Lo sfondamento della linea gotica
La liberazione di Alfonsine, 25 aprile 1945
Testimonianza diretta di Ruggero Lupini
La liberazione di Alfonsine deve essere ricordata come importante fatto militare perché fu l'epilogo dello sfondamento della Linea Gotica sul fiume Senio, nella battaglia finale della guerra in Italia dal 8 al l0 aprile 1945. La piazza di Alfonsine è intitolata al Generale Primieri comandante del Gruppo di combattimento "Cremona".
I volontari di Costacciaro e Gualdo Tadino partirono il 15 gennaio con automezzi inglesi e lo stesso giorno, portati in una caserma di Ravenna (20 km.dal fronte), dove furono equipaggiati con vestiario e armamento inglese, e la sera stessa portati alla Linea Gotica in un caposaldo di rincalzo. Il giorno dopo venne l'ufficiale inglese di collegamento, responsabile militarmente e politicamente dei reparti volontari che avevano ottenuto di essere inquadrati nel reggimento italiano, conservando propri Ufficiali; purtroppo sorsero incomprensioni specie con Lupini, che non voleva indossare le stellette militari, e Neno Bebi che reclamava una razione speciale di spaghetti e pomodoro. Il comando inglese minacciò Lupini, ma ci accontentò circa gli spaghetti; curioso il loro commento "siete peggio degli indiani che per mesi hanno voluto solo carne di capra". Bastogi era il caposaldo più avanzato e pericoloso tanto che inglesi e canadesi facevano il cambio ogni due giorni. La casa era quasi diroccata e puntellata, senza una traccia di trincea. Non vollero nemmeno completare l'organico e ci lasciarono lì solo con i volontari di Costacciaro.
Nonostante la severa sorveglianza della Polizia militare inglese che aveva fatto sgomberare la popolazione per oltre 5 Km dietro la linea, gli abitanti passavano continuamente il fronte e, dopo tre giorni, i Repubblichini della Decima Mas, erano tanto informati che ci chiamavano per nome con il megafono, lusingandoci e incitandoci alla diserzione, con la promessa di una notte con Bianca, e ci coprivano di volantini; il più delle volte però ci minacciavano perché partigiani, assicurando che sarebbero venuti per fucilarci. Non era minaccia a vuoto ma volevano dare un esempio e il 5 febbraio eseguirono a Bastogi un attacco con grandi forze. La resistenza fu accanita, ma giunsero al pozzo e al pollaio della casa e ci salvò l'incessante mitragliamento del vicino caposaldo "Adele", tenuto da Tittarelli. L'episodio è ricordato da fonti militari ed anche dal diario di Tittarelli su cui lo studente Luca Baldinucci dell'Università di Perugia ha steso la sua tesi di laurea in Lettere nell'anno 1997-98.
Il mio plotone di 43 volontari (11 di Costacciaro e 32 di Gualdo Tadino), si trovò a presidiare il caposaldo di Villa Rasponi a soli 300 m.dalle fortificazioni scavate sull'argine del fiume Senio, fornito di due strade lungo le rive interne.
Nella notte del 10 aprile, in silenzio, sgomberammo il caposaldo perché in quel tratto doveva avvenire il grande bombardamento (oltre 40 batterie inglesi), e il primo assalto di guastatori e dei volontari, che da quel momento si trovarono sempre in avanguardia sino alla fine della guerra. Lo scontro fu veramente accanito proprio nei dintorni di Alfonsine, con alcuni corpo a corpo, all'interno dell'abitato, perché le truppe tedesche e i repubblichini, non potendo resistere al bombardamento del Senio, si erano sparpagliati nei dintorni costringendoci al combattimento personale.
Ogni anno Alfonsine, festeggiando la ricorrenza ha invitato i reduci del mio reparto, ma io non sono stato capace di intervenire, perché nonostante i miei sei anni di guerra e i 20 mesi di Grecia, mi prende un nodo alla gola, poiché uno di quei volontari mi è morto vicino stringendomi la mano, mormorando "Italia mia!".
