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FALLUJA:"Ma davvero qualcuno riteneva che la vittoria fosse possibile? "
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LETTERA DI UN SOLDATO USA Thursday, Mar. 03, 2005 at 1:10 PM |
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Un soldato americano in Irak, conosciuto come hEkLe, descrive l'orrore dell'attacco statunitense contro Falluja.Le forze militari statunitensi continuano a guadagnare terreno, ad ogni nuova frontiera uccidono una marea di civili e di ribelli. Eppure a Falluja i ribelli sono tornati come uno sciame di api inferocite, e attaccano con frenesia, violentemente.
Non e' una guerra, e' una mattanza di hEkLe, 3 Dicembre 2004 fonte: http://www.zmag.org traduzione di Manuela Palermi
Nota di Indymedia Italia: Un soldato americano in Irak, conosciuto come hEkLe, descrive l'orrore dell'attacco statunitense contro Falluja. La lettera è stata pubblicata su GI Special, un sito quotidiano che dà informazioni e notizie ai soldati americani ed alle loro famiglie e su Socialist Worker on line il 3 dicembre 2004
Sono giorni terribili per i militari statunitensi in Irak. Sembra che, ovunque si guardi, siano sempre più i soldati morti, feriti e mutilati negli scontri con i ribelli. La ribellione aumenta nelle città di Bagdad, Mosul e Baquba. La guerriglia è ben organizzata ed utilizza tecniche ed armi molto avanzate. Dopo la battaglia che ha lasciato Falluja completamente distrutta, i ribelli sono tornati, duramente determinati a vincere o a morire. Molti cominciano a pensare che non riusciremo a vincere questa guerra. Ma davvero qualcuno riteneva che la vittoria fosse possibile? Le forze militari statunitensi continuano a guadagnare terreno, ad ogni nuova frontiera uccidono una marea di civili e di ribelli. Eppure a Falluja i ribelli sono tornati come uno sciame di api inferocite, e attaccano con frenesia, violentemente.
Ero a Falluja negli ultimi due giorni dell'assalto finale.
La mia missione era diversa da quella dei valorosi soldati e marines impegnati nei combattimenti. Avevo una missione di scorta. Dovevo, accompagnato da un battaglione, proteggere un alto ufficiale nella zona dei combattimenti. Un ufficiale un pò fanatico. Se ne stava lì, arrogante, a guardare l'ultima battaglia, e sembrava uno spettatore durante gli ultimi minuti di una partita di calcio. Una volta arrivati al Campo Falluja, occupato dai marines, ci siamo accorti che gli spari dell'artiglieria erano diretti verso la città. Il tipo si è dato immediatamente un gran da fare per avere un ruolo attivo nella battaglia che avrebbe ridotto Falluja in cenere. C'erano state voci su di lui. Si diceva che quel che voleva era tenere la mano sul fucile, dimostrare a tutti che lui era il cowboy più duro dell'est dell'Eufrate. Di individui simili ce ne sono un sacco nell'esercito: militari di carriera che hanno passato i primi vent'anni di servizio pattugliando il Muro di Berlino o proteggendo la zona smilitarizzata tra la Corea del Nord e del Sud. Tipi di ufficiali che potrebbero aver combattuto durante la prima Guerra del Golfo, anche se la maggior parte di loro ha passato il tempo sparando contro i "rag heads"(1).
Questi tipi con l'aria dura ed il grilletto facile hanno vissuto gli ultimi due decenni di Guerra Fredda con una frenesia bellica che poi, quando la guerra è finita, gli ha lasciato un vuoto drammatico. Ma adesso c'è la Nuova Guerra, l'"Allerta Rossa" senza fine, piena di azione, nella quale la minaccia comunista è stata rimpiazzata dalla "guerra contro il terrorismo". I soldati più giovani, quelli che sono cresciuti in tempi relativamente pacifici, pensano che per questi tipi essa rappresenti una sorta di compensazione per le opportunità perdute. Ma per la generazione maggiore, quella col grilletto facile, è la vera, grande opportunità: l'occasione per mettere infine in pratica l'addestramento tenuto dagli anni settanta in poi e tutti i giochetti fantastici che gli hanno insegnato per qualcosa di tangibile, di utile... Finalmente era arrivata l'ora.
Al fronte erano state stabilitate alcune regole di sicurezza, sintomo che il combattimento in città era intenso. I veicoli più leggeri che venivano fatti passare erano i carri armati Bradley. Il comandante, dopo aver dato un'occhiata ai nostri Humvees blindati, ci ha detto che non stavamo messi bene. Gli Humvees blindati sono massicci, praticamente impenetrabili al fuoco di armi di piccolo calibro, ma non resistono bene come un carro armato pesantemente blindato agli attacchi dei missili ed alle bombe. Le informazioni dalla zona di guerra parlavano di forti attacchi di missili e di un'insurrezione armata che agiva in ogni vicolo alla ricerca di obiettivi facili. Il comandante ha detto al nostro super entusiasta ufficiale di non entrare nel settore con i camion perché nelle ore buie sarebbe stato suicida. Gli ha suggerito di entrare in azione ed "ispezionare i danni" la mattina dopo, una volta finiti gli attacchi aerei. Intanto il sole aveva lasciato il posto ad un nebuloso orizzonte rossastro e l'artiglieria continuava a martellare quel poco che era rimasto in piedi della devastata Falluja. Durante la notte sono arrivate molte unità. Era in preparazione un attacco aereo senza precedenti che sarebbe potuto durare fino a 12 ore.
