“Non c’era alcun posto di blocco, Non è stata auto-difesa” Giuliana Sgrena mette le cose in chiaro.
Giuliana Sgrena sarebbe probabilmente la prima a dire che concentrarsi sul suo caso significherebbe distogliere l’attenzione dalle dimensioni dell’orribile violenza quotidiana, che gli iracheni si trovano ad affrontare a opera dei soldati americani. La Sgrena è la corrispondente di guerra italiana colpita dalle forze americane sulla strada per l’aeroporto di Baghdag, dopo essere stata tenuta in ostaggio per un mese da un gruppo della resistenza irachena. La donna sa meglio di chiunque altro che, se lei e l’operatore della sicurezza italiano ucciso dalle truppe statunitensi mentre cercava di salvarla fossero stati semplicemente dei civili iracheni, questa non sarebbe stata altro che una delle tante “non-storie” della stampa americana.
(traduzione da www.indymedia.us di Daria83anti-flag)
“Non c’era alcun posto di blocco, Non è stata auto-difesa” Giuliana Sgrena mette le cose in chiaro.
Giuliana Sgrena sarebbe probabilmente la prima a dire che concentrarsi sul suo caso significherebbe distogliere l’attenzione dalle dimensioni dell’orribile violenza quotidiana, che gli iracheni si trovano ad affrontare a opera dei soldati americani. La Sgrena è la corrispondente di guerra italiana colpita dalle forze americane sulla strada per l’aeroporto di Baghdag, dopo essere stata tenuta in ostaggio per un mese da un gruppo della resistenza irachena. La donna sa meglio di chiunque altro che, se lei e l’operatore della sicurezza italiano ucciso dalle truppe statunitensi mentre cercava di salvarla fossero stati semplicemente dei civili iracheni, questa non sarebbe stata altro che una delle tante “non-storie” della stampa americana. Con Terri Schiavo e Michael Jackson da seguire, per la maggior parte delle stazioni mediatiche è piuttosto difficile trovare il tempo di raccontare degli oltre 100.000 civili iracheni uccisi dall’inizio dell’invasione, due anni fa.. Ecco perché un caso come quello della Sgrena è diventato così importante – perché rappresenta un’occasione di mostrare al mondo quella parte della realtà che gli iracheni si trovano ad affrontare ogni giorno della loro vita: vengono rapiti in numero allarmante; vengono colpiti da soldati americani dal grilletto facile; le loro morti sono giustificate – se mai vengano riconosciute – da ufficiali americani che diffondono inconsistenti storie da copertina, che non reggerebbero mai in nessun tribunale americano (eccetto, forse, un tribunale militare). Stanno emergendo nuovi dettagli circa la sparatoria alla Sgrena e la morte dell’ufficiale italiano, Nicola Calipari, che hanno generato una cronaca in inglese (questo, naturalmente, resta una storia importante in Italia). La giornalista indipendente Naomi Klein ha incontrato di recente la Sgrena nell’ospedale militare di Roma, nel quale si trova dal ritorno in Italia il 5 Marzo. “Giuliana è più malata di quanto ci vogliono far credere”, dice la Klein. “è stata colpita da un’arma da fuoco che si trovava in cima ad un carro armato, il che significa che tale arma era molto grande. Acolpirla è stato un proiettile di circa 10 cm, che si è poi frammentato e che non solo le ha provocato una ferita alla spalla, ma le ha anche perforato un polmone. Il suo polmone continua a riempirsi di liquidi e continuano ad esserci complicazioni causate da quella ferita piuttosto grave.”. Questo caso è stato liquidato dagli ufficiali americani come un “terribile incidente” accaduto in quella che ci viene detto essere “la strada più pericolosa dell’Iraq”, dove i ribelli aspettano, costantemente nascosti, di poter sferrare un attacco. Il Pentagono controbatte che gli italiani non avrebbero rallentato al posto di blocco e che i soldati avrebbero aperto il fuoco soltanto dopo ripetuti tentativi di fermare l’auto. Secondo la Sgrena il problema è che la sparatoria non sarebbe avvenuta su quella strada. Inoltre la Sgrena dice che non ci sarebbe stato alcun posto di blocco per il quale dover rallentare. “Il fatto che ci sia stata una sparatoria di quel tipo su quella strada viene considerato come un incidente piuttosto comune e comprensibile”, dice la Klein. “Io stessa sono stata su quella strada e si tratta di un luogo davvero pericoloso, con molti posti di blocco e nel quale avvengono continuamente delle esplosioni. Ciò che Giuliana mi ha riferito e che non avevo realizzato prima è che lei non si trovava affatto su quella strada”. Secondo la Klein, quando Calipari venne ucciso e la Sgrena ferita, si trovavano in una strada sicura, alla quale è possibile accedere solo attraverso la sorvegliatissima Green Zone, che è riservata esclusivamente alle principali missioni diplomatiche straniere e agli ufficiali americani. “Si tratta di una strada completamente separata, proprio una strada dell’era-Saddam, sembrerebbe, che permetteva ai suoi veicoli di passare direttamente dall’aeroporto al suo palazzo”. Dice la Klein. “E ora quella è la strada sicura fra la base militare americana all’aeroporto e la Green Zone controllata dagli USA e l’ambasciata americana.” “Era una strada dei VIP, per il personale dell’ambasciata, non per le persone normali”, ha detto la Sgrena alla Klein. “Io sono potuta passare da quella strada solo perché ero con gente dell’ambasciata italiana”. “Quindi Calipari, l’ufficiale della sicurezza italiano, andò a prendere la Sgrena dal veicolo abbandonato nel quale i rapitori l’avevano lasciata ed hanno viaggiato direttamente verso quella strada via Green Zone. Ciò spiega perché la Sgrena disse che, in viaggio verso l’aeroporto, pensava fossero finalmente al sicuro, poiché l’area in cui si trovavano era sotto il controllo degli Stati Uniti.” La Klein dice che la Sgrena si sente molto frustrata per l’affermazione del Governo americano, e costantemente reiterata dai media, secondo la quale gli italiani sarebbero stati colpiti da un posto di blocco. “Dice che non si trattava affatto di un posto di blocco”, dice la Klein. “Fu semplicemente un carro armato parcheggiato al lato della strada ad aprire il fuoco su di loro” Non ci fu alcuntentativo di cercare di fermare la macchina, ha detto, né alcun tipo di segnale. Dal suo punto di vista, si trattò solo di un carro armato che aprì il fuoco”.
