Il comportamento richiesto ad un "buon prigioniero" come ad un cittadino modello e' quello di un completo adattamento alla situazione sociale in cui viene a trovarsi.
"Non sta a noi dire di che morte dobbiamo morire; non vogliamo
più giocare il gioco della penalità; non vogliamo
più giocare il gioco delle sanzioni penali; non
vogliamo
più giocare il gioco della giustizia".
(Alain Brossat-Scarcerare la società)
E' dal 22 settembre che Paolo Dorigo ha scelto volontariamente di non
toccare cibo. E ora il "militante comunista e prigioniero dello Stato",
45 anni, in carcere da quasi dieci anni sta morendo.
Nel '93, un ordigno viene lanciato contro la base Usa di Aviano, senza
causare morti né feriti. Un presunto complice, ora pentito, fa
il nome di Dorigo, e lo accusa anche di una rapina. Ma sono accuse che
arrivano solo durante le indagini. Al processo, nessuno parla. La
condanna arriva ed è impietosa: 13 anni e mezzo di carcere per
associazione con finalità di terrorismo.Paolo Dorigo venne
condannato nel 1994 dalla Corte d'Assise di Udine,
condanna su cui la Commissione europea dei diritti dell'uomo e il
Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sono intervenuti
ingiungendo all'Italia di «adottare le misure necessarie per
porre fine
a questo abuso accertato e rimediare per quanto possibile alle
conseguenze gravi e persistenti per la vittima».
Paolo Dorigo militante
comunista prigioniero
Condannato per "reati
di terrorismo" è in cella da dieci anni senza mai un permesso.
Numerose
le condanne europee dell'Italia ma le nostre istituzioni restano sorde
Non dimentichiamo Dorigo, detenuto senza giusto processo
L 'Italia
dia una risposta alle critiche delle istituzioni giudiziarie
europee sulla vicenda di Paolo Dorigo
La nuda forza dello Stato nel supercarcere di Spoleto si abbatte,
nel silenzio mediatico e civile, su Dorigo come su altre
centinaia di persone tra i quali Belmonte
Cavazza, Sinto : " uno dei tanti liberi che vivono molta
parte
della propria vita dietro le sbarre di una prigione, senza grandi
colpe che non siano la necessità di vivere e l’astio per
le indegnità"
-"I primi giorni di maggio 2003, Belmonte si trova detenuto nel carcere
romano di Rebibbia, dove in quei giorni due detenuti a breve distanza
di tempo decidono di evadere togliendosi la vita. Da lì inizia
una
protesta, portata avanti da alcuni detenuti della stessa sezione,
Belmonte riesce a salire sui tetti dell’istituto di pena per
manifestare lo sdegno e la rabbia contro chi sequestra e tortura esseri
viventi fino a costringerli alla morte come unica fuga verso la
libertà. Dopo qualche tempo uscì di prigione, ma
riarrestato per furto
a Lucca, la sua città, è stato circoscritto al circuito
delle carceri
speciali come vendetta verso quella protesta ed è stato
trasferito al
carcere speciale di Spoleto dove tutt’ora si trova. Il 26/1/2005
sarà
processato assieme ad altri due compagni di galera che presero parte a
quella protesta. L’udienza si svolgerà al tribunale romano di
Piazzale
Clodio."-
ps.1
-Il carcere e il carcere fuori dal carcere-
Lo sfruttamento organizzato su scala mondiale, il sistema capitalista,
non ha mai smesso di amministrare la sua notte, la negazione totale di
ogni valore umano e oggi la societa' intera ridotta ad un'
articolazione del rapporto di produzione capitalistico non puo' che
diventare oggetto di un processo di integrazione totale in cui
Stato e carcere sono un tuttuno indissolubile, in cui la dimensione del
disciplinamento e della "carcerizzazione"
si estendono a tutti gli ambiti sociali e individuali.
Il comportamento richiesto ad un "buon prigioniero" come ad un
cittadino modello e' quello di un completo adattamento alla situazione
sociale in cui viene a trovarsi.
I processi di depoliticizzazione dei problemi sociali, la
derubricazione delle questioni collettive al privato oggi piu'
che mai rappresentano la risposta del sistema alla pericolosa
confusione e sovrapposizione che si verifica tra devianza sociale e
devianza politica. La stessa sublimazione ideologica della marginalita'
politica in "avanguardia" non fa' che riprodurre, su un'
altro livello, quella risposta.Nello slogan neofascista "ne' di
destra ne' di sinistra" ugualmente si trasfigura questa
orizontalizzazione del controllo e neutralizzazione della
manifestazione in termini di devianza sociale del dissenso politico.
ps.2
Assistiamo ad un' espansione globale del controllo penale, da quello
soffice a quello duro.
Il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria italiana
che definì il carcere attuale come 'discarica sociale', luogo
ove la società rinchiude tutte le contraddizioni che non vuole o
non sa affrontare. La sua dura affermazione,
in fondo, parafrasava quella di Zygmunt Bauman che parla della
carcerazione riservata a quella parte della popolazione trattata come
un "eccedente umano", sempre in aumento al pari dei rifiuti,
anch'essi sempre in aumento nelle società ricche.(...)
Le carceri sono sempre più sovraffollate,
nonostante gl'indici di criminalità siano rimasti
sostanzialmente invariati, negli ultimi due decenni. Appare una precisa
scelta politica destinare al potenziamento
del sistema carcerario una gran parte delle risorse, prima
orientate allo sviluppo di servizi sociali, sanitari ed educativi,
nonché all'ammodernamento delle strutture della macchina
giudiziaria.
Sono 56.532 i detenuti nelle carceri italiane, un terzo dei quali
stranieri. Una popolazione in larghissima parte composta da uomini,
53.872, mentre le donne sono 2.660. Di questi, 35.263 sono i condannati
in
via definitiva che vivono dietro le sbarre (1.539 donne e 33.724
uomini),
mentre 20.108 sono gli imputati (1.042 donne e 19.066 uomini); 1.161 i
reclusi in istituti di massima sicurezza (1.118 i condannati, 43 in
attesa
del giudizio definitivo). Il quadro, aggiornato al 30 giugno scorso,
emerge dai dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Poco
più di un terzo sono i detenuti stranieri: 17.783, cioè
il 31.5% del
totale. Il numero più consistente, 4.015, è di
nazionalità marocchina; a
seguire, gli albanesi (2.806), i tunisini (1.953), i rumeni (1.367) e
gli
algerini (1.289). Quasi il 28% della popolazione carceraria, infine,
è
rappresentata da tossicodipendenti: sono infatti 14.332 coloro che
vivono
dietro le sbarre, 13.709 sono uomini e 623 donne.
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