Il nostro gruppo si trovava sopra il parcheggio degli Humvees. Fornivamo le mitragliatrici e sorvegliavamo la città alla ricerca di attività nemica. Si supponeva che quella fosse un'area di operazioni abbastanza sicura, proprio al confine della zona dei combattimenti. Tuttavia non c'era nessuna protezione, soli alcuni carri armati posizionati qua e là, e se chi era di guardia non avesse fatto attenzione ai più piccoli dettagli sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa. Un soldato mi ha detto che solo due notti prima avevano sorpreso un ribelle che girava attorno. Era armato. Uno dei carri armati lo aveva visto e lo aveva fatto a pezzi. Certo, ci sentivamo abbastanza sicuri da fumarci una sigaretta, ma dovevamo stare molto attenti a quel che succedeva attorno se la mattina dopo volevamo essere ancora vivi. Sul finire della sera, mentre l'artiglieria continuava a sparare, una danza macabra ha illuminato il cielo: erano arrivati i cacciabombardieri ed avevano dato il via ad un grandioso spettacolo di massicci attacchi aerei. Ad ogni bomba, ad ogni sparo d'artiglieria, il cielo illuminava la ferocia e la distruzione. Prima si vedeva un lampo all'orizzonte, come se un fiammifero fosse caduto in un deposito di dinamite, poi un'esplosione tremenda che ti scuoteva il corpo, ti faceva uscire gli occhi dalle orbite e ti colpiva lo stomaco come un pugno. Le bombe venivano lanciate a non più di cinque chilometri di distanza, ma era come se ti arrivassero dritte in faccia.
All'inizio era impossibile non sobbalzare ad ogni boato, ma dopo diverse esplosioni, tutte fortissime, abbiamo cominciato ad abituarci, quasi ad accettarle. A volte gli aerei volavano basso, rombavano sopra città, poi aprivano il fuoco di missili più piccoli ma estremamente precisi. Era proprio lo spettacolo che mancava al nostro Top Gun, sempre più inorgoglito ed entusiasta degli straordinari effetti sonori. I missili ruggivano sinistri, come un fuoco d'artificio in una bottiglia piena di plutonio, poi non si sentiva più niente. Pochi secondi ed una colossale esplosione sconquassava l'aria: a terra restava devastazione, grida e terrore. Poi era la volta dell'artiglieria: sparava fosforo bianco, il napalm dei nostri giorni, che mandava lampi di luce. Qualche volta, vicino all'area del bombardamento, si sentivano i carri armati sparare con le mitragliatrici ed i cannoni. Era incredibile che qualcuno potesse sopravvivere ad un simile attacco. Presto, via radio, è arrivato l'ok alla richiesta delle "revienta-bùnkeres"(2). Pareva che l'artiglieria non riuscisse a penetrare tra alcune ridotte di ribelli. Non sapevo quando le "revienta-bùnkeres" sarebbero state utilizzate. Più tardi mi hanno detto che le tremende esplosioni venivano da loro, da quei missili del tipo "soluzione finale".
Dal mio Humvee ho continuato per tutta la notte a guardare l'assalto finale contro Falluja. Esaminavo i vasti cieli con gli occhiali per la visione notturna. Per tutto il tempo della battaglia una serie di elicotteri d'attacco hanno continuato a volare in tondo sopra la città. I più devastanti, con i lanciamissili in serie, erano i Cobras e gli Apaches. Grazie alla visione notturna, potevo vederli mentre giravano sopra la carneficina, esaminando il terreno con i raggi infrarossi che sembravano avere un raggio di chilometri. Una volta avvistato l'obiettivo, risuonava una rapida serie di spari e dal terreno arrivava un ra-ta-ta, come una catena ordinata di petardi. Ancora artiglieria, ancora carri armati, ancora tiri di mitragliatrici, ancora bombardamenti spaventosi che radevano al suolo la città di una volta... non era una guerra, era una mattanza! Se ricordo quegli attacchi aerei, che sono durati fino alla mattina dopo, non posso non sorprendermi di fronte alla moderna tecnologia e non posso non essere nauseato per l'uso che se ne fa. Molte volte mi è capitato di pensare che mentre la resistenza di Falluja combatteva valorosamente con le armi arcaiche della Guerra Fredda, noi volavamo alto sulle loro teste lanciando la furia dei Thor, di un potere distruttivo e di una precisione da guerra nucleare.
Era come se gli iracheni stessero combattendo con un bastone contro i carri armati. Eppure, malgrado tutto, la resistenza continuava, molti hanno combattuto fino alla morte. Che determinazione!
Alcuni soldati dicono che i ribelli sono stupidi perché pensano di avere una probabilità di sconfiggere l'esercito più potente del mondo. Io li considero valorosi. Non combattono per una vittoria immediata. E cosa volete che valga una vittoria convenzionale in una guerra non convenzionale! E' del tutto evidente che questa guerra non è più nelle mani degli Stati Uniti.
Abbiamo ridotto Falluja in polvere. Abbiamo gridato vittoria e detto al mondo che Falluja era sotto il nostro totale controllo. I nostri militari hanno dichiarato che le vittime civili erano state poche e che i ribelli morti erano stati migliaia. La CNN e la Fox News hanno strombazzato che la storia avrebbe considerato la battaglia di Falluja un successo straordinario, testimonianza della supremazia degli Stati Uniti nelle guerre moderne. Eravamo tutti sicuri che la situazione fosse sotto controllo e già cominciavamo a concentrare la nostra attenzione su un'altra città difficile: Mosul.
Ma, passata la tempesta, mentre i generali se ne stavamo comodamente seduti nei loro uffici a fumare ed a celebrare la vittoria, le linee del fronte a Falluja sono state nuovamente prese d'assalto: i ribelli attaccavano le forze degli Usa e della coalizione con mortai, fucili ed armi leggere. Siamo dovuti tornare a Falluja.
