La pace, l'unico blitz possibile.
L’Unione delle comunità islamiche in Italia, le Donne in Nero di Bologna, l’Arci, la Federazione nazionale della stampa, i giornalisti Rai, la Tavola della Pace, Ds, Rifondazione, Verdi. A piazza Esedra, prima dell’avvio della manifestazione, è un gran transitare di esponenti della società civile, partiti, associazioni e gente comune confluita in piazza della Repubblica per chiedere la liberazione dell’inviata del Manifesto Giuliana Sgrena, di Florence Aubenas, giornalista di Liberation e del suo interprete Hussein Hanoun, tutti e tre rapiti in Iraq, il paese del quale quotidianamente raccontavano le tragedie, le sofferenze, gli stenti inflitti dalla guerra.
Gli organizzatori distribuiscono l’adesivo ufficiale della manifestazione. Vauro, vignettista del Manifesto, ha disegnato una famiglia – padre, madre e figlio – pronta a caricare, con la bandiera della pace utilizzata come se fosse una lancia. «L’unico blitz possibile», questa la frase che accompagna il disegno. Vauro ha colto nel segno, riassunto in uno schizzo i tre temi di questa giornata: la pace come “politica preventiva”, la fine delle ostilità in Iraq, la liberazione di chi con coraggio testimonia le sofferenze del popolo iracheno. Le tre cose si legano inscindibilmente, l’una all’altra e danno modo, dopo un po’ di tempo, di rilanciare con forza la pace in Italia. Arrivano in piazza il padre di Giuliana Sgrena e Pier Scolari, il compagno. Intorno a loro si formano capannelli di giornalisti e fotografi, i primi pronti ad annotarne le dichiarazioni, i secondi impegnati a immortalare i loro volti. Sembrano fiduciosi, rassicurati da tutta questa gente accorsa a Roma da più parti d’Italia. Ci sono i pensionati della Spi-Cgil di Brescia, un gruppetto di sardi tra i quali spicca una signora avvolta nell’immancabile bandiera, quella con i quattro mori.
Cerchiamo di avvicinarci alla testa del corteo. Notiamo Pietro Ingrao, uno di quelli che non si tira indietro, quando è la pace a chiamare in causa. Nonostante la veneranda età, “il profeta disarmato” è presente. Rossana Rossanda lo saluta con affetto, la gente applaude. Nel frattempo, con puntualità svizzera, il corteo inizia a muoversi. Da piazza dei Cinquecento il “serpentone” appare corposo e possente. Osservandolo da piazza Esedra non si aveva questa impressione. «Sta andando benone», affermano due giornalisti del Manifesto. La redazione del giornale di via Tomacelli sfila compatta, immediatamente alle spalle dei due striscioni di apertura, «Liberiamo la pace» il primo, «Liberate Giuliana, Florence, Hussein» l'altro. A seguire, i rappresentanti della Federazione nazionale della stampa, guidati dal segretario Paolo Serventi Longhi, la Cgil, Emergency, i giornalisti della Rai con il loro slogan “contro il silenzio”, un modo per denunciare la superficialità con cui, a volte, si fa informazione. Un modo per ribadire che il vero giornalismo è quello fatto sul campo, con onestà, passione civile e coraggio. Per dare visibilità al concetto, qualche giornalista si è appiccicato sulla giacca un adesivo con su scritto “No embedded”.
Torniamo nelle retrovie: quelli della Tavola della Pace di Perugia si sono messi in cammino. Marciano con una grande bandiera della pace. Il furgoncino dell’Unione universitari va avanti a passo d’uomo, trasporta due enormi casse che poco prima sparavano musica a tutto volume. Nel momento in cui Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù avevano intonano il refrain di Il mio nome è mai più, pezzo un po' datato ma senz'altro calzante, era iniziato a piovere e immancabilmente c’è chi aveva detto: «Piove governo ladro». Imprecazione efficace, se è vero che subito aveva smesso di piovere. Quando il corteo si mette in marcia, la musica inizia a tacere. Riprenderà al Circo Massimo. Ora è il silenzio a farla da padrona e a dare autorevolezza alla marcia.
Il “serpentone” intanto si ingrandisce. Molte persone vi confluiscono da piazza dei Cinquecento, hanno voluto evitare di concentrarsi in massa in piazza Esedra. Gli strilloni si adoperano per vendere copie di Unità e Manifesto. Il grande e silenzioso pellegrinaggio pacifico imbocca via Cavour. Alla stazione Termini c’è gente che continua ad arrivare, con striscioni e bandiere della pace che fanno un po’ a pugni con i mega-cartelloni elettorali di Forza Italia egemonicamente piazzati nell’atrio della stazione. È l’unico posto in cui oggi la destra ha deciso di stare.
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