La notte dello sfondamento, mentre eravamo acquattati tra i guastatori, una voce gridò: "viva Costacciaro"; era Leonardo Galli, figlio di Marcuccio, sposato con Ludovina Ronconi il cui padre nel 1922 si salvò dalla purga degli squadristi fuggendo dalla balestiera del tetto. Fu l'unico antifascista che perse il posto di lavoro come portalettere e gli fu negato anche il passaporto per emigrare, che fino al 1929 il Regime concedeva agli iscritti al Fascio.
Il Tenente Tittarelli non fece in tempo a partecipare all'azione di guerra perché fu ucciso il 10 febbraio, dopo 25 gg. di bombardamento, ma giustamente va ricordato perché fu lui che girò per i paesi dell'alta Umbria incitando gli Italiani a combattere i Tedeschi, gridando che la libertà e la democrazia sono beni supremi ma non duraturi se ottenuti in regalo senza la nostra partecipazione.
Il mio reparto, sempre in avanguardia fino alla fine della guerra, mentre stava per entrare a Codigoro fu raggiunto da un Capitano inglese con camionetta e soldati che ci scongiurò di sorpassare la marea di folla che gremiva la piazza e correre al palazzo comunale dove dal balcone esponevano un impiegato reo di collaborazionismo. Non facemmo in tempo a salvarlo, perché lo fucilarono per le scale. Assistemmo pure all'arrivo dei profughi giuliani, che invocavano disperati il nostro aiuto contro i Titini che infoibavano solo perché Italiani.
L'apporto dato dai volontari alla linea gotica non si può valutare solo in termini militari, fu il loro esempio a salvare l'esercito italiano del sud dallo svuotamento, man mano che si liberavano le regioni dell'Italia centrale, e il Governo poté ottenere dagli Alleati di partecipare alla guerra con i 5 gruppi di Combattimento. Lo storico De Felice aveva ragione a sostenere che dopo 1'8 settembre oltre il 90% del popolo italiano fu indifferente e stanco del Fascismo, e di qualsiasi Governo pensando solo a salvare se stesso. Non c'è da meravigliarsi, perché la storia l'hanno sempre fatta piccole e coraggiose minoranze.
Fummo tanto stimati per coraggio e umanità che, dopo il 25 aprile, per un mese affiancammo la polizia militare inglese che accorreva dove minacciavano di linciare qualche soldato Repubblichino sbandato. Ricordo le feste della popolazione specialmente nell'accorgersi che eravamo Italiani. Al fiume Po catturammo una colonna di tedeschi di circa 300 uomini e 10 automezzi Fiat, nuovi e non ancora targati (4 autobus e 6 camion Lancia Ro), pieni di refurtiva razziata durante la ritirata; a Serravalle un autobus pieno di viveri e vestiario fu consegnato e distribuito alla popolazione. Ebbi un colloquio con il Senatore Boldrini, all'epoca "Bulov", capo dei partigiani di Ravenna che combattevano a fianco dell'8° Armata, che mi consigliò di trattenere gli automezzi nuovi e costituire una Cooperativa di autotrasportatori. Non se ne fece niente, un poco per ingenuità ed anche perché ci avevano predicato che dovevamo essere come i Garibaldini che, dopo aver donato un Regno, se ne andarono a Caprera con un sacchetto di fagioli ..., e consegnammo tutto ai Carabinieri. I Partigiani e nemmeno i volontari al fronte non hanno avuto il minimo privilegio a differenza degli squadristi che per legge ebbero l'assunzione obbligatoria come dipendenti pubblici; perfino i semplici iscritti al Fascio prima del 1922 ebbero la sciarpa Littorio e privilegi. I Partigiani per i giorni di permanenza al fronte ebbero la paga normale come militari. Si arrivò all'assurdo che ci smobilitarono mentre eravamo in una caserma vicino a Padova il 15 giugno 1945, senza nemmeno pagarci il treno per tornare a casa, e Scarabotta dové aspettare che il cognato Galli gli spedisse i soldi da Costacciaro. Non trattenemmo nemmeno i capi di vestiario invernale, anche se Balduccio pregò per avere il cappotto che a casa non aveva. Sarebbe veramente un grave delitto disperdere questi valori, fondamento di ogni civiltà.
www.protadino.it/20010325/10losfo.html
|