Il Dipartimento della Difesa e la stampa nazionale mentivano quando hanno parlato di un'altra vittoria della guerra preventiva? Non necessariamente. Convenzionalmente, avevamo vinto noi: chi avrebbe potuto negarlo? Avevamo distrutto tutta la città ed ammazzato migliaia e migliaia di persone. Ma il punto vero - non sufficientemente compreso dai militari e dalla gente - è che questa è una guerra di guerriglia. Totalmente. Alcune volte mi chiedo se gli ufficiali di West Point abbiamo mai studiato l'intricata e semplice efficacia della guerra di guerriglia. Mi è capitato di chiedere a tenenti e capitani se hanno mai sentito parlare della Guerra di Guerriglia del Che Guevara. Quasi la metà di loro mi ha risposto di no. Incredibile! Dovremo far fronte, forse per anni, ad una guerra di guerriglia, e la direzione militare non sa neanche che cosa sia! Qualsiasi persona può dirti che un guerrigliero è uno che utilizza tecniche di attacchi a sorpresa nell'intento di battere una forza convenzionale più forte.
Ma quel che è importante, in una campagna di guerriglia, è la passione politica che la motiva. Durante la storia sono stati molti gli eserciti guerriglieri che hanno avuto successo, compreso il nostro stesso paese nella lotta per l'indipendenza. Dovremmo aver imparato la lezione sulla guerra di guerriglia trent'anni fa, durante la guerra del Vietnam, ma la storia ha uno strano modo di ripetersi. La guerra del Vietnam fu un esempio perfetto di come attacchi rapidi e letali, contro truppe convenzionali, possano nel lungo periodo rendere la guerra impopolare tra l'opinione pubblica, e questo ne determina la fine. Che Guevara nel suo libro Guerra de Guerrillas ha scritto che l'elemento più importante in una campagna guerrigliera è l'appoggio popolare. Se riesci ad averlo, la vittoria è quasi assicurata. In questo senso gli iracheni sono già sulla buona strada. Non solo hanno un rifornimento apparentemente senza fine di munizioni e di armi, ma anche il vantaggio di muoversi nel loro ambiente, si tratti di un mercato o di un fitto campo di palme. I ribelli iracheni hanno utilizzato al massimo questi vantaggi, ma il vantaggio più importante, più rilevante, è l'appoggio popolare. Quel che i militari ed il governo degli Usa dovrebbero capire è che ogni nostro errore va a vantaggio dell'insurrezione irachena. Ogni volta che un uomo o una donna o un bambino vengono assassinati da un'azione militare, sia essa deliberata o no, l'insurrezione si rafforza. Persino quando un civile innocente muore per mano dei combattenti ribelli, ad essere ritenuta responsabile sarà la forza occupante. I ribelli continueranno ad essere considerati combattenti del popolo.
Tutto in questa guerra è politica... ogni imboscata, ogni attentato, ogni morte. Quando un lavoratore od un soldato della coalizione vengono sequestrati e giustiziati, il popolo iracheno ne ha un senso di giustizia, mentre gli occupanti restano in preda alla furia ed allo sconforto.
Alla nostra perdizione contribuiscono anche i media. Ogni volta che rivelano un'atrocità, il nostro dominio su questa nazione che un tempo è stata laica svanisce. Con il tempo aumenta negli Usa l'inquietudine della popolazione per le immagini di morte violenta dei suoi figli in armi e le giustificazioni del governo nel continuare questa sanguinosa catastrofe diventano sempre più deboli. Sono gli errori inevitabili del potere convenzionale, per questo la campagna di guerriglia avrà un successo certo. La distruzione delle forze armate Usa è impossibile, ma l'insurrezione, con la sua tenacia, finirà per cacciarci. Sarà questo l'inevitabile risultato della guerra.
Abbiamo perso molti soldati nella battaglia finale di Falluja e molti ancora sono stati seriamente feriti. Abbiamo devastato quella città solo per tenerla sotto controllo. Che senso ha che tanti soldati continuino a morire solo per continuare a tenerla sotto controllo?
Non posso dimenticare lo sguardo di un soldato americano quando gli ho chiesto della guerra. Mi ha raccontato storie di sangue e di morte violenta da far accapponare la pelle. Lui e il suo battaglione hanno fatto sacrifici infiniti. Hanno combattuto tutti i giorni, senza mai dormire, senza mai un pasto caldo. Non hanno neanche avuto il tempo di mandare un telegramma ai genitori per dirgli che stavano bene. Alcuni del battaglione dovranno ora andare da quelle famiglie a dirgli che i loro ragazzi sono morti. Lo sguardo del soldato, mentre parlava, era profondo e sconsolato, profondamente turbato. Mi ha descritto nel dettaglio di alcuni iracheni uccisi dai bazuca dell'esercito, di altri cui le pallottole di calibro 50 hanno fatto volare via la testa, di altri schiacciati dai carri armati. Mi ha raccontato di uno dei suoi compagni più bravi, morto proprio davanti a lui. Stava nascosto dietro al muro di una stradina. Quando è uscito per sparare gli hanno tirato una granada nella pancia. Alcune schegge hanno colpito la coscia del mio interlocutore. Mi ha mostrato la carne bruciata. Poi, quando ha finito il suo racconto, mi ha detto che lui era solo un ragazzo un pò tonto della California, che non aveva mai pensato che entrare nell'esercito significasse andare dritto all'inferno. Mi ha detto che si sentiva più sporco del diavolo e che voleva solo farsi una doccia. Se n'è andato lentamente, con il fucile sotto il braccio. ------------------------------------------------------------------------
AL LINK TROVATE DECINE DI LETTERE DI SOLDATI USA DISPERATIhttp://www.zmag.org/Italy/lettere-dall-iraq.htm
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Fallujah: finalmente la verità
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corrisponde Thursday, Mar. 03, 2005 at 2:06 PM |
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Fallujah: finalmente la verità
Il Dott. Salam Ismael lo scorso mese ha portato aiuti a Fallujah. Questa è la storia di come gli Stati Uniti hanno assassinato una città.
