MEMORIE
DI UN RIBELLE
settembre 1943 - maggio 1945
Le prime azioni della brigata Garibaldi
Nei giorni successivi all’armistizio per iniziativa dei tre amici Cantarelli, Cecconelli, Fiore s’erano tenuti in "San Carlo" incontri con i giovani che si mostrarono sensibili e favorevoli al progetto di organizzare la partenza per la montagna. Il conflitto con i familiari fu naturale, e più che legittimo il pianto delle madri, che fece desistere alcuni dal proposito. Adelio lasciò ad altri il compito di soccorrere la propria in lacrime e capì che bisognava far tacere gli affetti, primi ad esser colpiti dalla logica della guerra. Imboccò la sua strada sapendo d’andare a rischiare la pelle. Inaccettabile e inverosimile egli ritiene l’infelice abusata immagine di quel salire sui monti "quasi per una avventurosa scampagnata (1)". Se non fossero stati gravi gli avvertimenti di morte che provenivano da tutta Europa, specie dai bombardamenti, almeno a qualche seria riflessione doveva indurre il pianto accorato delle madri! Altro che allegre passeggiate e gustose merende! I problemi che attanagliavano la mente di molti intellettuali e politici di professione si presentarono anche a loro, ma non produssero i noti attesismi o i meno noti opportunismi (2). Accantonarono l’idea di privilegiare le attività caritative, proprie dei seguaci di Cristo e anche molto necessarie, per il dilagare della guerra, la penuria di generi di prima necessità, il numero crescente degli sfollati; questo compito svolsero gli ordini religiosi salvando, com’è noto, tante vite. Si caratterizzarono invece come "sancarlisti" combattenti, decidendo in questo senso subito dopo l’armistizio, senza portare odio nel cuore e senza voler fare vendetta, come dimostrarono i loro comportamenti in ogni occasione. L’assistente del "San Carlo" consapevole della decisione, il giovane don Odorisio Capoccia, al momento della partenza benedisse i suoi bravi e buoni amici, pronti a uscire fuori al momento giusto, sicuri che ne valeva la pena. In montagna, a Raticosa, nel settembre del 1943 i "ribelli" folignati non erano molti, come s’è visto; nelle "retrovie" erano presenti e attivi uomini e donne del Comitato di liberazione nazionale, organizzato in clandestinità; ma bisognava aumentare il numero degli uni e degli altri22. Non era giunto ancora il momento di fare piani strategici difensivi o offensivi; bisognava affrontare i problemi di equipaggiamento e approvvigionamento, insomma i rifornimenti di viveri armi munizioni vestiario medicinali denari alloggi, bisognava occuparsi anche delle relazioni con la popolazione locale a volte subito amica a volte diffidente e timorosa a volte poco affidabile. Quella che stava dalla parte dei "ribelli", dovendo scendere al piano per il mercato dei propri prodotti, legna e formaggio, si mostrò ben presto capace di assumere e riferire le informazioni utili sui movimenti delle truppe tedesche e delle squadre fasciste. Si distinse per l’efficacissima collaborazione Pietro Mattei (3) di Cupoli detto "maresciallo" dai partigiani e "pietruccella " dai compaesani, un cinquantenne che riusciva a coinvolgere e trascinare gran parte della gente cercando di vincere ogni forma di diffidenza e di omertà; al suo ricordo è rimasto legato il sentimento di profonda riconoscenza dei partigiani. Ad una buona radio trasmittente ricevente era addetto lo studente d’ingegneria Socrate Mattoli (detto Chicchio). Olio, pasta, zucchero, sale, medicinali, vino e sigarette venivano riforniti per la via di Ponze dal Comitato di liberazione nazionale di Foligno, un primo "audace e fedelissimo nucleo di Volenterosi (4)” formato da Benedetto Pasquini presidente (5), monsignor Luigi Faveri, e da rappresentanti di tutti i partiti che dal fascismo erano stati soppressi (6). Per ogni partigiano occorreva l’opera di resistenti civili procacciatori di aiuti materiali e di altrettanti generosi donatori, la collaborazione di numerose staffette fra cui alcune donne. In proporzione dei