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dimensione carcere è morte
by activist Monday, Jan. 03, 2005 at 7:56 PM mail:  

dossier dicembre 2004

dimensione carcere è...
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"Morire di carcere": dossier dicembre 2004

Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose

Con questo ultimo aggiornamento il monitoraggio sulle "morti di carcere" avvenute nel 2004 è completato: in un anno abbiamo raccolto 95 "storie", che raccontano la tragica fine di altrettanti detenuti (i suicidi sono stati 53, le morti per malattia 32, per overdose 7, per "cause non chiare" 3. Ma ci chiediamo quanti sono ancora i detenuti che muoiono nel silenzio assoluto, senza una parola da parte dei media, delle istituzioni, della cosiddetta "società civile organizzata".

Quindi l'impegno che dobbiamo assumerci è quello di ottenere una maggiore trasparenza del mondo penitenziario e crediamo che questo sia possibile solo realizzando una Rete nazionale di informazione dal carcere e sul carcere. Chi è interessato ci contatti.

Mozione presentata da Alessandro Battisti martedì 23 novembre 2004



Nome e cognome - Età - Data morte - Causa morte - istituto

Detenuta russa
39 anni
26 novembre
Suicidio
Rebibbia (RM)

Detenuto bulgaro
40 anni
06 dicembre
Suicidio
San Vittore (MI)

Fiorenzo, detenuto italiano
44 anni
10 dicembre
Suicidio
Lodi

Francesca Caponnetto
40 anni
15 dicembre
Suicidio
Messina

Calogero Alaimo
39 anni
16 dicembre
Suicidio
Asti

Franco Scarpignato
39 anni
25 dicembre
Suicidio
Messina

Angelo Vincenti
57 anni
27 dicembre
Malattia
Livorno

Detenuto italiano
46 anni
30 dicembre
Malattia
Rebibbia (RM)

Guido Cercola
60 anni
31 dicembre
Suicidio
Sulmona



Suicidio: 25 novembre 2004, carcere di Rebibbia



Detenuta di nazionalità russa, 39 anni, si impicca alla sponda del letto. La notizia viene comunicata all’esterno dalle sue compagne, che scrivono al quotidiano Il Manifesto: "Nella notte tra il 25 e 26 novembre scorso, una donna, di nazionalità russa di 39 anni, si è suicidata impiccandosi alla sponda del letto. Non una parola è stata detta dagli organi di informazione o dai nostri cari politici che tanto dicono di interessarsi alle condizioni carcerarie.

La donna era detenuta nella sezione "infermeria" e a causa delle sue precarie condizioni psicologiche era sottoposta a sorveglianza a vista, sorveglianza che evidentemente non è stata effettuata. Per questo riteniamo l’amministrazione carceraria completamente responsabile di quanto è accaduto. Non sappiamo se questa indifferenza, dipenda dalla mancanza di comunicazione dell’episodio, o dal totale menefreghismo nei confronti delle condizioni in cui siamo costrette a vivere e che spesso portano a episodi di questo genere. Questa è l’ennesima dimostrazione di quanto valga la vita di una detenuta/un detenuto". Un gruppo di detenute di Rebibbia femminile, Roma (Il Manifesto, 8 dicembre 2004).



Interrogazione parlamentare presentata da Enrico Buemi il 20.12.2004



Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:

da una lettera inviata da un gruppo di detenute della casa circondariale di Rebibbia, e pubblicata sul quotidiano Il Manifesto in data 8 dicembre 2004, si apprende che nella notte tra il 25 e 26 novembre una donna di nazionalità russa di 39 anni, si è suicidata impiccandosi alla sponda del letto;

la donna era detenuta nella sezione "infermeria" e, a causa delle sue precarie condizioni psicologiche era sottoposta a sorveglianza a vista;

quanto accaduto dimostra, quantomeno, che la suddetta sorveglianza era del tutto superficiale e insufficiente -:

come si sono svolti i fatti e, in particolare, come abbia potuto una donna, sottoposta a sorveglianza a vista, suicidarsi;

se è stata avviata da parte dell’Amministrazione di Rebibbia e dal Ministero un’inchiesta su quest’episodio e quali sono le responsabilità emerse e gli eventuali provvedimenti presi;

quanti siano stati, nel corso dell’anno che sta per concludersi, gli episodi di suicidi e d’autolesionismo avvenuti nelle carceri italiane e quali strumenti siano stati approntati o s’intendano attivare, a cominciare dalle condizioni di vita, per evitare o limitare tale grave fenomeno. (Atto Camera, 20 dicembre 2004)



Suicidio: 6 dicembre 2004, carcere di San Vittore (Mi)



Detenuto di nazionalità bulgara, 40 anni, si impicca al separé che divide il bagno e la cucina annesse alla cella, una stanza a due posti. Rinchiuso da mesi al terzo raggio, il padiglione ristrutturato di recente, l’uomo lavorava al "bettolino", il magazzino interno da cui passano cibi e oggetti acquistati dai compagni di sezione.