All’inizio fu l'odore che mi colpì, un odore difficile da descrivere e che non dimenticherò mai. Era l'odore della morte. Centinaia di cadaveri che si stavano decomponendo nelle case, nei giardini e nelle strade di Fallujah. I corpi marcivano dove erano caduti, corpi di uomini, donne e bambini, molti per metà mangiati dai cani randagi. Una ondata di odio aveva spazzato via due terzi della città, distruggendo case e moschee, scuole ed ospedali. Era la tremenda e spaventosa potenza dell'assalto militare degli USA.
I racconti che sentii nei due giorni successivi vivranno in me per sempre. Voi potete pensare di sapere ciò che è accaduto a Fallujah. Ma la realtà è peggiore di quanto forse potreste avere immaginato.
A Saqlawiya, uno degli improvvisati campi profughi che circondano Fallujah, abbiamo trovato una vecchia di 17 anni. "Sono Hudda Fawzi Salam Issawi del distretto di Jolan a Fallujah", mi disse, "Cinque di noi, compreso un vecchio vicino di 55 anni, quando è cominciato l'assedio sono rimasti intrappolati insieme nella nostra casa a Fallujah.
"Il 9 novembre i marines americani sono arrivati alla nostra casa. Mio padre ed il vicino andarono alla porta per incontrarli. Non eravamo combattenti. Pensavamo di non avere nulla da temere. Sono corsa in cucina per mettere il velo, dal momento che dovevano entrare in casa degli uomini e sarebbe stato inopportuno farmi vedere a testa scoperta.
"Questo mi ha salvato la vita. Appena mio padre ed il vicino si avvicinarono alla porta gli americani aprirono il fuoco su di loro. Morirono all'istante.
"Io e mio fratello di 13 anni ci nascondemmo in cucina, dietro al frigorifero. I soldati entrarono nella casa e presero mia sorella maggiore. La picchiarono. E quindi le spararono. Ma non videro me. Appena se ne erano andati, ma non prima di avere distrutto i nostri mobili ed avere rubato il denaro dalla tasca di mio padre".
Hudda mi raccontò di come ha confortato la sorella morente leggendo versi del Corano. Dopo quattro ore la sorella morì. Per tre giorni Hudda e suo fratello sono rimasti con i loro partenti assassinati. Ma avevano sete e da mangiare avevano soltanto pochi datteri. Temevano che i soldati sarebbero ritornati e decisero di provare a scappare dalla città. Ma vennero individuati da un cecchino USA.
Hudda venne colpita ad una gamba, suo fratello correva ma fu colpito alla schiena e morì all'istante. "Mi preparai a morire", mi disse. "Ma fui trovata da una soldatessa americana che mi portò all'ospedale". Alla fine si ricongiunse ai membri sopravvissuti della sua famiglia.
Trovai anche altri sopravvissuti di un'altra famiglia del distretto di Jolan. Mi dissero che alla fine della seconda settimana di assedio le truppe USA percorsero Jolan. La Guardia Nazionale irachena utilizzava altoparlanti per chiedere alla gente di uscire dalle case portando bandiere bianche, portando con se tutti i loro effetti personali. Venne loro ordinato di raccogliersi fuori vicino alla moschea di Jamah al-Furkan, nel centro della città.
Il 12 novembre Eyad Naji Latif ed otto membri della sua famiglia, uno di loro un bambino di sei mesi, raccolsero i loro effetti personali e camminarono in una unica fila, secondo le istruzioni, verso la moschea.
Quando raggiunsero la strada principale all'esterno della moschea udirono un grido, ma non riuscirono a capire cosa veniva gridato. Eyad mi ha detto che poteva essere stato "ora" in inglese. Poi iniziarono gli spari.
I soldati USA apparvero dai tetti delle case circostanti ed aprirono il fuoco. Il padre di Eyad venne colpito al cuore e sua madre al petto. Morirono all'istante. Anche due dei fratelli di Eyad furono colpiti, uno al petto ed uno al collo. Due delle donne vennero colpite, una ad una mano e l'altra ad una gamba.
Quindi i cecchini uccisero la moglie di uno dei fratelli di Eyad. Quando cadde, suo figlio di cinque anni corse da lei e rimase sopra il suo corpo. Uccisero anche lui. I sopravvissuti fecero ai soldati dei disperati appelli perché cessassero il fuoco. Ma Eyad mi disse che ogni volta che uno di loro tentava di alzare una bandiera bianca veniva colpito. Dopo diverse ore provò di alzare il braccio con la bandiera. Ma lo colpirono al braccio. Infine provò ad alzare la mano. Così lo colpirono alla mano.
I cinque sopravvissuti, compreso il bambino di sei mesi, stettero distesi sulla strada per sette ore. Poi quattro di loro strisciarono fino alla casa più vicina per trovare riparo. Il mattino successivo anche il fratello che era stato colpito al collo riuscì a strisciare verso la salvezza. Rimasero tutti nella casa per otto giorni, sopravvivendo di radici e di una tazza d'acqua che avevano risparmiato per il bambino.
