il giornale fondato da quel fulmine di guerra di Eugenio Scalfari, diretto da un certo Mauro che in questi giorni si è esibito in pericolosi salti mortali con i suoi scribacchinii di punta (D' avanzo, oggi addirittura Maltese) cercando in tutti modi di proteggere l' Americano oggi pubblica l' intervista al marine Massey che racconta la vera situazione in Iraq. ____l'unico problema è che questo marine parla da giorni o da mesi, un intervista era già stata riportata dal Manifesto giorni fa ma non sembrava rilevante allora a lor signori. A cosa dobbiamo quindi tale slancio del quotidiano Repubblicano?
semplicemente si spera porti acqua al mulino dell' incidente.........................meglio tardi che mai comunque, contando che forse 'il pubblico' è meno fesso di quello che pensano. Di una cosa gli scribbacchini però si dimenticano quando farneticano su regole d' ingaggio, mancata professionalità, e strategie dei ricatti.
Tutto quello che succede all' italia è dovuto al suo appoggio ad una guerra colonialista. è inutile parlare degli effetti senza guardare alla causa.
Intervista all'ex marine Massey: "Uccisi 30 civili in due giorni" Dissi al comandante che stavamo facendo massacri inutili "Noi, killer ai checkpoint le regole non ci sono più" di RICCARDO STAGLIANO'
Marines Usa a Saqlawiyah non lontano da Falluja Il sergente Jimmy Massey è stato nei marines per 12 anni prima di finire in Iraq. Nell'aprile 2003 al checkpoint che comandava sono stati uccisi, in 48 ore, una trentina di civili: "Ci sono voluti due giorni perché ci spiegassero che il nostro alzare il braccio per intimare l'alt era interpretato come un gesto di saluto". Ha cominciato a non dormire più e ha protestato con i superiori. Rispedito a casa per "disordine da stress post-traumatico" è stato "congedato con onore" nel dicembre 2003. Oggi gira l'America raccontando quello che ha visto "perché in Iraq tutte le regole d'ingaggio e la Convenzione di Ginevra sono saltate".
Com'è possibile un malinteso del genere? "Ricevevamo quotidianamente intelligence che ci mettevano in guardia contro gli attacchi suicidi, la nostra ansia veniva ingrassata da inviti a sospettare di donne e bambini, delle ambulanze: tutti gli iracheni erano dipinti come terroristi. Le dita scattano più facilmente sul grilletto con un trattamento del genere".
Sì, ma le regole d'ingaggio? "Prima alzavamo il braccio - o accendevamo un faro di notte - poi una raffica di avvertimento (in un paese dove tutti sparano per aria per festeggiare) e quindi si mirava all'auto. Ma l'intervallo tra queste tre fasi si riduceva sempre più. Avevamo chiesto delle vere barricate per costringere al rallentamento ma i nostri genieri ci dissero che non erano essenziali. In verità si era pronti a correre il rischio di fare vittime innocenti per dimostrare chi fosse il più forte in campo". Erano davvero terroristi? "Nessuno, dalle auto su cui abbiamo sparato, ha mai risposto al fuoco. E mai, nelle perquisizioni sulle vetture, abbiamo trovato armi. Soldi in contanti, piuttosto, di gente che cercava di scappare. Ricordo la faccia insanguinata di una bambina di 6 anni, e gli occhi dell'unico sopravvissuto di una Kia rossa dalle parti dello stadio di Bagdad che continuava a ripetermi: "Perché avete ucciso mio fratello?"".
E lei cosa ha fatto? "Io sono andato dal mio comandante e gli ho detto che stavamo facendo dei massacri inutili. Lui mi ha detto che avevo bisogno di riposo e di vedere uno psicologo. Mi hanno rimandato a casa".
I suoi soldati la pensavano come lei? "Non è il loro mestiere mettere in discussione gli ordini. Erano ragazzi contenti del loro lavoro. E quando qualcuno ha cominciato a venire da me con dei dubbi, il mio compito era di mantenerli motivati per far sì che tornassero a casa interi. A loro dicevo "tornate a combattere", ma dentro non resistevo più. Violavamo tutte le regole che ci avevano insegnato".
Ha letto dell'agente italiano ucciso? "Sì, e sapendo come funzionano i checkpoint non mi sorprende affatto: prima si spara, poi si fanno le domande. Non c'era alcuna linea guida sulla velocità dell'auto. Lo vado dicendo in giro da un anno ormai. Sapevo che era questione di tempo prima che lo scandalo venisse a galla. Tragicamente ci voleva una vittima famosa per denunciare anche i tanti iracheni morti".
(10 marzo 2005)
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