Nella notte tra il 26 ed il 27 settembre 1970 cinque giovani calabresi
muoiono a bordo di una “Mini Morris” che si schianta a tutta velocità
contro un camion targato Salerno e condotto da Serafini Aniello. I
cinque erano diretti verso Roma, lo scontro contro il camion che viaggia
a bassa velocità e con le luci spente avviene sull’autostrada del sole
al chilometro 58 tra Anagni e Ferentino.
12 dicembre 1969 ore 16.30 esplode una bomba nella sede milanese della banca nazionale dell’Agricoltura. La strage, conosciuta come “La strage di stato” segna l’inizio di una lunghissima teoria di bombe e attentati che insanguinano il paese lasciando su strade, piazze, stazioni, aerei, navi, centinaia e centinaia di cadaveri. Ancora oggi, a distanza di 26 anni, quella come tutte le altre stragi del nostro “bel paese”, restano un mistero o forse solo un segreto custodito in qualche inaccessibile cassaforte dello stato. Mai nessun governo ha voluto fare luce sulle stragi, le commissioni parlamentari che si sono succedute hanno lanciato messaggi chiari, ma la magistratura non sembra raccogliere i segnali. L’Italia si scalda sulle polemiche attorno al “pool” milanese, la stampa insegue il personaggio Di Pietro o l’ex Gladiatore che si lamenta perchè licenziato e senza pensione. Stanche celebrazioni ricordano i martiri di una guerra mai dichiarata. Tra depistaggi, silenzi, magistrati trasferiti, inchieste abbandonate ce n’è anche una mai iniziata come la “Strage di cinque anarchici” che vogliamo raccontarvi nella speranza che l’Italia possa scaldarsi anche per loro. Nella notte tra il 26 ed il 27 settembre 1970 cinque giovani calabresi muoiono a bordo di una “Mini Morris” che si schianta a tutta velocità contro un camion targato Salerno e condotto da Serafini Aniello. I cinque erano diretti verso Roma, lo scontro contro il camion che viaggia a bassa velocità e con le luci spente avviene sull’autostrada del sole al chilometro 58 tra Anagni e Ferentino. Tre muiono sul colpo, Giovanni Aricò, 22 anni di Reggio Calabria, Luigi Lo Celso, 26 anni di Cosenza, Angelo Casile, 20 anni di Reggio Calabria, Francesco Cardò, 26 anni, di Reggio Calabria muore appena giunto all’ospedale di Frosinone, Annalisa Borth, 18 anni, moglie di Casile e in stato interessante, muore all’ospedale San Giovanni di Roma. Ma chi erano i cinque giovani e perchè l’ipotesi di strage? I ragazzi erano tutti anarchici (dopo la strage di Piazza Fontana la caccia all’anarchico era lo sport preferito da giornalisti e poliziotti), tre di loro erano stati prima indagati, poi dichiarati testimoni del primo processo di Catanzaro contro l’anarchico Valpreda. Uno dei tre, Casile, poteva testimoniare di aver visto un noto squadrista calabrese, Giuseppe Schirinzi, legato al fascista Merlino con il quale partecipò ad un raduno dei colonnelli greci, il 12 dicembre a Roma, giorno in cui esplosero tre bombe. Schirinzi, viceversa, dichiarava e veniva creduto dalla polizia, di essere rimasto a letto con la febbre alta a casa della zia. Lo stesso Schirinzi processato e condannato assieme al “camerata” di fede, Pardo, per gli attentati dell’8 dicembre a Reggio Calabria. Durante i moti del “Boia chi molla” a Reggio Calabria, gli anarchici Casile, Scordo e Aricò svolgono una inchiesta sul ruolo ed i legami tra Avanguardia nazionale di Delle Chiaie, Ordine nuovo di Rauti ed il Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese ed il Movimento sociale italiano. Continuano ad indagare anche dopo, quando cominciano a scoppiare le bombe, sia per potersi difendere da chi accusa a mani basse gli anarchici, sia per dimostrare che lo stragismo è nero. Quando il 22 luglio del 1970 a Gioia Tauro deraglia il treno del sole, loro sono convinti si sia trattato di un’attentato, altro che errore del macchinista. Fu forse questa intuizione a condannare i giovani a morte. Ipotizzarono che quell’attentato fosse opera degli elementi più oltranzisti della destra italiana. Tra questi circolò il nome del marchese Felice Zerbi, amico di Junio Valerio Borghese, di Paolo Romeo (oggi accusato dai giudici calabresi autori dell’inchiesta sulla “Massomafia”) e degli esponenti di spicco della mafia locale. Secondo i giovani anarchici Zerbi e Romeo erano a conoscenza, se non i mandanti di una strage fatta passare come incidente. Una buona parte del materiale raccolto durante l’inchiesta decisero di inviarlo ad un amico, a Roma. Ma questo amico, controllato da vicino dalla polizia perchè anch’egli anarchico, non riceverà mai il pacco. Allora i giovani decisero di portare loro stessi parte del dossier a Roma in quella tragica notte. Il giorno prima al padre di Luigi Lo Celso arriva una strana telefonata “se tiene alla vita di suo figlio non lo faccia partire con gli anarchici perchè il gruppo sarà fermato in Calabria o alle porte di Roma”. Così è stato, non solo il loro lavoro certosino di controinchiesta viene fermato alle porte di Roma, ma viene fermata anche la loro vita. Per tutti, anche per la squadra politica romana giunta (stranamente) tra i primi sul luogo, si è trattato di un incidente, ma ci sono troppe coincidenze che ci fanno dubitare e che vogliamo elencare:- la telefonata al padre di Lo Celso, il luogo dell’incidente a poca distanza dalla villa di Junio valerio Borghese, il camion che viaggiava a bassa velocità - malgrado l’impianto elettrico funzionasse regolarmente - con le luci posteriori spente, il camionista risultato aderente al Fronte nazionale di Valerio Borghese, l’arrivo immediato della squadra politica, la scomparsa del dossier non ritrovato in auto così come non venne ritrovata neppure l’agenda su cui erano segnati nomi ed indirizzi. A 25 anni di distanza lo stato grazie al lavoro di un gruppo di magistrati è venuto a sapere ciò che quei ragazzi sapevano all’indomani dei morti di Gioia Tauro. Sul numero di Umanità Nuova il giornale anarchico stampato il 25 novembre 1972 (23 anni fa), appare un articolo che ricorda la morte di quei ragazzi e già 23 anni fa diceva le stesse cose che dicono oggi i giudici di Reggio Calabria. Gli stessi che hanno spiccato mandati di arresto e avvisi di garanzia per oltre 500 persone accusate di associazione mafiosa, di stragi, di omicidi, di truffe. Tra loro magistrati, politici, avvocati, mafiosi, ex sottosegretari del governo Berlusconi, parlamentari di Alleanza nazionale, preti, massoni, manovalanza del crimine e “mammasantissima”. Ora lo stato dovrà dimostrare di essere capace di stanare anche coloro che dall’interno hanno coperto, mascherato, fatto sparire prove e testimoni, e deve scoprire chi ha ucciso quei ragazzi colpevoli solo di aver scoperto la verità.
chi è stato è Stato jcb
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