combattenti s’ingrossava l’esercito della Resistenza nelle "retrovie"; e vi erano dei quindicenni! I partigiani ricevevano talvolta la visita di qualche esponente del Comitato di liberazione; in questi incontri si trattava dei piani di attacco e di difesa, e del reclutamento dei giovani. L ’intesa non mancò mai fra combattenti e civili anche per la saggia convinzione del comandante Cantarelli di doverla mantenere e consolidare a ogni costo; le varie posizioni ideologiche non avevano ancora preso il sopravvento e comunque prevalse lo spirito di tolleranza nella brigata Garibaldi. Per le bande partigiane operanti in Umbria non esistette altro collegamento se non con i Comitati di liberazione clandestini e con i partiti che ne facevano parte. Una struttura militare gerarchica si costituì soltanto nella primavera del 1944 nel nord d’Italia con un comando unico e se tardivamente poté estendersi anche al centro lo fu in maniera tale che non se ne percepì alcuna efficacia. Il rifornimento della carne costituì inizialmente il problema più grosso, cui lo stesso Comitato da solo non poteva provvedere; si trattava infatti di toccare interessi considerevoli di cittadini che si sentivano estranei, quanto meno, alla situazione. L’ orientamento adottato fu quello di trattare con i proprietari di bestiame e di evitare le requisizioni o i colpi di mano che invece si resero necessari. Siccome non si poteva continuare a mangiare per troppo tempo soltanto minestrone o pasta asciutta, brodo di pecora o sangue di maiale (lavorazione che si faceva in ogni casa), quando andava bene un boccone di pecorino e di affettato, in cambio generalmente di sale; quando andava peggio qualche cornacchia, decisero per non gravare sulla popolazione meno abbiente di procacciarsi la carne operando un grosso colpo di mano nella stalla e gli annessi recinti della tenuta detta il Casone sul piano di Colfiorito nel paese di Taverne (m. 758 alt.), frazione di Serravalle del Chienti. I proprietari Sordini avvertiti di quanto stava per accadere non denunciarono il fatto all’autorità competente se non altro per il timore di eventuali rappresaglie. Di notte una ventina di partigiani s’impadronirono di alcuni capi di bestiame e, chi a cavallo chi a piedi per i sentieri coperti di ghiaccio, li guidarono a destinazione nella zona di Vallupo e di Cancelli, curando di non andare mai allo scoperto, non potendo tuttavia evitare gli attraversamenti pericolosissimi della strada Val di Chienti, oggi statale 77, e di altre strade minori. Le bestie furono tenute a brado e settimanalmente ne ammazzavano in genere una, che veniva macellata dai montanari esperti. Si sfamavano i partigiani ma anche la popolazione anch’ essa bisognosa alla quale si consegnavano sale e altri generi di prima necessità. Ogni volta che veniva offerto ai partigiani un quantitativo di viveri il comandante rilasciava una dichiarazione ai proprietari con la quale avrebbero potuto ottenere un indennizzo dal Comitato di liberazione nazionale che faceva fronte all’impegno. In seguito toccò al lanificio Tonti presso Rasiglia di essere costretto a fornire un considerevole quantitativo di tessuto di lana, che doveva essere prelevato dai tedeschi e invece fu consegnato ai partigiani e alla popolazione(7). Da qui la famosa e sofferta nomea di "briganti". A Taverne, dove si sono recati, Adelio e Fausta hanno avvicinato alcuni paesani intenti ad aggiustare il marciapiede avanti l’uscio di casa. Bisognava disporre l’animo a sentir dire tutto il male possibile dei partigiani senza tradirsi, pena l’insuccesso della nostra visita. Così c’informano che in più sortite i partigiani presero dal Casone di Sordini 44 mucchette, 30 vacche grosse, 30 cavalli, un toro di dodici quintali per ucciderlo a Dignano. Altri testimoni ricordano un rastrellamento dei tedeschi che trovarono sessantaquattro uomini a Colfiorito, ma nessuna arma e perciò non infierirono. Trovarono anche dodici renitenti alla leva, li presero, li misero in divisa