L'ottavo giorno furono scoperti da alcuni membri della Guardia Nazionale irachena e portati in ospedale a Fallujah. Essi sentirono che gli americani arrestavano tutti gli uomini giovani, così la famiglia fuggì dall'ospedale e ottenne finalmente delle cure in una città vicina.
Essi non sanno in dettagli cosa accadde alle altre famiglie che erano andate verso la moschea come ordinato. Ma mi dissero che la strada era bagnata di sangue.
Ero arrivato a Fallujah in gennaio come parte di un convoglio di aiuti umanitari finanziato da donazioni britanniche. Il nostro piccolo convoglio di camion e pulmini portava 15 tonnellate di farina, otto tonnellate di riso, medicinali e 900 capi di vestiario per gli orfani. Sapevamo che migliaia di profughi erano accampati in condizioni terribili in quattro campi alla periferia della città.
Lì sentimmo racconti di famiglie uccise nelle loro case, di feriti trascinati in strada ed investiti con i carri armati, di un container con dentro i corpi di 481 civili, di assassinio premeditato, saccheggio ed atti di ferocia e crudeltà che superano ogni immaginazione.
Per tale motivo decidemmo di entrare a Fallujah a investigare. Quando entrammo in città quasi non riconoscevo il posto dove avevo lavorato come medico nell'aprile del 2004, durante il primo assedio.
Trovammo persone che vagavano come fantasmi tra le rovine. Alcuni cercavano i corpi dei parenti. Altri cercavano di recuperare dalle case distrutte alcuni dei loro beni. Qua e là, piccoli gruppi di persone facevano la coda per carburante o cibo. In una coda alcuni sopravvissuti lottavano per una coperta.
Ricordo di essere stato avvicinato da un'anziana donna, i suoi occhi gonfi di lacrime. Mi afferrò per il braccio e mi raccontò di come la sua casa era stata colpita da una bomba USA durante un'incursione aerea. Il soffittò crollo sul figlio di 19 anni, tagliandogli entrambe le gambe.
Non poté ottenere aiuto. Non poteva andare in strada perché gli americani avevano postato cecchini sui tetti ed uccidevano chiunque si avventurasse fuori, anche di notte. Fece del suo meglio per fermare l'emorragia, ma fu inutile. Rimase con lui, il suo unico figlio, finché questi morì. Ci vollero quattro ore perché morisse.
Il principale ospedale di Fallujah fu preso dalle truppe USA nei primi giorni dell'assedio. L'altra sola clinica, la Hey Nazzal, venne colpita due volte dai missili USA. I suoi medicinali e l'attrezzatura medica vennero tutti distrutti.
Non c'erano ambulanze, le due ambulanze che venivano ad aiutare i feriti furono colpite e distrutte dalle truppe USA.
Abbiamo visitato case del distretto di Jolan, un'area povera di lavoratori nella parte nord occidentale della città che era stata il centro della resistenza durante l'assedio di aprile.
Sembrava che questo quartiere fosse stato scelto per la punizione durante il secondo assedio. Ci spostavamo di casa in casa, scoprendo famiglie morte nei loro letti, o abbattute in soggiorno o in cucina. Tutte le case avevano i mobili fracassati ed i beni sparpagliati.
In alcuni posti trovammo corpi di combattenti, vestiti in nero e con le cartucciere. Ma, nella maggior parte delle case, i corpi erano di civili. Molti erano in vestaglia, molte delle donne non avevano il velo, il che significa che nella casa non vi erano altri uomini che quelli della famiglia. Non vi era nessuna arma, nessun bossolo.
Ci divenne chiaro che eravamo testimoni delle conseguenze di un massacro, il macello a sangue freddo di civili inermi ed indifesi.
Nessuno sa quanti sono morti. Ora le forze d'occupazione spianano i quartieri con i bulldozer per coprire il loro crimine. Ciò che è accaduto a Fallujah è stato un atto di barbarie. La verità deve essere raccontata al mondo intero.
Il video che accompagna questo rapporto si trova nel sito Information Clearing House:
http://www.informationclearinghouse.info/article8076.htm The Legacy of Fallujah, video features Dr Salam Ismael.
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schifosa propaganda fascista
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marcos Thursday, Mar. 03, 2005 at 2:07 PM |
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Trattasi di una schifosa propaganda fasista costuita dai "soliti" fino pacifisti estremisti islamici in realtà fiancheggiatori di Al Zarkawui. E non è facile scoprirlo perchè sono pure asini nella loro opera di contraffazione: Si scrive infatti: "Quando un lavoratore od un soldato della coalizione vengono sequestrati e giustiziati, il popolo iracheno ne ha un senso di giustizia"
Si, come no: i poveretti in fila davanti l'ufficio di collocamento sterminati dalle autobombe insieme a centinaia di altri irakeni donne e bambini provocherebbero "un senso di giustizia" nel popolo irakeno. Forse nei sogni di al zarkawui o del testa di cazzo che ha scritto l'articolo.
e poi: ogni volta che un uomo o una donna o un bambino vengono assassinati da un'azione militare, sia essa deliberata o no, l'insurrezione si rafforza. Persino quando un civile innocente muore per mano dei combattenti ribelli, ad essere ritenuta responsabile sarà la forza occupante. I ribelli continueranno ad essere considerati combattenti del popolo.
Avete capito? i militari americani "assassinano" i civili preferibilemente donne e bambini mentre i "resistenti" che tagliano le teste sarebbero "combattenti del poplo" che non "assassinano" ma "giustiziano".
