su supporto digitale e dell'extraterritorialità delle procedure antiterrorismo. E Indymedia si appresta ad affrontare anche problemi tecnici, perché il sistema si è dimostrato assai più vulnerabile del previsto.
I server tornati a casa non hanno ancora ripreso a funzionare. «Rackspace è pronta a rimetterli su - fanno sapere gli attivisti di Indymedia dagli Usa - ma non abbiamo ancora potuto verificare se i dati originali sono al loro posto. Li stiamo trattando come dischi compromessi (craccati). E' un'operazione molto lunga. Il governo probabilmente ha fatto delle copie» (questa è ben più di una probabilità). Indymedia Italia rimane on line con le nuove macchine attivate in via d'emergenza sabato. I siti abbattuti sono più di venti nel mondo.
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