A loro, è la voce non confermata che arriva da piazza Filangieri, pare avesse confidato di ritenere ingiusta ed eccessiva la condanna appena presa: quattro anni di pena, per associazione per delinquere finalizzata al furti e alla ricettazione. Il sostituto procuratore di turno, Piero Basilone, ha disposto i primi accertamenti e i rilievi di rito. (Repubblica, 7 dicembre 2004)



Suicidio: 10 dicembre 2004, carcere di Lodi



Fiorenzo, detenuto italiano, 44 anni, originario di Varese, si impicca nella propria cella. Sembra che l’uomo, padre di due figli, fosse in attesa di poter tornare a casa per le festività natalizie, concessione che però gli è stata negata, nonostante il fatto che i reati per cui era stato condannato risalissero a parecchi anni addietro. In passato anche un fratello dell’uomo si era tolto la vita. La salma era stata portata nella camera mortuaria dell’ospedale Maggiore, a disposizione dell’autorità giudiziaria. (Il Cittadino, 14 dicembre 2004)



Il ricordo di un compagno di detenzione



Quando la disperazione arriva a livelli estremi può sfociare in un gesto disperato come la scelta di togliersi la vita. Questo è quanto è accaduto pochi giorni fa nel carcere di Lodi, dove un uomo di soli 44 anni si è impiccato alle sbarre della finestra. Conoscevo personalmente Fiorenzo, lo incontravo ogni giorno nello svolgimento della mia mansione di addetto alla spesa dei detenuti; scambiavamo qualche parola e col tempo lui aveva iniziato a parlarmi della sua situazione carceraria, delle sue problematiche di vita, lavoro, economiche, legate alla sua famiglia, alla quale era molto legato.

Sperava per le festività di ottenere un permesso premio da trascorrere in famiglia, ma la questione che più lo assillava era legata alla richiesta che aveva attualmente in corso per potere essere autorizzato al lavoro esterno, che per lui era una questione vitale, in quanto con lo stipendio che avrebbe guadagnato avrebbe potuto aiutare la famiglia che versava in gravi problemi economici.

Le forme alternative alla detenzione troppo spesso sono complicatissime da ottenere, i tempi per una richiesta sono lunghissimi, l’esito è sempre incerto perché alla fine è sempre il magistrato che decide in maniera autonoma e questa attesa spesso diventa logorante per una persona che ripone tutte le sue speranze in un provvedimento che lo possa parzialmente restituire alla vita. Molto probabilmente questa persona non era abbastanza forte per sostenere una tensione di questo tipo e l’unica soluzione che ha trovato è stata quella di rinunciare alla vita.

I suicidi in carcere sono all’ordine del giorno, la percentuale delle morti in prigione è molto più alta in rapporto alla popolazione esterna; la pressione che deriva dalla privazione della libertà è fortissima e non sempre siamo in grado di mantenere quell’equilibrio che ci permette di continuare a lottare e vivere, tanto è grande la sofferenza e la disperazione che proviamo.

Personalmente la morte di questa persona mi ha molto turbato; lo avevo sentito poco tempo prima che succedesse l’irreparabile, era preoccupato per la mancanza di informazioni che riguardavano la sua pratica per il lavoro esterno. Come sempre lo avevo rassicurato dicendogli di stare tranquillo, che le cose stavano procedendo e che ci voleva del tempo, ma che ce l’avrebbe fatta. L’ho esortato a farsi coraggio, che presto la sua vita sarebbe cambiata. Ora posso pensare che già nella sua mente era entrata la sconvolgente decisione di togliersi la vita e quindi tutte le esortazioni, tutte le parole di incoraggiamento e di fiducia erano oramai inascoltate.

