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San Nicola "richiedente asilo" - No alle discariche umane: le persone non sono i
by Andrea Giudiceandrea Wednesday, Apr. 06, 2005 at 12:43 PM mail:

Bari - 2 Aprile 005 - Lo sbarco di San Nicola che chiedeva asilo è stato accolto da una folla festante. Ma subito dopo per San Nicola lo stesso trattamento che colpisce i migranti che sbarcano sulle nostre coste...

San Nicola "ric...
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da Global Project Bari http://www.globalproject.info/aut-it-103.html

Bari - 2 Aprile 005 - Lo sbarco di San Nicola che chiedeva asilo è stato accolto da una folla festante. Ma subito dopo per San Nicola lo stesso trattamento che colpisce i migranti che sbarcano sulle nostre coste. Di fronte alla richiesta di asilo politico San Nicola è stato portato in manette dentro la Croce Rossa e della Cooperativa Salute e Massacro dove si è svolta la conferenza stampa dei devoti che accompagnavano il Santo protettore di Bari di denuncia della Croce Rossa che gestisce alcuni CPT al su Italia.
Global Project Bari - Sabato 2 aprile 2005

- [ audio http://www.globalproject.info/IMG/mp3/020405_bari.mp3 ]
- Galleria di immagini http://www.globalproject.info/gal-4270.html


Il documento della Rete No Cpt

No alle discariche umane: le persone non sono immondizia.
Global Project Bari - Giovedì 31 marzo 2005
http://www.globalproject.info/art-4234.html

No alle discariche umane: le persone non sono immondizia. Smascheriamo le retoriche della falsa accoglienza e chiudiamo i Centri di Permanenza Tempranea.

