RACCONTO PARTIGIANO da "per non dimenticare"
"Per caso conobbi, in casa di Narcisi Pietro, Sergio, di Padova, da poco uscito dalle carceri di Spoleto", racconta Mario Casagrande. Sergio, era un partigiano che si accingeva a partire per Cancelli, dov' era, nel mese di ottobre 1943, la base operativa del gruppo "Franco Ciri". Mario non s'era presentato al reclutamento come obbligava il "bando", anche perché l'altro, unico, suo fratello era già partito militare. Si lasciò affascinare da Sergio, dal quale aveva sentito per la prima volta parlare di giovani che partivano "per la montagna". Così una mattina di ottobre, mentre il sole non era ancora apparso da dietro il Subasio, partì in compagnia del padovano. Una avventura? Forse. Ma Mario non perderà mai la consapevolezza che era arrivato il momento anche per lui di fare la sua parte, piccolissima, ma importante, in un movimento più complesso di cui allora gli sfuggiva tutta la portata. Da Cancelli comincia la sua storia di partigiano, che poi lo verrà impegnato in prima linea sul fronte del Senio. Con altri quattro compagni e una staffetta, la sera successiva all'arrivo a Cancelli, si incamminerà, lungo i tortuosi e nascosti sentieri della montagna, per Radicosa. Inerpicarsi sui monti era duro, anche per uno come Mario, che pure era abituato alle fatiche. Arrivarono che la luna contornava di luce d'argento i profili dei monti e dei boschi e una leggera brezza attendeva già l'aurora. "Ci accolsero con grande calore. Ci fecero sedere, portandoci sul tavolo una fila di pane fresco e un po' di formaggio" . Mentre consumavano la frugale cena, uno del gruppo (Luciano Formica) gli disse. "Ho piacere che vi siate decisi al grande passo: sapete che con noi non avrete nessuna paga. Mangerete quello che avremo. Imparerete a difendere la vostra vita e quella dei vostri compagni. Sappiate che l'avversario è ben armato, ma noi non dobbiamo dare alcun vantaggio". Lo ascoltarono con grande interesse e stanchi com' erano, andarono a dormire nel fienile accanto alla casa. "Ricordo quella notte di non aver chiuso occhio, nonostante la fatica del lungo camminare". Lo assillava soprattutto il pensiero da madre, sola, e continuamente sottoposta a interrogatori per la sua fuga; il ritiro della "carta annonaria"(l); fino a conoscere la "carni di sicurezza" fascista. Si alzò che le prime luci del giorno cominciavano a dare forma al paesaggio. Qualche minuto dopo si ritrovarono nello stesso camerone della sera prima. E mentre facevano colazione, il partigiano Formica li informava della situazione generale della Brigata e della lotta partigiana. "Ci parlò dei comportamenti, delle astuzie e della freddezza ragionata dei combattenti di fronte ai pericoli, che non mancavano". Poi gli vennero assegnati i primi compiti. A Mario, quella mattina toccò portare un po' di viveri ad una donna, Nicoletta, che aveva da poco partorito. La giovane madre si trovava ad un chilometro dalla loro casa. "Mentre m'ero avviato a portare la scodella piena di brodo di pollo, mi guardavo spesso la pistola che mi avevano appena dato in consegna. Con quella pistola automatica, nella cintura dei pantalo ni, cominciavo a sentirmi un vero partigiano. "Abbi cura", gli avevano detto alla consegna. E lui ne avrà, soprattutto da quando scoprirà che la sua vita dipendeva da quell'arma, avuta per "difesa personale". Giunto a destinazione, alla donna che gli si presentò sull'uscio, disse: "Mi manda Franco". Franco era il contadino della casa dove si trovava la brigata. "Non vi ho mai visto", rispose lei. "Sono arrivato ieri, con altri quattro". I primi giorni a Radicosa, Mario, li passerà occupandosi della lavorazione e cottura del pane. Aveva ormai imparato ad usare la pistola e a conoscere da vicino la vita degli anziani partigiani. Aveva dovuto spostarsi già diverse volte per non dare sospetti, cosa che facevano tutti i suoi compa- gni, in quanto non mancavano delatori e traditori. La prima vera azione