a Macerata, poi li mandarono a Pesaro, di lì i prigionieri partivano per la Germania. Ma un bombardamento consentì loro una fuga fortunata e in sei giorni di marcia, 23-29 marzo 1944, ritornarono in paese e s’imboscarono nei dintorni, tornando a casa di soppiatto per prendere i rifornimenti quando lo permetteva il lenzuolo che sventolava dalla finestra in segno di via libera. Nessuna simpatia per i partigiani recepimmo in questo incontro a più di quarant’anni dalla Resistenza. Taverne, ci dicono, era segnata in "nero" sulla carta dei tedeschi e questo per noi era buon segno e motivo di tranquillità per tutto il paese. Infine si sfogano parlando, o meglio sparlando, delle "nefandezze" compiute dai partigiani che rubavano, della "cattiveria" di due montenegrini che taglieggiavano la gente e soprattutto di due "carogne": Pasquale (8) il romano evaso dal carcere di Regina Coeli, che fu fucilato insieme al suo braccio forte presso il cimitero di Pieve Torma, anche perché aveva ucciso il partigiano Angelo Morlupo della brigata Garibaldi, e ciò sembra accertato; e il suo complice, un tale che pare abitasse a Foligno nella via sotto l’orologio del palazzo del municipio, e non sappiamo se sia vero. Infatti non è la verità che si vuole stabilire con questi incontri con la gente a più di quarant’anni, e con questi racconti. È interessante invece l’immagine che possono offrire della lotta partigiana persone che furono coinvolte dalla furia degli eventi, ma rimanendone spettatori intenti solo a salvare la propria pelle. Oltre ai gruppi di partigiani e di famiglie sfollate dalle città vicine, in montagna si rifugiava gente d’ogni specie: sbandati e imboscati, ex prigionieri di guerra iugoslavi, russi, inglesi, greci, americani, scappati dal campo di Colfiorito, insieme a reduci, fascisti travestiti, doppiogiochisti, delinquenti comuni, squilibrati. Tutti cercavano di eclissarsi e mimetizzarsi: nell’andirivieni per monti e per valli in ogni sconosciuto poteva nascondersi un nemico, una spia. La gente, quella ospitale dei villaggi, pagava dovendo accogliere e sfamare individui di passaggio e finirà spesso per subire feroci rappresaglie dei tedeschi. I partigiani potevano ancora accostarsi e mescolarsi alla popolazione. Il peggio doveva venire... Bisognò evitare di trovarsi in gruppo allo scoperto, perché i tedeschi mandarono in ricognizione un velivolo insidioso, la "cicogna", dal quale potevano fare fotografie che ingrandivano per identificare, con l’aiuto delle spie, luoghi e persone frequentate dai partigiani: in questo modo, sorpreso dall’obbiettivo in compagnia di alcuni giovani armati, fu riconosciuto, arrestato il 3 febbraio 1944 il parroco di Casale e Cancelli, Pietro Arcangeli, con altri internato in Germania da cui molti non tornarono. Morti e deportati sono ricordati in una cappella votiva eretta sulla cadente Maestà di Cancelli, meta dell’annuale celebrazione del 25 aprile (9) Era ora di scendere dai monti per compiere audaci colpi di mano per il rifornimento delle armi. Il primo s’effettuò il 26 ottobre 1943 dentro la città di Foligno per prelevare armi depositate presso gli orti del floricultore Cerbini, durante il quale perse la vita Franco Ciri(10). Battesimo di sangue nel primo scontro con i fascisti di Foligno. Seguirono ricchi bottini prelevati dalla Chiesa di Sant’Agostino (in via Garibaldi) trasformata in magazzino fornitissimo d’ogni tipo d’indumenti militari italiani, scarpe zaini coperte vestiario. A guardia c’ erano i fascisti, però attraverso uno spioncino collocato nell’abside un giovane prete rettore del seminario, Venanzo Crisanti31, poteva controllare la situazione in modo che il furto non venisse scoperto: infatti una volta i partigiani dovettero scappare. Bisognava approfittare dell’ora del pranzo quando i guardiani chiudevano la chiesa. Attraverso un cunicolo che dalla sacrestia immetteva in un confessionale entravano i partigiani armati e scalzi (Cantarelli e Fiore); si caricavano sulle spalle moltissima