Il 2 aprile 2005 è la giornata europea di azione e di mobilitazione contro i centri di permanenza temporanea e per l’affermazioni di nuovi diritti di cittadinanza. In questa giornata, infatti, tutte le reti europee impegnate nelle lotte dei precari e/o in quelle dei migranti porranno all’attenzione dell’opinione pubblica la rivolta del precariato migrante contro l’Europa fortezza. L’Europa identitaria quella che s’immagina come super-Stato, verrà sfidata dall’Europa che s’immagina e vive come spazio trasversale di libertà, in cui si affermano da un lato un diritto al reddito sganciato dalla prestazione lavorativa, dall’altro un diritto che eccede i parametri della cittadinanza nazionale. Con questa giornata si vuole segnalare la significativa convergenza tra la legge 30 e la legge Bossi-Fini, che traducono la precarietà lavorativa dei contratti a termine in precarietà esistenziale. È per questo che il piano imperiale di “confinamento” e reclusione delle forme di vita precarie e migranti troverà nell’EuroMayDay 2005 un ulteriore momento di critica e ribellione.
La legge Bossi-Fini - che ha trasformato il problema politico del governo dell’immigrazione, in una guerra permanente contro tutti i migranti -, ha trovato in Puglia e nel Mediterraneo la sua area geografica di sperimentazione. In realtà, la nostra regione, per tutti gli anni ’90, è stata il laboratorio in cui si è approntato lo stato di eccezione come paradigma di governo. Nell’estate del 1991, la reclusione degli albanesi nello stadio di Bari ha anche costituito il modello su cui pochi anni dopo si sarebbero istituiti i cpt in Europa. In Puglia il processo di trasformazione dei luoghi della cosiddetta accoglienza in centri di detenzione, d’identificazione e di espulsione è un fenomeno che abbiamo osservato e combattuto da vicino.
I centri di permanenza temporanea sono stati istituiti dalla legge 40 del 1998 voluta dal centro-sinistra. L’istituto giuridico che li regge si chiama detenzione amministrativa o più precisamente “provvedimento temporaneo di detenzione amministrativa per ragioni di ordine pubblico”. Il paradosso consiste in questo: persone in fuga dalla guerra e dalla fame, pur non avendo commesso nessun reato, vengono private della loro libertà, dei loro diritti e rinchiusi in centri che solo apparentemente fanno accoglienza. I cpt, in realtà, sono luoghi di reclusione, in cui nessuna comunicazione con l’esterno è consentita e da cui nessuno si può allontanare, in quanto circondati da mura e recinti di filo spinato.
Questi luoghi chiusi si sottraggono ad ogni controllo esterno: sono sempre più frequenti le denunce di maltrattamenti fisici sui migranti reclusi, di utilizzo di psicofarmaci, di negazione delle cure mediche anche a persone gravemente malate. Chi vi è rinchiuso è volutamente reso invisibile: non a caso questi luoghi sorgono alle periferie delle città o in aperta campagna.
Questi luoghi sono carceri speciali, non è importante chi tu sia, quale sia la tua storia individuale, le motivazioni della tua fuga: sei già stato giudicato un “soggetto pericoloso” da espellere e da rimpatriare. E non importa se, al rientro nel tuo paese, rischi il carcere, la tortura o la vita.
Anche il centro che è stato costruito a Bari, nel quartiere San Paolo, e che sta per diventare operativo ha queste caratteristiche: lontano dal centro abitato, vicino a siti militari e di polizia, inaccessibile e invisibile dalla strada pubblica, occultato dalla Cittadella della Finanza. Si gioca con la paura della gente, costruita dai media, di una presunta invasione di masse di migranti “poveri e diseredati” che premono alle frontiere di un “occidente ricco e opulento”. In realtà si è cercato il luogo più facile da sottoporre al controllo delle forze di polizia con il minimo dispendio di uomini e mezzi e vicino agli aeroporti per semplificare le operazioni di rimpatrio.
La società di oggi è martellata quotidianamente da retoriche securitarie che ripetono incessantemente ai cittadini: potete vedere voi stessi che cosa sono gli immigrati, esseri incorreggibili e pericolosi per natura, l’immigrato è stupratore, drogato, oppure prostituta, ma anche terrorista e criminale, l’unica cosa da fare è lasciarlo fuori dai confini dello stato nazionale, oppure se tenta di attraversare illegalmente i nostri confini va rinchiuso in un cpt e poi espulso. Lottare per la chiusura dei centri di permanenza temporanea significa anche riuscire a trasformare la percezione sociale dell’immigrato, neutralizzando la perversa equazione immigrato=pericolo.
I costi del cpt che hanno costruito nel quartiere San Paolo si aggirano intorno ai 5.000.000,00 di euri. Mentre a Bari mancano spazi di aggregazione ed è inesistente una politica sociale di ridistribuzione delle risorse. La nostra città non ha bisogno di ulteriori luoghi di reclusione, né di ulteriori investimenti in operazioni di facciata; il cpt che sta per diventare operativo nel quartiere San Paolo ha sottratto fondi al welfare municipale. Bari, con la costruzione di questo nuovo carcere, introduce forme politiche di controllo in cui la criminalizzazione della marginalità e il contenimento punitivo delle classi diseredate fa le veci di una politica sociale. Questi centri sono imposti dall’alto, senza alcuna considerazione dei bisogni dei territori in cui vengono costruiti e della volontà dei cittadini di non ospitare nessun luogo di privazione del diritto.
