Da Liberazione 2003, un articolo che spiega eloquentemente come gli USA avessero GROSSI interessi in Indonesia a Banda Aceh, e come questo terremoto sia venuto proprio a fagiuolo.
Da Liberazione 2003, un articolo che spiega eloquentemente come gli USA avessero GROSSI interessi in Indonesia a Banda Aceh, e come questo terremoto sia venuto proprio a fagiuolo.
Lungi dall'insinuare che l'abbiano provocato loro con qualcuno degli ultimi ritrovati in fatto di armi di distruzione di massa: per carità, queste sono teorie della cospirazione tipo quella di Bin Laden che butta giù le torri, però effettivamente 'sta Banda Aceh rasa al suolo, gli elicotteroni americani pronti lì ad "aiutare", La Exxon Mobil che adesso si può agevolmente fregare il petrolio e il governo indonesiano che ringrazia a mani giunte sono cose che danno molto da pensare.
Personalmente, non escludo che un maldestro tentativo di provocare un terremoto in zona sia sfuggito di mano. Osservate bene dove sta l'epicentro. Buona lettura.
----------------------------- Una regione ricca di petrolio e gas naturali appetita dalle multinazionali
Aceh, la guerra dimenticata Sabina Morandi
Liberazione 29 giugno 2003
La settimana scorsa sembrava sparito nel nulla. Il giornalista freelance William Nessen si era addentrato nella giungla di Sumatra, nel nord dell'Indonesia, per vedere le facce dei guerriglieri che da 23 anni lottano per l'indipendenza dell'Aceh. E lì ha scoperto quello che nessun esercito del mondo vuole mostrare: il radicamento del movimento fra la popolazione e la guerra contro i civili che i militari stanno conducendo per fare terra bruciata intorno al Gom, sigla del Free Aceh Movement. «La strategia dell'esercito indonesiano è semplice» aveva dichiarato Nessen a una televisione australiana «Bombardano i villaggi con gli F-16, affamano la popolazione e terrorizzano la gente per togliere sostegno popolare al movimento. Ma non ci riescono, il Gom non fa che crescere».
Alla fine Nessen è ricomparso: pare che sia tenuto in custodia protettiva, con osservatori, a Jakarta. La presenza di osservatori indipendenti è d'obbligo in un paese dove i giornalisti spariscono e i fotografi, come quello che aveva accompagnato il freelance americano a Sumatra, vengono freddati a colpi di mitra. Ma il ritrovamento del giornalista vivo e vegeto rischia di essere un pessimo affare per il Gom perché distoglie completamente quel minimo di attenzione che si era accesa proprio nel pieno della nuova offensiva decisa il 20 maggio scorso. I 45 mila soldati che stanno confluendo nell'Aceh segnano, di fatto, la fine di quella "democratizzazione dell'Indonesia" che, dopo la caduta di Suharto, aveva accordato l'indipendenza a East Timor e aveva istituito un tribunale speciale per giudicare i generali responsabili delle violenze e dei massacri.
L'Aceh, infatti, è in buona compagnia. Appena conquistata l'indipendenza dall'Olanda, nel '45, l'Indonesia rivendicò e invase uno dietro l'altro territori le cui popolazioni non avevano nulla a che spartire con Jakarta: Nuova Guinea, East Timor, Aceh e Molucche. Ovunque la politica indonesiana è stata quella di perseguire insediamenti territoriali ammucchiando gli aborigeni in una sorta di riserve, e reprimere violentemente ogni anelito all'indipendenza, come è stato fatto nell'ex-colonia portoghese di East Timor. Il problema è che l'Aceh, cui era stata promessa l'indipendenza per avere partecipato alla lotta anti-coloniale, è ricca di petrolio e gas naturali. Un accordo di cessate il fuoco, come quello firmato nel dicembre scorso fra il governo di Jakarta e i membri del Gom, costringerebbe alla fine gli indonesiani a concedere il referendum sull'autonomia promesso nel 2000 dal presidente Wahid, referendum che l'Indonesia è certa di perdere. Da qui la decisione di dare l'avvio alla più grande operazione militare dall'inizio della resistenza nel '75.