roba e via nel cunicolo e da questo nei locali adiacenti del seminario che avevano un’uscita secondaria quasi sconosciuta sulla via Nicolò Alunno. Un fidatissimo carrettiere, "resistente" delle retrovie, certo Cardinali32, sopra il suo carro tirato dal cavallo caricava la refurtiva camuffata con arte e la portava a destinazione salendo a circa m. 800 sino a Ponze, dove il bottino si smistava a dorso d’asino verso Raticosa, Cupoli, Cancelli, Civitella, Vallupo, dovunque esistesse un nucleo di partigiani della "Garibaldi". Le operazioni di equipaggiamento ripetute per sei o sette volte andarono bene anche sotto la furia del primo bombardamento della città, 22 novembre 194333, che seminò gravi lutti e rovine. Adelio trasportò varie salme all’obitorio e altri trassero dalle macerie la statua lignea della Madonna "Patrona di Foligno" crollata con la omonima Chiesa della Madonna del Pianto vicinissima a quella di sant’Agostino. Si studiava il modo di recuperare le armi che i militari dopo l’armistizio abbandonavano. Se ne ebbero informazioni dal partigiano Antonio Pizzoni34 fornaio di Belfiore e in quel paesino pianeggiante, distante cinque chilometri circa da Foligno e anche meno dal Sasso di Pale, scesero quattro partigiani, Bernardo Toni, Marcello Cerretti, Adelio Fiore, Bruno Serlupini, sull’imbrunire di un tiepido giorno di novembre del 1943, passando per la frazione di Casale (m. 838 alt.) e per i sentieri più riparati. Dovevano prendere sei fucili e munizioni depositati e nascosti da antifascisti belfioresi dentro una capanna sul fiume Topino nei pressi di Scanzano località sulla linea ferroviaria Foligno-Ancona, sede d’un carnificio militare divenuto in tempo di guerra fabbrica di maschere antigas35. Proprio in quella notte Adelio ricevette in dono un’arma preziosa da un alto esponente della Resistenza, membro del Comitato di liberazione, il "sor" Fiore ovvero l’ex deputato socialista Ferdinando Innamorati, che sarà sindaco di Foligno liberata36. Volendo parlare con il gruppetto di coraggiosi "garibaldini", si fece trovare sulla strada e poi rientrando un attimo in casa ritornò con la sua pistola a tamburo e la mise nelle mani di Adelio: — La tenevo nascosta — disse — aspettando la buona occasione. Questo mi pare il momento giusto per consegnarla a voi che avete forza coraggio necessità di usarla, che in questo momento io non ho. Alludeva alla sua età e ai suoi acciacchi. Fece con loro un vibrante discorso, basato sui principi di libertà giustizia e amor di patria. Si abbracciarono commossi e furono subito inghiottiti dal buio. — Quel linguaggio politico nuovo per me, la passione di cui era pervaso fino allora a me sconosciuta, mi rimasero scolpiti nel cuore — afferma Adelio. Il giorno successivo a quell’avvenimento in piccoli crocchi a Belfiore si commentò il passaggio dei "ribelli" circonfuso di leggenda e ne fu testimone Fausta che vi si trovava sfollata ed ebbe modo di riflettere con gli amici: — Per racimolare sei moschetti i partigiani rischiavano la vita scendendo nel grosso borgo di Vescia Scanzano? — Sì; la Resistenza si nutriva di granellini e si faceva strada con piccole, piccolissime imprese, sempre rischiose e determinanti. Nella stessa foto famosa si può osservare che i primi "ribelli" avevano in dotazione più fucili da caccia che moschetti. Sembra incredibile: la Resistenza nei primi mesi del 1944 riuscirà a tenere impegnate intere divisioni tedesche nell’Italia centro-settentrionale distogliendole dall’obiettivo principale che erano le armate alleate37. Poiché le file dei "garibaldini" s’ingrossavano, essi studiarono i piani d’attacco alle caserme dei carabinieri e della milizia volontaria fascista, dislocate in varie località dell’Umbria e delle Marche, sulle quali erano informati in tutti i dettagli utili al successo dell’azione. Così il 13 dicembre 1943, consigliando gli informatori le ore della sera come le più opportune per scongiurare complice il buio il sopraggiungere d’immediati rinforzi, avvenne