Un contributo, anche in vista del prossimo 19 Marzo, sulla vicenda politica del dopo sequestro di Giuliana Sgrena
SE NON E’ STATO UN AGGUATO, E’ ANCHE PEGGIO…
sebbene la nostra “cultura” faccia fatica ad ammetterlo. Riflettiamoci un attimo. Gli “americani” dicono chiaramente che le truppe di occupazione in Iraq possono sparare anche su un auto che viaggia a 40 all’ora senza neppure dare l’altolà. E hanno aggiunto di aver sparato spesso e “volentieri”, “per errore”, su persone non belligeranti. Ovviamente, giustificando questo comportamento –come applicazione delle “regole di ingaggio”- con il pericolo del terrorismo….un terrorismo che evidentemente deve essere così diffuso da far vedere nemici dappertutto, anche dopo il colossal hollywoodiano distribuito sulle elezioni. Hanno giustificato allo stesso modo i bombardamenti sulle popolazioni civili, perfino su persone che partecipavano ad una semplice festa di matrimonio; come pure gli arresti di migliaia di persone e le torture generalizzate più abiette nelle carceri. Con tale contesto essi spiegano, senza pudore, la sparatoria anche contro un auto, che aveva preavvertito del suo passaggio, aveva già attraversato alcuni posti di blocco e si avviava tranquillamente ad imboccare l’ingresso dell’aeroporto. Un contesto che non può essere definito come nervosismo di giovani poco addestrati. Ma quello che suona più beffardamente rivelatore (di come siano considerate le altrui vite umane) in questa vicenda è l’espressione “regole di ingaggio”, per definire con aria disinvolta, quasi compiaciuta per la sua genialità discorsiva, gli ordini di uccidere indiscriminatamente: in fondo, i “giovanotti” in divisa a stellestrisce sarebbero impegnati ad abbattere non-persone in un campo da gioco; tutt’al più, la “commissione disciplinare” dovrà accertare solo qualche fallo…di reazione. Se quello che stanno facendo le truppe occupanti in Iraq lo facessero in un paese come il Belgio o come l’Italia, immediatamente la nostra auto-stima -di noi come europei- ci porterebbe a qualificare un comportamento del genere simile a quello del peggior nazismo, perché il normale –fateci passare l’aggettivo- nazismo in Belgio o in Italia non sparava all’impazzata sui civili che “si muovevano”. Del resto, una buona parte del nostro orrore per il genocidio degli ebrei fu dovuta al fatto che questi ultimi erano bianchi come noi. In altri termini, non penseremmo minimamente che le cosiddette regole di ingaggio –se applicate in un paese occidentale occupato- facciano parte di una sorta di libero contratto tra due pacifici commercianti o di una pattuizione tra il club Roma e Francesco Totti. E in verità –sebbene per via di un malsano orgoglio nazionale- l’uccisione di Calipari ci stava spingendo a fare qualche imbarazzante paragone e di nuovo stava provocando una critica di massa all’occupazione dell’Iraq. Stavamo perfino facendo centro sul Manifesto nel ricordare il capitano Willand quando diceva, in Apocalipse now, che “incriminare qualcuno per omicidio in Vietnam è come fare una multa per eccesso di velocità ad Indianapolis”; o nel rilevare che “incidente, destino, agguato: sono tre parole che dicono a modo loro una sola certezza”. Ma poi abbiamo quasi spontaneamente accettato la “dritta” suggerita dal governo e dalla variegata sinistra ENIsta. Una “dritta” tesa non a negare la verità, ma a far concentrare tutta la nostra emozione sull’eroe morto per salvare la vita della Sgrena. E così tutti prima al funerale di Calipari, e ora a chiedere la verità sulla sua “morte”, pensando più a sinistra che la giustizia per la morte di questo eroe potrebbe provocare effetti trascinatori per la giustizia sui milioni di morti iracheni. Ma perché cerchiamo di scivolare sempre sulla verità, di non afferrarla e di non affrontarla, anche quando essa si propone con la brutale evidenza di un terremoto? Per via della guerra e del terrorismo –tentiamo di dire. Eppure sappiamo molto bene –e la retorica cinematografica ce lo ripete fino alla noia- che queste erano esattamente le giustificazioni del nazismo: con la parola banditen si tacitavano le inquiete coscienze di allora. Il motivo, ancorché