Solo una testa di cazzo, ribadisco, testa di cazzo pappa e ciccia con al zarkawui può scrivere una cosa del genere.
Spernacchiato dagli oltre otto milioni di Irackeni che sfidandolo sono andati a votare.
Articoli del genere, che peraltro spacciano notizie assolutamente false camuffando le affermazioni di qualche demente o di qualche estremista islamico magari pure lui infiltrato nell'esercito USA come il "pensiero dei soldati" andrebbero come minimo hiddati in quanto di stampo dichiaratamente fascista, e pure perseguiti per la chiarissima apologia al terrorismo che contengono.
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che stronzata
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ma dico? Thursday, Mar. 03, 2005 at 2:18 PM |
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davvero c'è qualcuno che crede che questa stronzata sia vera? é palesemente una cagata, a cominciare dal fatto che sarebbe stata scritta da un soldato e per continuare con un mare di imprecisioni e falsità. ma dico davvero qualcuno ci crede? Cazzo, siamo messi proprio male.
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ma ci fai o ci sei ?
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x x lo scemo veramente scemo Thursday, Mar. 03, 2005 at 2:35 PM |
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Ma ci fai o ci sei ? Un testa di cazzo con un nome fasullo pure arabeggiante come hEkLe chi te lo dice che è un soldato USA che è stato a falluja e non un barbuto (ce ne sono tanti in tutte le demopcrazie occidentali) estremista islamico amico di al zarkawui ? Oppure una testa di cazzo finto-pacifista come te ?
Mi ricorda tanto la storia della "bottiglia sulla sabbia", vomitevole articolo di mazzetta su "reporter associati" che narrava di un finto irakeno di fronte alla "occupazione" (o sarebbe meglio dire liberazione).
Almeno li però c'era l'onestà intellettuale di non spacciare quella che era e rimane una finzione o una metafora in fatti veri.
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vomitevoli articoli ai confini della realtà
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x i 2 noti pirloni Thursday, Mar. 03, 2005 at 2:42 PM |
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chiedete al comandate di delta 15 cosa succede in Iraq:
Mi permetto, attraverso queste semplici riflessioni, di contribuire al dibattito dell’area neocon italiana, in virtù di quello spirito costruttivo che anima questo blog.
Nell’attuale contesto storico, dominato dalla lotta al terrorismo fondamentalista islamico, l’Italia deve maggiormente essere presente in questa realtà di conflitto, assumendo un ruolo da protagonista nella consapevolezza di essere una Nazione obiettivo del terrorismo.
Il nostro Paese sarebbe ora visto come un "Dar al Harb", cioè nemico dell'Islam, quindi possibile scenario di atti terroristici da parte di molteplici organizzazioni estremiste.
E’ significativo, a tal riguardo, le varie minacce fatte da Bin Laden e dalla sua organizzazione, nonché da altri gruppi facenti parte dell’integralismo islamico.
Queste minacce, da non sottovalutare, ci danno un senso compiuto dell’attuale realtà in cui viviamo, anche perché sono convalidate da azioni effettivamente portate a termine in altri Paesi, ricordando soprattutto le perdite dei nostri militari e di civili in Iraq.
Nasce dunque la necessità storica di guardare avanti, di oltrepassare l’attuale dottrina del semplice supporto agli Stati Uniti, non tralasciando comunque il fatto che molto è già stato fatto, ma moltissimo è da realizzare.
Il governo italiano ha, fino ad oggi, intrapreso una strada difficile ma encomiabile.
Il supporto dato a livello internazionale contro la lotta al terrorismo è stato giustamente ben apprezzato dagli alleati.
E’ dunque iniziata una svolta, determinante per la nostra Nazione, in virtù della quale l’Italia sarà proiettata ad assumere maggior peso politico nello scacchiere internazionale.
Le maggiori responsabilità sono sempre legati a maggiori rischi ed è per questo che esiste la necessità di costruire una linea di “contromisure” atte, in primo luogo, a tutelare la nostra Comunità Nazionale, dando ancor maggiore sicurezza ai cittadini.
Si rende dunque necessario approntare altre iniziative, in conformità con il lavoro già messo in atto dal governo, che siano finalizzate ad un capillare controllo del territorio e di quei punti sensibili a rischio di atti terroristici.
Iniziare a determinare una maggiore sicurezza interna è assolutamente necessario per poter affrontare le sfide del futuro.
Sono convinto che senza la libertà non si può ottenere la pace, e per questo semplice e vero motivo che l’oppressione dei popoli è segnata tragicamente da guerre su guerre.
Sappiamo che il terrorismo è il vero nemico della pace e della stabilità, è sotto gli occhi di tutti, nelle sue forme più tragiche e agghiaccianti, nelle connessioni più o meno velate o addirittura sfacciatamente chiare di alcune formazioni politiche, perfino occidentali.
La Sicurezza Nazionale deve essere posta come fondamento per la difesa della nostra civiltà, minacciata da una realtà del terrore pronta a colpire in ogni momento.
Il rafforzamento delle Forze Armate e della capacità operativa dei servizi di intelligence, sono un passo essenziale per la difesa della Nazione.
Questa linea di pensiero, definibile come neopatriottica, vuole contribuire alla difesa dell’Identità Nazionale e al riconoscimento dell’Italia come Paese impegnato in prima fila nella lotta al terrorismo.
Nell’epoca della globalizzazione, l’idea di Nazione deve essere sempre e comunque presente, forte e determinante per gli equilibri generali.
Essere a fianco degli americani, non vuol dire essere loro servi, questo è possibile chiarirlo con una maggiore “nazionalità” nelle nostre scelte.