militare, a Mario, toccò il 14 gennaio, lo s'tesso giorno che il comandante Cantarelli e i suoi stretti collaboratori decisero di attaccare la caserma dei carabinieri di Nocera Umbra. Servivano le armi per i nuovi giovani che giorno dopo giorno arrivavano sempre di più ad ingrossare le file della Brigata. E l'unica maniera per procurarsele, era 1'assalto alle caserme, sia dei carabinieri, che della milizia fascista. La tecnica seguita fu la stessa di Camerino e di Gualdo Tadino, visto anche i brillanti risultati ottenuti. Ma questa volta lo stratagemma del partigiano vestito da carabiniere non funzionò. Non solo, ma a presentarsi al piantone, questa volta, fu il comandante in persona. "Il carabiniere accortosi del trucco, sparò a bruciapelo, colpendolo in pieno viso" (da "Memorie di un ribelle", di Adelio e Fausta Fiore). L'azione fu immediatamente abbandonata. Si corse a cercare un rifugio per prestare le prime cure al ferito. Lo portarono alla vicina Seggio e poi a Scopoli. "In quella notte memorabile un po' a piedi, un po' in bicicletta, Adelio Fiore, vice comandante della brigata, raggiunse Spello per chiamare un medico" (da "Memorie di un ribelle", di Adelio e Fausta Fiore, Ed. Umbra). Sapevano di poter contare sull' aiuto del coraggioso dott. Mario Marchionni, pure partigiano e che "si offrì generosamente, essendo anche cognato di Franco Ciri". Il medico, constatato la necessità di un delicato intervento, in quanto, "oltre alla perdita di quasi tutti i denti, il proiettile aveva fratturata la mandibola e ferito il collo". Cosa fare? I partigiani, ovviamente, non disponevano di ospedali e di tante altre cose, che in ogni azione di guerriglia partigiana nel mondo, vengono a mancare. "Il ferito ha assoluta necessità di una visita specialistica e di un chirurgo dentista", aveva anche detto il medico. Fu così che pensarono di portarlo a Spello, presso il convento dei frati Cappuccini, i quali in più occasioni s'erano dimostrati aperti e solidali con i partigiani. Ma Spello, in quei giorni in modo particolare, era invasa da un gran via vai di tedeschi e fascisti che la perlustravano in lungo e in largo. Ciò preoccupò non poco i brigatisti, che "decisero di portare il ferito al convento dei Cappuccini di Foligno, in quanto fuori dal centro abitato, e quindi più sicuro. Dopo il fallimento di Nocera, seguì un forte rastrellamento che distrusse completamente la sede di Radicosa, al punto che i partigiani decisero di spostare il comando a Seggio. Il gruppo di Mario dovette dividersi. A lui toccò seguire quelli che si trasferirono, inizialmente a Fiuminata e poi a Casalina, nelle Marche. "Fui preso in carica da una famiglia di amici, e vi rimasi per qualche settimana". Aiutava gli ospitanti col lavoro nei campi, ripagandosi così l'ospitalità. Nei primi di febbraio sarà a Borgo Dignaro di Serravalle del Chienti dove rimarrà per più di una settimana a causa di una bufera. "Fece tanta di quella neve che il mattino alzandoci, non si poteva uscire di casa". Erano sepolti sotto 5-6 metri di neve. I primi giorni dopo la tormenta, si usciva dalle finestre dei piani superiori, per portare in casa un po' di legna per il camino, che ovviamente rimaneva sempre acceso. Tutto intorno per la valle e i monti era un'infinita coltre bianca. "Fu una settimana di riposo forzato e di cibo garantito", dirà Mario. Non gli era mai capitato prima dei suoi quasi vent' anni di aver avuto tanto tempo tutto per sé da poter contemplare in quei giorni dalle finestre il candore di tanta neve: nevicava a tratti pian piano e a soffici fiocchi larghi e fitti. La valle era tutta candida e quei fiocchi l'avvolgevano sempre più in un abbraccio protettivo I suoi occhi sottili e un po' all'ingiù che nascondevano un sorriso anche nei momenti più seri, aperti alla speranza, fissavano quella neve immacolata che scendeva senza fine, mentre il suo pensiero andava ai suoi cari, soprattutto alla madre e alla amata Spello. Intanto erano giunte