A fronte delle attuali condizioni di crescente precarietà del mercato del lavoro e di generale impoverimento della vita di tutti, vogliamo che i cinque milioni di euri, come segno di un radicale cambiamento di prospettiva in materia di politiche di welfare, siano invece ridistribuiti in forma di accesso a diritti primari, quali la casa, la salute, la socialità, il sapere, mobilità e forme di accoglienza. Vogliamo che questa “galera etnica” scompaia dal nostro territorio.Vogliamo che il cpt del quartiere San Paolo, in cui si sommano in maniera inquietante aspetti detentivi della vita carceraria e manicomiale non sia aperto! Questi luoghi esistono dal 1998 ed è stato dimostrato che non possono essere riformati né qui né altrove.
Il 10 dicembre 2004, il comune di Bari ha espresso la sua contrarietà all’apertura del cpt del quartiere San Paolo.Questa delibera è un’importante risultato strappato grazie alla mobilitazione dal basso. Per continuare in questa prospettiva ci rivolgiamo a tutti, alle istituzioni locali, al mondo cattolico, alle associazioni, ai partiti, ai sindacati, ai singoli cittadini affinché si uniscano alle mobilitazioni dei movimenti che da anni hanno svelato i veri meccanismi e le contraddizioni insite in un sistema di finta accoglienza.
A partire dalla nostra condizione di precarietà forzata, di mobilità indotta e di incerta cittadinanza abbiamo deciso di inscenare lo sbarco di un San Nicola richiedente asilo. Ad accoglierlo ci sono alcuni operatori sociali della cooperativa “massacro e salute” che in tenuta antisettica lo arrestano e lo conducono verso la loro sede. Lo stupore della cittadinanza è grande nello scoprire che questa cooperativa è un articolazione dell’umanitaria Croce Rossa. Ad un certo punto un cittadino indignato prende la parola per ricordare che lo Zyclon-B, gas con cui si facevano morire gli ebrei, era trasportato al campo di concentramento di Birkenau dalle vetture della Croce rossa e che l’iscrizione che campeggiava alle porte di Mauthausen era “pulizia e salute”. Nella sua invettiva, che altro non è che un esercizio di contro-memoria, egli pone l’accento sul ruolo giocato dai medici nazisti nello sterminio attuato dal regime. Se il potere ultimo calzava gli stivali delle SS, l’auctoritas suprema vestiva il camice bianco del medico. Nessun passaggio della produzione di morte in serie sfuggì al controllo medico, infatti non è un caso se solo i medici avevano il diritto di iniettare fenolo nel cuore delle vittime o di aprire il rubinetto del gas..
A differenza di quanto si potrebbe pensare, la fine del nazismo, non ha significato assolutamente la fine dell’inquietante rapporto di reciprocità che lega il massacro di massa alla cura della vita. La compresenza, nelle strutture politiche, di meccanismi di distruzioni su larga scala e di istituzioni orientate alla cura della vita delle popolazioni costituisce l’antinomia centrale della nostra ragione politica democratica, nell’epoca della guerra globale permanente.
La guerra, nella nostra attualità, sembra muoversi verso due direzione opposte: da un lato viene ridotta a un azione di polizia che deve generare e regolare la vita, dall’altro con le tecnologie di distruzione globale, è innalzata un livello assoluto che comanda direttamente sulla morte di tutti i viventi. Il potere di guerra globale non deve però mai giungere a trasformarsi in una pura macchina di morte, per la semplice ragione che non può permettersi di annichilire totalmente la vita delle popolazioni. Il sistema imperiale sopravvive soltanto se è in grado di preservare la vita dei propri sudditi o, come minimo la loro capacità di produzione e consumo. Se un qualsiasi potere sovrano distruggesse il vivente, distruggerebbe anche se stesso.
Oggi la guerra postmoderna è un dispositivo di potere che funziona sul paradosso della reciprocità tra cura della vita delle popolazioni e massacro di massa. Ed è proprio questo nocciolo paradossale di razionalità politica che ci permette di comprendere a fondo la qualificazione “umanitaria” della guerra di polizia. Nel bombardamento umanitario si manifesta la sovrapposizione tra dichiarata difesa della vita ed effettiva produzione di morte. Sul medesimo territorio, e nello stesso tempo, insieme a bombe ad alto potenziale distruttivo, vengono sganciati anche viveri e medicinali.
La stessa sovrapposizione si produce anche nei CPT attraverso la gestione di queste carceri speciali da parte di chi troppo spesso si vanta di svolgere un ruolo umanitario e di cura dell’altro. Ma nessuno potrebbe svolgere un ruolo del genere all’interno di quel sistema di reclusione chiamato centro di permanenza temporaneo; e questo perché è la logica stessa in cui nasce il CPT ad escludere qualsiasi intervento che possa definirsi di accoglienza verso chiunque.
Oggi, in Puglia, la croce rossa gestisce il centro di permanenza di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia e ha gestito Bari-Palese più altri centri sparsi sul territorio nazionale
Chiediamo a tutti una chiara espressione di contrarietà e di incompatibilità ai CPT ed alle leggi che li hanno istituiti, perché l’immigrazione non è un problema di ordine pubblico ma ricchezza da rendere comune.
Rete No Cpt - Bari

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