Dietro la morte di un uomo ci sarebbero tante cose da dire, da detenuto posso affermare che troppo spesso il sistema è di una durezza devastante, l’aspetto umano di una pratica - perché noi alla fine siamo delle pratiche, dei fascicoli - non viene in nessun modo preso in considerazione, i tempi di attesa per una risposta da un tribunale di sorveglianza sono lunghissimi e l’ansia per chi attende una decisione in merito a un beneficio diventa spesso distruttiva. In generale è minima la percentuale delle richieste che vengono accolte dai tribunali di sorveglianza e ogni volta che riceviamo una risposta negativa alle nostre speranze diventa un dramma per noi detenuti e per tutte le nostre famiglie che vivono con noi la nostra drammatica esperienza.

È con tanta amarezza che mi chiedo perché molti magistrati non tengano in considerazione anche l’aspetto umano nella valutazione della situazione di un detenuto, ma si limitino a un’arida applicazione della legge. (Il Cittadino, 30 dicembre 2004)



Suicidio: 15 dicembre 2004, carcere di Messina



Francesca Caponnetto, 40 anni, si uccide gettandosi da una rampa di scale. Francesca era sieropositiva e tossicodipendente, condannata per omicidio a scopo di rapina, alla "Bonnie & Clyde" l’8 gennaio 2001, in casa di un pensionato.

La donna era uscita di cella per alcuni controlli medici, ma era sfuggita al controllo della polizia penitenziaria mentre saliva una rampa di scale senza protezioni e si è gettata nel vuoto. È deceduta poi al pronto soccorso del Policlinico. In cella la polizia non ha trovato nessun biglietto per spiegare l’estremo gesto.

Era stata arrestata dalla squadra mobile insieme al convivente Antonino Bensaia il 20 gennaio 2001 per aver picchiato ed ucciso nella sua abitazione di Ganzirri il pensionato Nicolò Puleo, 76 anni dopo averlo legato e imbavagliato. Mentre lo picchiavano - aveva ricostruito la polizia - lei mangiava il formaggio appena comprato dalla vittima. Lo avevano lasciato morente e, con addosso orologi e preziosi in oro ed argento portati via al pensionato, erano andati in una vicina pizzeria a festeggiare. Francesca Caponnetto ed Antonino Bensaia il 7 giugno 2002 erano stati condannati all’ergastolo dal Gup Daria Orlando, nonostante la scelta del rito abbreviato. In appello avevano però ottenuto il 10 ottobre 2003 una riduzione a 20 anni di reclusione. (La Repubblica, 17 dicembre 2004)



Suicidio: 16 dicembre 2004, carcere di Asti



Calogero Alaimo, 39 anni, uccide in carcere il giorno prima dell’inizio del suo processo. Da tempo sofferente di esaurimento nervoso, si è tolto la vita impiccandosi a una corda ricavata da un lenzuolo nella sua cella. Alaimo era accusato di aver ferito a un piede, con un colpo di pistola, un nomade che si era invaghito di una sedicenne sua parente. (Gazzetta di Mantova, 23 dicembre 2004)



Suicidio: 25 dicembre 2004, carcere di Messina



Franco Scarpignato, 39 anni, si impicca in cella la notte di Natale. Era in carcere per aver volutamente investito il suocero con la propria automobile. Il Sostituto Procuratore, Fabio D’anna, ha affidato al medico legale Giovanni Crisafulli il compito di effettuare l’autopsia sul corpo del detenuto. È il secondo suicidio, a distanza di pochi giorni, nel carcere di Messina. Nei giorni scorsi, infatti, una donna, Francesca Caponnetto, condannata a 20 anni per omicidio, si era lanciata dal terzo piano nella tromba delle scale del Policlinico, dov’era ricoverata. (Ansa, 27 dicembre 2004)



Interrogazione parlamentare presentata da Gianfranco Pagliarulo il 27.12.2004



Ministro della giustizia. Premesso che:

si è avuta notizia sulle agenzie di stampa di due suicidi di detenuti nel giro di sette giorni a Messina, il primo nel Policlinico Universitario della città, il secondo in cella;

del secondo suicidio si è avuta notizia solo oggi, pur essendo avvenuto, in base alle agenzie, la notte di Natale;

la piaga dei suicidi e degli atti di autolesionismo nelle carceri italiane si fa sempre più drammatica,

gli interroganti chiedono di sapere:

come mai, dopo il primo recente episodio, non siano state assunte misure idonee ad evitare il secondo suicidio, avvenuto pochi giorni dopo;

come mai si sia avuta notizia del secondo suicidio due giorni dopo l’evento;

quali siano le condizioni di detenzione nel carcere di Messina e se si possa ipotizzare un nesso fra tali condizioni e i due recenti suicidi;

come intenda operare il Ministro in indirizzo per arginare il triste e terribile fenomeno dei suicidi in carcere. (Atto Senato, 27 dicembre 2004)



