intervista rilasciata alla emittente radiofonica "voce della Palestina" da Sultan Abul Einein, segretario di Al Fatah in Libano.
I palestinesi in Libano non sono disposti a consegnare le armi - nel contesto della risoluzione 1559 delle Nazioni Unite - se prima non avranno ricevuto "adeguate garanzie politiche ed internazionali". Lo ha precisato oggi in una intervista a 'Voce della Palestinà il segretario generale di al-Fatah in Libano, Sultan Abul Einein.
"Abbiamo diritto ad invocare garanzie politiche - ha osservato il funzionario - anche perché nella memoria del nostro popolo restano impresse le stragi di Sabra e Shatila, in cui tremila palestinesi furono massacrati come pecore".
Secondo un rapporto di inchiesta israeliano, i massacri furono compiuti il 16 settembre 1982 da falangisti libanesi (all'indomani della uccisione in un attentato del loro leader Bashir Jemayel), mentre le forze armate di Israele presidiavano il centro della città.
Abul Einein ha detto che i palestinesi non desiderano prendere posizione nel dibattito politico che dopo la uccisione dell'ex premier libanese Rafic Hariri (il 14 febbraio scorso) divide i libanesi fra le forze pro-siriane e quelle che invocano un celere ritiro delle forze di Damasco dal territorio libanese.
"In tutta franchezza - ha comunque aggiunto il funzionario palestinese - pensiamo che la risoluzione 1559 sia stata concepita dagli americani e da Israele. Lo scopo di quella risoluzione è di disarmare tutti i gruppi della resistenza e rimuovere così dalla scena libanese qualsiasi ostacolo in vista di una nuova aggressione israeliana".
La questione delle armi dei palestinesi in Libano, ha sottolineato Abul Einein, "è una conseguenza della occupazione di 57 anni fa", ossia della costituzione dello stato di Israele (1948) da cui scaturì la questione dei profughi palestinesi.
La stessa legalità internazionale su cui si fonda la risoluzione 1559 deve - secondo il dirigente di al-Fatah - trovare una soluzione equa anche al problema dei profughi.
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