“Non era un posto di blocco. Nessuno ci chiese di fermarci”, ha detto la Sgrena alla Klein “Tutte le strade su cui ci trovavamo erano controllate dagli USA, perciò pensavamo sapessero che le stavamo attraversando. Non cercarono di fermarci, ci spararono e basta. Hanno un modo per segnalarci di fermarci, ma non ci fecero alcun segnale per farci fermare e si trovavano ad almeno 10 metri fuori dalla strada, da una parte”.
La Sgrena dice inoltre che i soldati americani spararono loro da dietro che, naturalmente, contraddice l’affermazione secondo la quale i soldati spararono per auto-difesa. “Parte di ciò che ascoltiamo è che i soldati americani aprirono il fuoco sull’auto, perché non sapevano chi fossero ed avevano paura”, dice la Klein. “La paura, naturalmente, che l’auto potesse essere fatta esplodere o che gli stessi soldati potessero trovarsi sotto attacco. E ciò che Giuliana ha sottolineato parlando con me è che il proiettile che l’ha ferita così seriamente proveniva da dietro, entrò dal retro della vettura. E che l’unica persona che non fu ferità gravemente fu il conducente, e questo, dice, perché gli spari non provenivano da davanti.”
“Provenivano da destra e da dietro, i.e. loro si stavano allontanando. Pertanto, l’idea che si sia trattato di un atto di auto-difesa, credo che stia diventando sempre più discutibile,” dice la Klein. “Perché, appunto, se la maggior parte del fuoco proveniva da dietro, allora è ovvio che i soldati stavano sparando su di un’auto che si stava allontanando da loro.
Ciò potrebbe spiegare come mai i militari americani in Iraq hanno impedito al governo italiano di ispezionare il veicolo italiano, nonostante la macchina fosse di proprietà del governo italiano, che l’ha comprata dall’agenzia di noleggio dopo l’incidente. “Penso che abbiano qualcosa da nascondere se non volgiono consegnare l’auto per l’ispezione” ha detto la Sgrena alla Klein. “E’ molto strano, Se non c’è niente da nascondere, perché non lasciare che gli ufficiali di giustizia italiani vedano l’auto?”.
“Non si è trattato di auto-difesa” ha detto la Sgrena. “I soldati si trovavano alla nostra destra, al lato della strada, hanno iniziato a sparare da destra e hanno continuato ha sparare da dietro, ma la maggior parte dei colpi provenivano da dietro. Calipari è stato colpito da destra ed io sono stata colpita alla spalla da dietro. Quando ci siamo fermati, erano dietro di noi. Abbiamo visto che tutti i finestrini sul retro dell’auto erano rotti. Se hanno paura, possono fermare l’auto, possono chiederlo, poi possono sparare alle ruote, ma non l’hanno fatto. Non hanno cercato di fermare l’auto ed hanno sparato per lo meno dieci proiettili all’altezza delle persone sedute nell’auto. Se Calipari non mi avesse spinto giù, avrebbero potuto uccidermi.”.
Questo caso getta una luce importante sulla cultura dell’impunità che avvolge l’occupazione americana in Iraq. Se questo è il modo in cui Washington tratta l’Italia, uno dei suoi più stretti alleati nella cosiddetta “guerra al terrore”, se i soldati americani uccidono il secondo più alto ufficiale dell’intelligence di quel paese, immaginate la lotta che gli iracheni devono affrontare mentre muoiono a decine di migliaia. Loro non hanno un personaggio potente come Silvio Berlusconi a difenderli. Hanno invece dei reporter controcorrente come Giuliana Sgrena, che rischiano le loro vite per raccontare queste storie.
“Bisogna proteggere la vita dei giornalisti che vanno a parlare con la gente”, dice Luciana Castellina, una dei fondatori della testata della Sgrena “Il Manifesto”. “Altrimenti il risultato sarebbe che non avremmo più giornalisti oppure solo giornalisti allineati”.
Jeremy Scahill è un giornalista del programma radio/TV Democracy Now! Può essere contattato a democracynow.org.
www.indymedia.us
|