Sarebbe anche opportuno “rifondare” l’idea di occidente, ormai superata dagli eventi e che avvolte sembra essere predominata dalle scelte del nostro alleato americano.
La giusta via è quella di essere presenti nella propria specificità, sviluppando il culto della Nazione come entità superiore ma non contrapposta a quella globale (semmai animata da una critica costruttiva).
Essere dentro la globalità mantenendo la specificità.
Salvatore Stefio
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x marcos
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boicotta Thursday, Mar. 03, 2005 at 3:02 PM |
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forse non sapete chi é marcos???
ex "er puma" e chi sa quanti altri nick ha usato???
essere l'ebreo de roma é il suo orgoglio lui é "piu italiano di chiunque"
accanito sostenitore di sharon
il suo miglior amico si chiama scualo (che tutti qui conoscono x la sua demenza precoce)
é solo un provocatore!!! sionista-fascista-cinico-estremista
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dal Manifesto di oggi
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info Thursday, Mar. 03, 2005 at 3:13 PM |
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Io, un marine killer di civili
«Anch'io ho ucciso civili innocenti, anch'io sono diventato un killer». Parla Jimmy Massey, rientrato negli Usa dal «fronte» iracheno dopo che i primi quattro mesi di guerra lo avevano reso inabile e portato alle soglie della follia. Ora racconta (in un diario che uscirà quest'estate) gli orrori di cui è stato testimone e protagonista in prima persona. «La nostra missione in Iraq non era di uccidere dei terroristi, ma di massacrare civili innocenti». PATRICIA LOMBROSO NEW YORK «Ho visto l'orrore di quanto stiamo facendo ogni giorno in Iraq, vi ho preso parte. Siamo solo killer. Uccidiamo, continuamente, innocenti civili iracheni: niente di più.
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basta guerre
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in guerra ci vada bush Thursday, Mar. 03, 2005 at 3:24 PM |
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ogni qual volta si presenta un articolo di questo tipo 2 0 3 provocatori devono entrare nella discussione e creare confusione,una tecnica ormai conosciuta ,purtroppo per i soldati americani e i civili irakeni il terrore che gli ha fatto vivere la guerra non cambia . Chi vuole le guerre è un cretino e quando diventi un assassino di essere umano ti rimane ben poco disertare e obbiettate ,basta con le guerre.
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il Manifesto Thursday, Mar. 03, 2005 at 3:57 PM |
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Io, un marine killer di civili
«Anch'io ho ucciso civili innocenti, anch'io sono diventato un killer». Parla Jimmy Massey, rientrato negli Usa dal «fronte» iracheno dopo che i primi quattro mesi di guerra lo avevano reso inabile e portato alle soglie della follia. Ora racconta (in un diario che uscirà quest'estate) gli orrori di cui è stato testimone e protagonista in prima persona. «La nostra missione in Iraq non era di uccidere dei terroristi, ma di massacrare civili innocenti». PATRICIA LOMBROSO NEW YORK «Ho visto l'orrore di quanto stiamo facendo ogni giorno in Iraq, vi ho preso parte. Siamo solo killer. Uccidiamo, continuamente, innocenti civili iracheni: niente di più. Penso che tutti i contingenti militari stranieri in Iraq debbano essere immediatamente ritirati. E lo dico agli altri soldati, che per evitare punizioni e rappresaglie dell'esercito non vogliono parlare e ammettere che la nostra missione non è di uccidere terroristi ma civili innocenti». E' così, nell'intervista a il manifesto, che Jimmy Massey di Waynesville, piccola comunità del North Carolina, ha deciso di strappare il velo di silenzio che avvolge la «nobile missione» in Iraq. Dimesso dal corpo dei marines per ragioni mediche, ha scritto un diario, «Cowboys from Hell», che verrà pubblicato a fine estate. Qual era la sua posizione in Iraq? Ero sergente nel 3° battaglione dei marines durante l'invasione, nella primavera 2003. Quanto tempo ci è rimasto? Dal 22 marzo al 15 maggio. Quattro mesi d'inferno. Mi hanno dovuto rispedire negli Usa per stressed disorder. E' il termine usato nel gergo militare per dire che a causa dell'orrore vissuto in guerra sono uscito di senno. E' stato nei marines per molti anni? Per dodici anni. Era mai stato in guerra, prima? Mai. Lei ora è membro del gruppo «Veterani dell'Iraq contro la guerra». Sì. Mi sono recato in Iraq, inizialmente, con la convinzione di dover eliminare le armi di sterminio di massa. Presto però la mia esperienza di marine mi ha fatto capire che la realtà era tutt'altra. Eravamo dei «killer cowboy». Uccidevamo civili innocenti. Lei ammette di aver ucciso civili innocenti? Sì. E parecchi. Come è avvenuto? Vicino alla nostra base a sud di Baghdad abbiamo dato l'assalto, con tutto il mio plotone, a un gruppo di civili che stava svolgendo una manifestazione pacifica. Perché? Perché avevamo udito dei colpi d'arma da fuoco. E' stato un bagno di sangue. Non c'era neppure l'alibi che quei civili potessero essere ingaggiati in «attività terroristiche», come la nostra intelligence voleva farci credere. Abbiamo ucciso più di trenta persone. Quella è stata la prima volta che ho dovuto affrontare l'orrore di avere le mani sporche del sangue di civili. Bombardata anche con cluster bombs, la gente fuggiva e quando arrivava ai posti di blocco dove stavamo con i convogli armati, le indicazioni che ci dava l'intelligence era di colpire quelli che potevano presumibilmente appartenere a «gruppi terroristici». E voi cosa facevate? Finivamo per