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[Migranti] Comunicato arresti sul lungo Reno
by TPO/ Passepartout/ Ya Basta! Friday, Apr. 15, 2005 at 8:47 AM mail:

...

A Bologna esistono luoghi nascosti dell'emarginazione, dell'esclusione,

della privazione dei diritti di cittadinanza.
Sono veri e propri suburbs nei quali decine di precari trovano rifugio per

trascorrere la notte in baracche, senza alcuna assistenza.
Una di queste periferie è il lungo Reno a Borgo Panigale, sulle cui rive
"risiedono" molti cittadini dell'est europeo.
Il maltempo dello scorso finesettimana ha ingrossato le acque del Reno e
nella notte di domenica le famiglie hanno avuto paura di essere travolte.
Paura di morire.
Questi cittadini hanno fatto la cosa più normale: hanno telefonato ai
Vigili del fuoco per chiedere aiuto. Invece dell'aiuto sono arrivati
plotoni di Vigili Urbani [dipendenti del Comune di Bologna, il cui Sindaco
ha già *bonificato la zona* - http://www.meltingpot.org/articolo5031.html]
e Carabinieri che hanno rastrellato le rive del fiume deportando 9 persone
al Centro di Permanenza Temporanea. Invece dell'aiuto è arrivata la
carcerizzazione: non c'è stata alcuna risposta per questi cittadini che
reclamavano diritti, primo dei quali l'uscita dalla clandestinità.
Uomini che hanno messo in gioco tutto per migrare e per sognare un vita
migliore per sè e per la propria famiglia.

Invece di diritti carcere e clandestinità.

I 9 uomini tradotti al CPT lavoravano nei cantieri edili della nostra
città, in nero ovviamente. Sono stati sfruttati da padroni e padroncini
che speculano sulla pelle di questi nomadi precari.
In breve: quando non basta la maledetta legge 30 e la ricattabilità del
precariato migrante permessa dalla legge Bossi Fini i padroni si collocano
sul terreno feudale del lavoro nero.

Mercoledì abbiamo portato all'attenzione della città e dei movimenti
quanto accaduto facendo un presidio in via Mattei, anche per comunicare a
tutti i reclusi che non sono soli, che le loro storie superano qualunque
muro.

In questi giorni abbiamo mantenuto un contatto con questi fratelli che
sono immediatamente entrati in sciopero della fame, allacciandosi al
percorso di resistenza inaugurato dai migranti deportati al CPT di via
Corelli [http://www.meltingpot.org/articolo5113.html], espulsi con un volo
di linea Alitalia [http://www.globalproject.info/art-4430.html].

Questa mattina siamo tornati al CPT per presidiare l'udienza di convalida
nel corso della quale uno solo degli 9 giudicati è stato liberato per un
vizio di forma nell'arresto.
La libertà di un precario è dipesa solo dal fatto che è arrivato in italia
da pochissime ore per cui non ha neppure potuto effettuare la domanda di
permesso di soggiorno.
Quando i legali hanno sollevato l'obiezione che le retate e le espusioni
collettive sono vietate dalla Costituzione di questo paese e dalle
Convenzioni internazionali sui diritti umani il giudice ha risposto loro
che "questi sono argomenti politici e non giudiridici", convalidando
l'arresto degli altri 8 migranti.
Abbiamo potuto vedere l'insubordinazione degli altri detenuti che sono
usciti dalle celle, hanno fatto un'assemblea nel corso della quale hanno
discusso ed approvato un appello che parla a noi ed a tutti i cittadini
[http://www.globalproject.info/art-4431.html] con parole semplici, ma che
indicano l'impossibilità ad accettare un mondo nel quale il comando
informa ogni relazione sociale a mezzo della guerra.

Per questo abbiamo scritto che non ha alcun senso il dibattito su violenza
e non violenza, che è solo un alibi per chi ha deciso di non vedere come
la guerra impone ai movimenti un piano di diserzione che è il boicottaggio
ed il sabotaggio delle agenzie di guerra. A volte esso è solo un alibi per
dissociarsi da pratiche mi movimento come ha fatto l'ARCI nazionale
[http://www.meltingpot.org/articolo5146.html] e Rifondazione di Modena
[http://www.meltingpot.org/articolo5158.html].

Gli operatori della Misericordia, sanzionata dai movimenti durante le
grandi giornate europee del 1 e 2 aprile
[http://www.globalproject.info/art-4170.html], hanno accompagnato il
reparto Mobile in una ronda interna, fatta manganelli alla mano nelle
celle e negli spazi comuni in rivolta per costringere i migranti a
ritornare in silenzio nell'invisibilità.

Abbiamo scoperto che viene detto loro di compilare un modulo per la
richiesta di colloquio con i propri familiari e che questo non viene
neppure esaminato.
Ad un migrante che ha chiesto formalmente di poter incontrare una nostra
compagna gli è stato detto che la richiesta sarebbe stata accolta, mentre
l'unica via per ottenere l'incontro è una domanda presentata per iscritto
in Prefettura.
Ma questo è un altro capitolo di questo maledetto racconto. Siamo andati
in Prefettura dove ci è stato detto che non c'è nessuna garanzia che la
domanda venga accolta, che l'approvazione è soggetta alla discrezionalità
del Prefetto e che entro le prossime due settimane ci farà sapere la
risposta. Due settimane: il tempo del rimpatrio.


Nei prossimi giorni verrà effettuata l'espulsione collettiva dei migranti:
per essa si attiveranno ulteriori anelli della catena delle deportazione,
ulteriori business di guerra.

Tutto questo racconto si svolge senza che vi sia stato l'intervento della
Giunta comunale, silente e pertanto complice della presenza operativa di
un carcere etnico nel nostro territorio, nascosta dietro la
giustificazione che *loro non possono fare nulla*, che *non è colpa loro*
se esistono regimi di struttamento feudale del capitale sul lavoro e se il
lavoro nero è pratica diffusa.

Nel mentre la cittadinanza, intesa come un universo di diritti e dignità
per tutti, è solo un abbaglio sdrucito nei manifesti elettorali delle
elezioni del 13 giugno 2004, ormai sbiaditi.

Non c'è nessun lieto fine in questo racconto, nessuna morale che assolve.
Emerge potente e sovversivo solo il sogno di una grande evasione, agita
come esercizio del comune della moltitudine, sia essa migrante o nomade,
esodo verso qualcosa di diverso che noi chiamiamo democrazia. Quella vera,
quella assoluta, che fin dal XVII secolo si chiama *governo di tutti
esercitato da tutti*.

TPO, ass. Ya Basta!, Passepartout

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