«Sapevano tutto hanno sparato senza motivo»
«Nessuna intimazione, nessun segnale: un fascio di luce e insieme i colpi». La versione americana smentita da Giuliana e dall'ufficiale che guidava la jeep. Gli Usa erano informati dei movimenti degli italiani, sapevano che sarebbero partiti. La Reuters ha dato notizia del rilascio mezz'ora prima dell'aggressione
ROMA
Sapevano eccome, gli americani. Sapevano che Nicola Calipari e il suo collega erano a Baghdad anche perché, in mattinata, avevano consegnato loro due badge per muoversi, con tanto di licenza di portare armi. Sapevano perfettamente cosa erano venuti a fare. Il rilascio di Giuliana Sgrena doveva avvenire nella stessa mattinata e solo per un contrattempo è slittato alla sera, quando il buio rende tutto più difficile e pericoloso. E gli americani sapevano che, una volta conclusa l'operazione, gli italiani sarebbero subito ripartiti, senza perdere tempo, peraltro con un volo autorizzato dagli stessi comandi della coalizione occupante. La notizia dell'avvenuto rilascio era addirittura pubblica, in un lancio della Reuters che citava fonti di Al Jazeera, almeno mezz'ora prima della sparatoria.
In auto, mezz'ora o poco più
Il rilascio è avvenuto non prima delle 20, le 18 in Italia, forse poco prima, la Reuters ha dato la notizia alle 20,35 quando qui da noi erano le 18,35. Tra il rilascio e la sparatoria, 20,55 locali, è passato poco, mezz'ora o al massimo «un'ora, un'ora e un quarto» come dice Giuliana, che all'inizio aveva gli occhi coperti con delle imbottiture sotto gli occhiali da sole. Nella macchina dei suoi liberatori se l'è tolta solo dopo qualche minuto. Del luogo del suo rilascio, quindi, non sa nulla, se non per aver sentito l'eco di un muezzin che chiamava alla preghiera del venerdì (era venerdì, come il giorno del rapimento). Altri parlano di un vicolo e di una moschea, in una zona periferica della capitale irachena.
Ha aspettato a lungo in auto, la nostra Giuliana, senz'altro mezz'ora e forse di più. Lei stessa, qui accanto, racconta di aver temuto di morire soprattutto il giorno in cui l'hanno liberata, una paura tutt'altro che irrazionale e fondata sulla consapevolezza che il momento del rilascio è sempre delicato, il minimo incidente può provocare una tragedia, basta una pattuglia al momento sbagliato o una segnalazione di quei maledetti elicotteri americana che Giuliana, tremando, sentiva sopra di sé. Era terrorizzata.
Calipari è andato a prenderla in quell'auto chiamandola per nome, dicendole «sono Nicola, sono amico di Pier e di Gabriele Polo», per portarla nel fuoristrada preso a noleggio dai servizi italiani, un'auto con targa irachena. Poi si è seduto dietro con lei per tranquillizzarla, lasciando vuoto il posto accanto al collega al volante, un ex ufficiale del Ros dei carabinieri rimasto ferito lievemente e medicato ieri all'ospedale militare del Celio.
Cronaca di un massacro
Andando via hanno fatto due telefonate. Calipari ha chiamato i responsabili del servizio a Roma, a Palazzo Chigi, il generale Nicolò Pollari ha potuto parlare direttamente con Giuliana; l'ufficiale che guidava ha chiamato un altro suo collega a Baghdad, forse in ambasciata, avvisando «siamo in tre, andiamo all'aeroporto». Poco dopo la notizia era pubblica e non si può pensare che i comandi Usa l'abbiano appresa dalla Reuters. Sull'auto Giuliana era più serena, «la macchina ha sbandato in un pantano e abbiamo anche sorriso, pensa tu se adesso andiamo a sbattere». Qualche minuto dopo, quando erano ormai all'aeroporto, mancavano 700 metri o un chilometro a seconda delle fonti italiane o Usa, a Palazzo Chigi è arrivata la terza telefonata dell'ufficiale al volante, con la cronaca di un barbaro omicidio che poteva essere una strage. Il generale Pollari, con il telefono in mano, è entrato nell'ufficio del sottosegretario Gianni Letta dove si trovavano anche Silvio Berlusconi, Valentino Parlato, Gabriele Polo e Pier Scolari. La festa è annegata nella rabbia e nel dolore.
Le spiegazioni americane
Non era un check point, non ci sono check point in quell'ultimo, sorvegliatissimo tratto di strada che conduce all'aeroporto. Gli americani sostengono di aver intimato l'alt, di aver acceso luci, alcune fonti militari Usa sostengono che due militari della pattuglia sarebbero perfino scesi dal blindato per sbracciarsi in mezzo alla strada. L'autista di sicuro non li ha visti: «E stata un'azione ingiustificata, la nostra velocità non era tale - ha riferito ai magistrati del pool antiterrorismo - da aprire il fuoco con quella rapidità». Anche i comandi Usa, del resto, hanno dovuto aprire un'inchiesta. Le frizioni a quanto pare esistevano già durante la gestione del sequestro e dei contatti per il rilascio e se i vertici del Sismi dicono il contrario anche questo fa parte del gioco.
Secondo Giuliana andavano «a 40 chilometri l'ora» ma questo, ci spiegano, prima della curva a gomito che precede il punto esatto in cui sono stati colpiti. Avevano rallentato parecchio anche se, per gli americani, si può essere «pericolosi» e «potenzialmente ostili» perfino viaggiando a venti chilometri l'ora. Nessuna fonte americana, finora, ha saputo dare una sua versione circa la velocità dell'auto italiana, ma la velocità elevata rimane il cardine della parzialissima spiegazione ufficiale fornita finora. L'ufficiale che era alla guida ha potuto vedere solo la luce di un faro abbagliante mentre arrivava, contemporanea, quella raffica di mitragliatrice. I colpi provenivano da destra, dalla fiancata, il blindato Usa era sul ciglio della strada. Calipari, seduto su quel lato, è stato colpito dietro la testa e alla schiena mentre ruotava verso Giuliana per proteggerlo, si è accasciato su di lei che era scivolata sotto il sedile. Ha capito subito che era morto. E all'inizio non si è nemmeno accorta della gravità della ferita alla spalla. «Mi hanno spiegato che poteva esserci qualcosa al polmone quando ho detto ai medici di avere mal di gola», raccontava ieri al Celio.
La nostra inviata non s'è accorta nemmeno del faro, ha sentito solo la sventagliata della mitragliatrice. L'ufficiale, ferito a un braccio, è uscito di corsa dal fuoristrada, gridando «siamo italiani, non sparate.. fermi, cosa fate?». Giuliana, terrorizzata, è rimasta in macchina, c'è voluto un po' prima che la soccorressero, poi l'hanno fatta stendere sulla strada. La telefonata con la cronaca del massacro è stata interrotta bruscamente dai militari americani, che hanno imposto all'ufficiale italiano di spegnere il satellitare. Qualche minuto per le spiegazioni, poi i soccorsi e un'altra telefonata a Roma. Quella delle lacrime.
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