massacrare civili innocenti - uomini, donne e bambini. Quando col nostro plotone abbiamo preso il controllo di una stazione radio non facevamo che inviare messaggi propagandistici diretti alla popolazione, invitandola a continuare la sua routine quotidiana, a tenere aperte le scuole. Noi sapevamo invece che gli ordini da eseguire erano di search and destroy, irruzioni armate nelle scuole, negli ospedali, dove potevano nascondersi i «terroristi». Erano in realtà trappole tese dalla nostra intelligence, ma noi non dovevamo tener conto delle vite dei civili che avremmo ucciso durante queste missioni. Lei ammette che durante la sua missione ha compiuto esecuzioni di civili innocenti? Sì. Anche il mio plotone ha aperto il fuoco contro civili, anch'io ho ucciso innocenti. Sono anch'io un killer. Come ha reagito, dopo queste operazioni, pensando agli innocenti che aveva ucciso? Per un po' sono andato avanti negando a me stesso la realtà - cioè che ero un killer e non un soldato che sa distinguere il giusto dallo sbagliato - poi un giorno, svegliandomi al mattino mi è venuto in mente un giovane, miracolosamente scampato al massacro dei passeggeri della sua auto, che urlando mi chiedeva: «Ma perché hai ucciso mio fratello?». Divenne un'ossessione. Persi il controllo del mio equilibrio psichico. Ero incapace di muovermi e parlare, restavo con lo sguardo atterrito, fisso al muro. Che provvedimenti hanno preso i suoi superiori? Per tre settimane, in Iraq, sono stato imbottito di antidepressivi, farmaci psicotropi. E' il loro pronto intervento per questi casi di «stress traumatico», quando i soldati cadono in preda a questo rifiuto di uccidere. Il vostro addestramento, negli Usa, non vi rende l'unità più violenta ed aggressiva utilizzata dal Pentagono? Sì. Nel programma denominato boot camp ognuno di noi viene sottoposto a tecniche di «disumanizzazione» e di «desensibilizzazione alla violenza». Ma a me non hanno mai detto che questo voleva dire uccidere civili innocenti. Tre settimane immobilizzato da antidepressivi in Iraq. E poi? Non sapendo più cosa fare mi hanno fatto rientrare. Ora sono disabile, dimesso dall'esercito con honorable discharge. Altri sono nelle sue condizioni? Molti. E sono ancora al fronte. Li imbottiscono di antidepressivi e poi li rispediscono a combattere. E' un problema che ha assunto dimensioni preoccupanti, ma non se ne deve parlare negli ambienti militari. Nel 2004, 31 marines si sono tolti la vita, 85 hanno tentato il suicidio. La maggioranza di coloro che hanno preferito togliersi la vita piuttosto che continuare ad uccidere è sotto i 25 anni, il 16 per cento non ha più di 20 anni.
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leggete
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chi è marcos Thursday, Mar. 03, 2005 at 4:03 PM |
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chi è marcos
by ispettore Monday, Sep. 20, 2004 at 4:10 PM mail:
è un radicale (di merda) che gira tra il Foglio ed il Riformista, uno della banda dei radicali/fanatici che spammano il web contro l'Iran, il Venezuela, Cuba; Sostiene le idee di Michael Leeden (spammandole ovunque). Irascibile, maleducato, anche in questo caso non mostra il minimo rispetto, ma da uno che tiene il pc pieno di orripilanti pornazzi (pissing, zoofilia e anche peggio) non c'è da spettarsi granchè.
Come mai questa gente, al fanatismo e all'odio per gli "inferiori", accompagna spessissimo turbe sessuali? (vedi squalo)
http://italy.indymedia.org/news/2003/07/333388 http://italy.indymedia.org/news/2003/07/329739 http://italy.indymedia.org/news/2003/07/329354 http://italy.indymedia.org/news/2003/07/324667
e non metto l'indirizzo perchè non sono una merda come lui
Perchè, secondo voi, si divertono a boicottare i tentativi della gente comune di capire qualcosa in mezzo al mare delle loro balle?
Non vi rende rende MOLTO PERPLESSi che i collaboratori del sito Iranwatch siano: IL PARTITO RADICALE IL RIFORMISTA IL FOGLIO????????
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si , il tuo ambiaente naturale idiota
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bastaaaaaaa Thursday, Mar. 03, 2005 at 6:08 PM |
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ma quanto posti?
hai versato almeno l'obolo a indy?
ti saremmo tutti grati se la smettessi di riempire la banda delle tue stronzate, luca, visto che poi attiri ogni genere di bambino.
il livello lo fanno gli utenti, tu sei qui tutti i giorni apposta per far danni vero?
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uhm... no
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Luca Thursday, Mar. 03, 2005 at 6:14 PM |
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No, per far danni no, ma per dire la mia. Non mi sembra giusto ricevere informazioni filtrate in questo modo e basta. Ed è giusto che su un sito che si pone come centro di informazioni indipendente si possa dire la propria. Contribuisco segnalando elementi che sono assurdi, commentandoli.
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no idiota
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x l'idiota Thursday, Mar. 03, 2005 at 6:19 PM |
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se vuoi proviamo a riesumare i tuoi contributi
tu sei solo un pezzo di merda, destinato a sacrificarsi in terrificanti figure di merda come in quessto thread solo per attirare bambocci e ridurre in vacca il sito
i commenti servono ad integrare le notizie, non a provare a "sabotarle" scientificamente cone le tue invenzioni, o ad annacquarle con le tue stronzate
sei sempre il + scemo, altri hanno + dignità di te, puzzone di un bimbo scemo
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