l’assalto alla caserma dei carabinieri di Casenove di Foligno (m. 572 alt.). Il paesino gode della sua posizione mediana tra le colline e le montagne del folignate, si assiepa lungo la statale 77 che l’attraversa per tutta la lunghezza; la caserma dei carabinieri è un’ampia costruzione regolare in vedetta su di un’altura, allora sgombra da altre case. L’accerchiarono e dopo aver aperto il fuoco intimarono la resa, che fu pronta. Fecero prigionieri cinque uomini, che consegnarono armi e munizioni ai trenta partigiani. Tagliarono i fili del telefono e scapparono. I prigionieri furono condotti ad Acqua Santo Stefano, altro villaggio a pochi chilometri da Raticosa; non fu quella tra le più lunghe camminate (di circa un’ora e mezza soltanto), ma assai scomoda e faticosa. La segreta intenzione era di liberarli. Servivano però le scarpe, le sbirciarono, erano belle, quasi nuove; e prima di rimandarli a casa se ne impadronirono consegnando le proprie ai carabinieri, talmente logore e sfasciate che qualcuno di loro dovette rimanere scalzo. Il giorno dopo ebbero la bella sorpresa di vedere arrivare a Raticosa il vice brigadiere trentenne che chiese di essere arruolato. Ma era solo l’inizio, le più grandi prove dovevano ancora venire
1 M. ARCAMONE, La brigata Garibaldi, in "Resistenza", cit. L 'autore riferisce un giudizio molto diffuso, di cui non si conosce la fonte: avverso o favorevole ai "ribelli"?
2 «Vi furono in Italia – com'è naturale e come avveniva nel più delle Nazioni –quelli che stettero a vedere... che non si pronunciarono... che si rimpiattarono nelle cantine morali dell'attesismo e dell'opportunismo» (M. SALVADORI, Breve storia della Resistenza italiana, Firenze, 1974, p. 21).
3 Pietro Mattei è attestato come partigiano: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3433 dal 1.10.1943 al 30.6.1944 (cfr. per le fonti nota n. 13).
4 L. FAVERI, Comitato pro patrioti brigata Garibaldi. Commemorazione dei Caduti, cit., pp. 3-4.
5 Benedetto Pasquini (Foligno, 1889-1967) avvocato, di vasta cultura e competenza amministrativa, rivestì il doppio ruolo di commissario prefettizio al Comune di Foligno all'epoca del federale e prefetto A. Rocchi e di Presidente del Comitato di liberazione nazionale a Foligno, destreggiandosi in un pericolosissimo doppio gioco per favorire i rifornimenti verso la montagna per i partigiani (cfr. F. FRASCARELLI, Contributo ad uno studio sui cattolici umbri per la Resistenza, in Politica e società in Italia dal fascismo alla Resistenza, cit., pp. 387-388).
6 I membri del Comitato di liberazione nazionale sono attestati nel documento Riconoscimento partigiani dell'Umbria (cit. n.13): n. 3049 Ciangaretti Vincenzo, n. 3071 Ciro Ciri, n. 3072 Caputo Olga Ciri, n. 3102 Ferroni Ulderico, n. 3139 Innocenzi Vincenzo, n. 3206 Nicoletti Giulio, n. 3243 Passarelli Pula Donato, n. 3248 Pasquini Benedetto (presidente), n. 3357 Faveri don Luigi, n. 3362 Raponi Giuseppe, n. 3406 Innamorati Francesco, n. 3871 Palmieri Ottorino, n. 7090 Innamorati Ferdinando, ai quali si dovrebbero aggiungere Monti Edmondo (n. 3181) e Ercolani Decio (n. 3355). Membri del Comitato di liberazione nazionale clandestino sono attestati Ciangaretti, Caputo Ciri, Innocenzi, Nicoletti, Faveri; nel documento citato possono riscontrarsi omissioni come nel caso di Ferroni e di altri. Pertanto si rimanda alle pubblicazioni locali citate nella nota 12 per il confronto.
7 [A. CANTARELLI], Relazione sull'attività svolta dalla brigata Garibaldi dal settembre 1943 al luglio 1944 in L'Umbria nella Resistenza, cit., II, pp. 464-465: «generi alimentari sottratti alla vendita degli esercenti», «forte quantitativo di stoffa militare e civile». La citata relazione risulta anonima, ma il comandante Cantarelli, firmandola la presentò alla Commissione regionale competente in una riunione cui parteciparono tutti i comandanti e lo stesso Filipponi della Gramsci di Terni. La stessa Relazione con il suo nome circolò fra gli ex partigiani di Foligno.