Appena la notizia dell'attacco ha raggiunto la "diaspora" indonesiana sono scoppiate proteste davanti alle ambasciate di tutto il mondo. La marcia più nutrita è stata quella organizzata a Washington da Amnesty International, East Timor Action Network e l'Indonesian Human Rights Network il cui portavoce, Kurt Biddle, ha dichiarato: «Questa guerra ucciderà altri civili e renderà ancora più determinati gli abitanti dell'Aceh a ottenere l'indipendenza. Bisogna far capire a Jakarta che non può tenere l'Aceh al prezzo della sua totale distruzione». Lo stesso governo ha infatti ammesso che si aspetta un aumento del numero dei rifugiati che dovrebbero passare, secondo le stime ufficiali, da 5.000 a 100.000. I militanti chiedono che gli Stati Uniti smettano di addestrare e armare l'esercito indonesiano, cosa del resto stabilita dal Congresso nel '99, quando si decise di punire il comportamento disumano dell'esercito di Jakarta. Allora, dopo aver perso il referendum a East Timor, che votò per l'autonomia con uno schiacciante 90%, il paese fu devastato per puro spirito di rappresaglia sotto gli occhi degli osservatori internazionali. Ma oggi, nell'Aceh, osservatori internazionali non ce ne sono, e gli unici testimoni sono una decina di giornalisti non "embedded", come William Nessen. Tutti nel mirino dell'esercito, della polizia segreta e delle milizie armate assoldate da Jakarta. Un conflitto lungo 30 anni
E' dal 1976 che l'ex regno di Acheh, nel nord dell'isola di Sumatra, lotta per l'indipendenza dalla pluridecennale occupazione indonesiana. Ma la fase più dura degli scontri è iniziata nel 1989. Le truppe speciali dell'esercito di Giacarta, con il sostegno finanziario e logistico della compagnia petrolifera ExxonMobil (interessata ai ricchi giacimenti della zona) e di altre multinazionali, per reprimere la rivolta separatista del movimento islamico Aceh Merdeka (Aceh Libero) ha commesso atroci violenze contro la popolazione civile dei villaggi della zona. Solo negli anni '90 si sono contati 50mila morti e 40mila desaparecidos e migliaia di casi di torture e stupri perpetrati dai militari indonesiani. Le violenze sono diminuite d'intensità dopo l'uscita di scena nel 1998 del dittatore Suharto. Ma un accordo di pace è ancora lontano.
Le armi dell’occidente
Tutta merce made in Usa
Gli Usa addestrano e armano l’esercito indonesiano dal 1965, quando Washington appoggiò e finanziò il colpo di stato anticomunista e portò al massacro di un milione di persone. La questione degli aiuti all’Indonesia, il paese musulmano più popoloso del mondo, è stata dibattuta per anni al Congresso, fino al voto che, nel ’99, decise l’embargo sulle esportazioni di armi. Lunedì scorso, però, le truppe di Jakarta hanno raggiunto il nord di Sumatra a bordo degli Hercules C-130, mentre gli Ov-10 Broncos "anti-insurrezione" vengono usati per sparare razzi contro i villaggi intorno alla capitale Banda Aceh. Dal canto suo, la Gran Bretagna laburista aveva fatto dell’eticità della politica estera il suo cavallo di battaglia. Durante la guerra di East Timor la mobilitazione contro la vendita di armi all’Indonesia era sfociata in atti di vero e proprio sabotaggio (con il conseguente arresto di alcune suore). Per questo le foto dei carri armati inglesi Scorpions che entrano nell’Aceh, insieme alle notizie filtrate sulla vendita degli Hawks, mettono in imbarazzo Blair. Il Foreign Office si è detto comunque "rassicurato dall’impegno indonesiano, ripetuto anche di recente, che l’equipaggiamento militare inglese non verrà utilizzato in modo offensivo o in violazione dei diritti umani".
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