difficilmente confessato, è un altro: le “regole di ingaggio” americane – questo oltraggio al comune senso del linguaggio- sono naziste se applicate contro un popolo “civile” dell’Occidente sono invece solo “regole d’ingaggio” per mantenere l’ordine su un popolo “arretrato”. E’ un motivo che non ha bisogno di essere propagandato e anzi è meglio che non sia propagandato: appartiene alla nostra storia sedimentata, si alimenta di meschini –e spesso anche illusori- interessi immediati, traspare nel preambolo della Costituzione europea e nella legislazione, formale e materiale, che inferiorizza gli immigrati….e ritiene ancora che lo sterminio degli “indios” e dei “pellerossa” fu solo uno spiacevole incidente. Insomma è come un fondo occulto da cui la politica e l’apparato mass-mediatico della classe dominante possono sempre attingere con opportuni cenni d’intesa, segnali in codice, senza dover firmare richieste e ricevute, che, alla stregua del politically correct, risulterebbero compromettenti. In altri termini, non sorvoliamo esplicitamente su un milione di morti iracheni, oggi però piangiamo soprattutto per un nostro eroe, come ieri ci costernava la distruzione di Falluja ma eravamo soprattutto in ansia per la sorte di due nostre sorelle. Potevamo piangerlo come uomo assassinato dal solito fuoco “amico”, ma non bastava: il suo riflesso fisico -condizionato dall’improvvisa e fragorosa pioggia di proiettili che non lascia affiorare in soli due secondi neppure un istintivo sentimento- di stringersi alla persona che gli stava accanto, lo abbiamo voluto subito rappresentare sulla scena pubblica (sussurrando il nostro buon senso nel chiacchiericcio privato, magari anche con qualche volgarità) come un gesto coraggioso di altruismo, perché il “semplice” episodio di un uomo assassinato dalla sbirraglia occupante ci avrebbe posto di nuovo davanti agli occhi un’elementare verità, cioè l’incomprimibile, anche dalla più garantista delle regole di ingaggio, libertà di sparare in un paese occupato “incivile” che noi abbiamo il diritto superiore di occupare. Una verità che renderebbe risibili i nostri “generosi” appelli contro una non meglio specificata guerra, per “liberare la pace”, per far valere il diritto internazionale e per quant’altro di svicolante abbiamo escogitato. Dunque, non è perché siamo cinici che non ci associamo all’ipocrita commozione per l’eroe nazionale, ma perché abbiamo –come pare volesse intendere pure Luca Casarini- un altro paradigma “culturale” e lottiamo per affermarlo, anche nella convinzione che una nuova fratellanza umana –che ci ostiniamo a chiamare ancora internazionalismo- può offrire qualcosa di meglio, agli sfruttati d’Occidente, dei meschini interessi “protetti” dai vari centro-destra e centro-sinistra. Il 19 marzo a Roma saremmo ancora una volta in piazza per richiedere il “ritiro immediato delle truppe senza se e senza Onu”, ma anche in polemica con chi contribuisce a recuperare e incanalare il dissenso all’occupazione dell’Iraq in alvei più innocui. Che i “giuristi” della lotta di classe chiedano pure l’accertamento della verità sulla sparatoria contro l’auto che trasportava la Sgrena, per parte nostra l’unica verità che conta è da sempre arcinota e ci viene sbattuta in faccia ogni giorno: tutt’al più, l’accertamento dell’agguato si aggiungerebbe a questa colossale verità. Non chiediamo la democratizzazione delle regole di ingaggio, che, quando è la maggioranza di popolo a resistere, non possono essere diverse –come direbbe sprezzantemente Luttwack- da quelle naziste. Non chiediamo un’occupazione democratica dell’Iraq, così come non abbiamo chiesto la democratizzazione del nazismo. Il grande storico Panikkar raccontava nella sua “Storia della dominazione europea in Asia” che la turba che scacciava un missionario da una città gli gridava dietro: “Avete bruciato il nostro palazzo, avete ucciso il nostro imperatore, ora vendete veleno al nostro popolo, e pretendete anche di insegnarci la virtù?” Noi chiediamo quindi, senza tregua, che dall’Iraq se ne vaian todos a cominciare da nosostros !!! Red link
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