Assistenza sanitaria disastrata: 27 dicembre 2004. carcere di Livorno



Angelo Vincenti, 57 anni, di origini pugliesi, muore in cella durante la notte, forse ucciso da un infarto. Vincenti era rinchiuso in una cella della seconda sezione, doveva scontare una pena per associazione di stampo mafioso (aveva legami con la Sacra corona unita) e sarebbe uscito nel 2017.

Alle Sughere da due anni, era un tipo tranquillo e benvoluto (amava cucinare per gli amici) e soprattutto non risulta che avesse mai avuto problemi di salute, se si eccettua una specie di artrosi a un gamba. Fumava molto, sì, ma dal suo diario clinico non emergono sofferenze cardiache.

Alle tre della notte tra domenica e ieri l’uomo si è sentito male. "L’ambulanza è arrivata dopo appena dieci minuti" assicurano i sorveglianti delle Sughere. Poi la corsa all’ospedale, dove purtroppo l’uomo è morto. I figli sono stati avvertiti dalla direzione del carcere. Il magistrato di turno (il dottor Giuseppe Rizzo) ha ordinato l’autopsia. (Il Tirreno, 28 dicembre 2004)



Assistenza sanitaria disastrata: 31 dicembre 2004, carcere di Rebibbia



Detenuto italiano, 46 anni, muore nella sua cella per Reparto G11, per una probabile insufficienza cardiaca. Il deputato dei Verdi Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, che ha visitato il carcere di Rebibbia, nuovo complesso penale, insieme al deputato del Prc Giovanni Russo Spena e al consigliere regionale Salvatore Bonadonna, ha dichiarato: "Nel carcere di Rebibbia è in atto una vera e propria emergenza sanitaria. Presenteremo un’interpellanza urgente al ministro Castelli per denunciare le condizioni di sovraffollamento in cui si trova il carcere di Rebibbia, che ha raggiunto i 1.600 detenuti e dove è sempre più difficile garantire il diritto alla salute. Un’emergenza che, come ci hanno riferito i detenuti della biblioteca Papillon, diventerà esplosiva se le aggravanti per i recidivi, comprese nella legge cosiddetta Salva-Previti, saranno definitivamente approvate dal Parlamento". (Il Messaggero, 2 gennaio 2005)



Suicidio: 31 dicembre 2004, carcere di Sulmona



Guido Cercola, 60 anni, di origini romane, si impicca in cella utilizzando i lacci delle scarpe. A scoprirlo un agente di polizia penitenziaria, durante un servizio di perlustrazione. L’uomo, ricoverato nel vicino ospedale di Sulmona, sarebbe morto durante il tragitto.

Nel novembre del 1992 era stato condannato all’ergastolo per l’attentato del 23 dicembre 1984 al rapido 904, una strage nella quale morirono 16 persone e 267 rimasero ferite. Cercola era stato accusato di aver aiutato il presunto cassiere della mafia Pippo Calò ad organizzare l’attentato.

Si tratta del quarto suicidio consumatosi nel carcere di massima sicurezza abruzzese dal 2003. Il primo risale alla vigilia di Pasqua di due anni fa, quando la direttrice dell’Istituto di Pena, Armida Miserere, si tolse la vita con un’arma da fuoco, all’interno del suo studio. Nei mesi successivi seguirono altri due casi: a suicidarsi due esponenti legati ai clan della criminalità organizzata. E nel corso dell’estate, il 16 agosto, quello di Camillo Valentini, il sindaco di Roccaraso.

"La notizia di un suicidio non fa mai piacere e inoltre, quanto accaduto a Sulmona, rischia di allontanare maggiormente dalla verità" ha commentato il presidente dell’associazione familiari vittime del rapido 904, Antonio Celardo. "Con la sua morte viene meno un’ulteriore possibilità di fare piena luce sulla vicenda. Era uno degli uomini chiave del processo. Credo che sarebbe stata necessaria una maggiore sorveglianza all’interno del carcere". (Adnkronos, 2 gennaio 2005)
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