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A Bologna esistono luoghi nascosti dell'emarginazione, dell'esclusione,
della privazione dei diritti di cittadinanza. Sono veri e propri suburbs nei quali decine di precari trovano rifugio per
trascorrere la notte in baracche, senza alcuna assistenza. Una di queste periferie è il lungo Reno a Borgo Panigale, sulle cui rive "risiedono" molti cittadini dell'est europeo. Il maltempo dello scorso finesettimana ha ingrossato le acque del Reno e nella notte di domenica le famiglie hanno avuto paura di essere travolte. Paura di morire. Questi cittadini hanno fatto la cosa più normale: hanno telefonato ai Vigili del fuoco per chiedere aiuto. Invece dell'aiuto sono arrivati plotoni di Vigili Urbani [dipendenti del Comune di Bologna, il cui Sindaco ha già *bonificato la zona* - http://www.meltingpot.org/articolo5031.html] e Carabinieri che hanno rastrellato le rive del fiume deportando 9 persone al Centro di Permanenza Temporanea. Invece dell'aiuto è arrivata la carcerizzazione: non c'è stata alcuna risposta per questi cittadini che reclamavano diritti, primo dei quali l'uscita dalla clandestinità. Uomini che hanno messo in gioco tutto per migrare e per sognare un vita migliore per sè e per la propria famiglia.
Invece di diritti carcere e clandestinità.
I 9 uomini tradotti al CPT lavoravano nei cantieri edili della nostra città, in nero ovviamente. Sono stati sfruttati da padroni e padroncini che speculano sulla pelle di questi nomadi precari. In breve: quando non basta la maledetta legge 30 e la ricattabilità del precariato migrante permessa dalla legge Bossi Fini i padroni si collocano sul terreno feudale del lavoro nero.
Mercoledì abbiamo portato all'attenzione della città e dei movimenti quanto accaduto facendo un presidio in via Mattei, anche per comunicare a tutti i reclusi che non sono soli, che le loro storie superano qualunque muro.
In questi giorni abbiamo mantenuto un contatto con questi fratelli che sono immediatamente entrati in sciopero della fame, allacciandosi al percorso di resistenza inaugurato dai migranti deportati al CPT di via Corelli [http://www.meltingpot.org/articolo5113.html], espulsi con un volo di linea Alitalia [http://www.globalproject.info/art-4430.html].
Questa mattina siamo tornati al CPT per presidiare l'udienza di convalida nel corso della quale uno solo degli 9 giudicati è stato liberato per un vizio di forma nell'arresto. La libertà di un precario è dipesa solo dal fatto che è arrivato in italia da pochissime ore per cui non ha neppure potuto effettuare la domanda di permesso di soggiorno. Quando i legali hanno sollevato l'obiezione che le retate e le espusioni collettive sono vietate dalla Costituzione di questo paese e dalle Convenzioni internazionali sui diritti umani il giudice ha risposto loro che "questi sono argomenti politici e non giudiridici", convalidando l'arresto degli altri 8 migranti. Abbiamo potuto vedere l'insubordinazione degli altri detenuti che sono usciti dalle celle, hanno fatto un'assemblea nel corso della quale hanno discusso ed approvato un appello che parla a noi ed a tutti i cittadini [http://www.globalproject.info/art-4431.html] con parole semplici, ma che indicano l'impossibilità ad accettare un mondo nel quale il comando informa ogni relazione sociale a mezzo della guerra.
Per questo abbiamo scritto che non ha alcun senso il dibattito su violenza e non violenza, che è solo un alibi per chi ha deciso di non vedere come la guerra impone ai movimenti un piano di diserzione che è il boicottaggio ed il sabotaggio delle agenzie di guerra. A volte esso è solo un alibi per dissociarsi da pratiche mi movimento come ha fatto l'ARCI nazionale [http://www.meltingpot.org/articolo5146.html] e Rifondazione di Modena [http://www.meltingpot.org/articolo5158.html].
Gli operatori della Misericordia, sanzionata dai movimenti durante le grandi giornate europee del 1 e 2 aprile [http://www.globalproject.info/art-4170.html], hanno accompagnato il reparto Mobile in una ronda interna, fatta manganelli alla mano nelle celle e negli spazi comuni in rivolta per costringere i migranti a ritornare in silenzio nell'invisibilità.
Abbiamo scoperto che viene detto loro di compilare un modulo per la richiesta di colloquio con i propri familiari e che questo non viene neppure esaminato. Ad un migrante che ha chiesto formalmente di poter incontrare una nostra compagna gli è stato detto che la richiesta sarebbe stata accolta, mentre l'unica via per ottenere l'incontro è una domanda presentata per iscritto in Prefettura. Ma questo è un altro capitolo di questo maledetto racconto. Siamo andati in Prefettura dove ci è stato detto che non c'è nessuna garanzia che la domanda venga accolta, che l'approvazione è soggetta alla discrezionalità del Prefetto e che entro le prossime due settimane ci farà sapere la risposta. Due settimane: il tempo del rimpatrio.
Nei prossimi giorni verrà effettuata l'espulsione collettiva dei migranti: per essa si attiveranno ulteriori anelli della catena delle deportazione, ulteriori business di guerra.
Tutto questo racconto si svolge senza che vi sia stato l'intervento della Giunta comunale, silente e pertanto complice della presenza operativa di un carcere etnico nel nostro territorio, nascosta dietro la giustificazione che *loro non possono fare nulla*, che *non è colpa loro* se esistono regimi di struttamento feudale del capitale sul lavoro e se il lavoro nero è pratica diffusa.
Nel mentre la cittadinanza, intesa come un universo di diritti e dignità per tutti, è solo un abbaglio sdrucito nei manifesti elettorali delle elezioni del 13 giugno 2004, ormai sbiaditi.
Non c'è nessun lieto fine in questo racconto, nessuna morale che assolve. Emerge potente e sovversivo solo il sogno di una grande evasione, agita come esercizio del comune della moltitudine, sia essa migrante o nomade, esodo verso qualcosa di diverso che noi chiamiamo democrazia. Quella vera, quella assoluta, che fin dal XVII secolo si chiama *governo di tutti esercitato da tutti*.
TPO, ass. Ya Basta!, Passepartout
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