8 I comandanti partigiani che operando in Umbria non trovano nelle varie storie una dimensione giusta si limitano a due soli nomi (M. SALVADORI, Breve storia della Resistenza, cit.): il capitano Melis e il comunista Pasquale (p. 186 e p. 97), presentati come antagonisti (p. 26). Nella storia locale essi occupano un ruolo deludente. Il comandante Melis piuttosto misterioso, un ufficiale di Spoleto perseguitato dai fascisti che minacciavano la famiglia, risultò introvabile, nonostante l'aiuto e l'ospitalità di N. Lanzi, anche al partigiano Adelio Fiore che ebbe il compito di cercarlo nel territorio di Norcia per organizzare con lui un incontro con la brigata Garibaldi di Foligno nel dicembre 1943. Il "comunista" Pasquale fu giustiziato dal tribunale di guerra straordinario a Pieve Torina (cfr. Dalla Resistenza alla Liberazione. La brigata Garibaldi, settembre 1943-luglio 1944, in Speciale Resistenza, cit.
9 Cfr. P. ARCANGELI, Un prete galeotto, Foligno 1984. Don Pietro Arcangeli non è attestato nell'elenco dei partigiani cit. nella nota 13, mentre risulta al n. 8 dell'elenco dei deportati redatto dal Comune di Foligno, in Il contributo di Foligno nella lotta partigiana e nella guerra di Liberazione per il secondo Risorgimento d'Italia, cit., p. 14. Cfr. P. ARCANGELI, A Cancelli 30 anni fa, in "Salire - XXX della Liberazione", p. 11: «... propongo (già dal 1965) di ricostruire la cadente Maestà di Cancelli trasformandola in Cappella Votiva» con lapidi commemorative dei morti e dei deportati, per un appuntamento annuale lassù. Il progetto e la direzione dei lavori furono eseguiti gratuitamente dal partigiano geometra Adelio Fiore. Il Comune di Foligno partecipò con il lavoro delle sue maestranze.
10 Ciri Franco è attestato: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3391, 22.9.1943, 26.10.1943, militare, comandante di Battaglione, morto in combattimento a Foligno (fonte cit. nella nota 13). 31 Crisanti don Venanzo (Foligno 1916-1957) è attestato: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3588 (fonte cit. nella nota, 13).
32 Il Cardinali non è attestato nell'elenco cit. alla nota 13.
33 Cfr. Il contributo di Foligno, cit.: Vittime delle incursioni aeree, 22 novembre 1943, totale 97 (p. 27); Danni per bombardamenti aerei, Incursioni aeree, n. 33 (p. 20).
34 Pizzoni Antonio è attestato: brigata Garibaldi di Foligno, n. 3221, 1.10.1943 -1.7.1944, militare, commissario politico di Battaglione (fonte cit. nella nota 13).
35 Cfr. "Resistenza", numero unico a cura del Comitato per le celebrazioni del ventennale della Resistenza, 16-21 giugno 1964, La tregua, p.5. Si legge nella foto di un lasciapassare rilasciato dal comando tedesco delle SS di Perugia il 21 maggio 1944 al capobanda Sandro: "fabbrica maschere contro i gas di Vescia». 36 T. MARZIALI, Appunti storici sul movimento operaio nel folignate, Perugia 1975, p. 39, pp. 140-142; N. PROIETTI, Ferdinando Innamorati (Belfiore di Foligno 1877-1944) in "Bollettino storico della Città di Foligno", IX (1987), pp. 345- 359.
37 "L'Italia e la Jugoslavia tenevano impegnate una cinquantina di divisioni tedesche e forze mercenarie considerevoli»: cfr. M. SALVADORI, Breve storia, cit., p. 177. Anche D. MACK SMITH, Storia d'Italia, 1861-1958, Bari 1965, II, p. 774, che giudica abbastanza severamente, riconosce: "è certo che essi (i partigiani) sia da soli che in collaborazione con gli Alleati, tennero impegnate nell'Italia del Nord parecchie divisioni tedesche, e le loro imprese furono senza dubbio un fattore determinante nel restaurare il "morale degli italiani e la loro fiducia in se stessi. Senza dubbio combatterono valorosamente e con scarsi mezzi».
|