voci che il gruppo poteva tornare nella sua zona operativa. Appena l'abbondante nevicata lo consentì, Mario ed altri quattro si misero in cammino. "Camminammo tutta la notte col freddo fin dentro le ossa". Non era ancora spuntata l'alba, quando la staffetta che li guidava, avvistò la nuova sede: Villa di S.Lucia, tra Gualdo Tadino e Nocera. Fecero appena in tempo a buttare un po' di paglia su un tavolaccio, che presero subito sonno, tanto erano stanchi. Il giorno dopo il loro arrivo, nello scontro che seguì con una squadra di fascisti e alcuni soldati tedeschi, fu ucciso un camerata: un ragazzo giovanissimo, "poteva avere la mia età". Non l'avremmo ucciso se non avesse estratto la pistola", dirà Mario, leggermente commosso. E' la logica della guerra. Una logica che fa a pugni con la volontà dei singoli protagonisti. E' l'istinto primordiale a prendere il sopravvento. Ma, la responsabilità di quei tragici eventi cadeva su quanti (ed erano tanti) si determinavano per 1'acuirsi della tragedia, l' esasperazione del conflitto, per creare i presupposti dell' atto di guerra, come avevano fatto Hitler, per un verso, e per l'altro Mussolini. I partigiani, invece, lottavano per la vita, la libertà, non solo per la propria, ma per quella di tutti. Essi sapevano che avrebbero dovuto anche uccide. Ma uccidere per sopprimere la libertà o per darla, non è la stessa cosa. Lo sapevano, come sapevano anche che se fosse stato per loro non avrebbero ucciso mai. A Mario toccò seppellirlo. "Ho fatto la buca, e prima di interrarlo e di togliergli le scarpe ho pensato a quanto poco s'era ridotto il valore della vita". Si, gli tolse le scarpe, perchè esse per il partigiano sono il bene piu prezioso "Senza le scarpe non si può andare da nessuna parte", proprio come dice l'amico greco a Primo Levi, in un passaggio bellissimo de "La Tregua": "In guerra due cose Sono importanti: le scarpe e il cibo. Prima però vengono le scarpe, perché senza di esse neanche il cibo puoi procurarti". Avere scarpe comode ed efficienti, significava poter camminare agevolmenle per i boschi, i monti, col freddo e con la neve, con la pioggia e col fango. “Ricordo quei mesi d’inverno, le continue piogge. Una notte da Seccia dovevamo spostarci a Boschetto, località tra Nocera e Gualdo, perché ci avevano avvisato di rastrellamenti in atto". L'ordine era di nascondersi alla spicciolata nel bosco. "All'improvviso cominciò ad illuminarsi il cielo con i bengala, mentre il crepiti o delle mitragliatrici tedesche squarciava il silenzio della notte". Erano accerchiati. "Non rispondemmo al fuoco". "lo, Marcello Cerreto (dell'Uff.Tecnico del Comune di Foligno) e Mattioli, (un ingegnere di Voghera, fuggito dalle carceri fasciste di Spoleto), riuscimmo ad uscire dall' accerchiamento e dopo quasi un' ora di cammino, raggiungemmo un vecchio casolare cheMarcello conosceva" . Era disabitato. Nel vecchio fienile si prepararono un angolo dove riposare. Il sonno, tanto atteso, non gli aveva ancora spento la camera oscura della memoria, quando all'improvviso vedono irrompere uomini armati e muniti di torce elettriche che, fendendo il buio, illuminavano i loro visi. Appena si resero conto, si videro immobilizzati da quattro tedeschi alla guida di un fascista che li aveva portati lì. Furono condotti a Boschetto, dove alle prime ore dell' alba li volevano fucilare. "Ci hanno messo al muro. Ricordo che parlavano tra di loro e capii solo la parola "Kaputt". In quel momento arrivò dal paese un signore, che poi ho saputo essere Quinto Pica, "un ex marinaio imbarcato con i tedeschi nella campagna di Russia". Parlava il tedesco e riuscì a dissuaderli. "Fummo portati al comando di Gualdo Tadino, per essere interrogati". Furono rinchiusi nel Collegio dei Salesiani che fungeva da carcere. V' erano altri detenuti civili e militari evasi dai campi di concentramento. "Era domenica e ricordo le visite dei parenti, il mangiare che portavano" . "Ne offrirono anche a noi" . "Nella mia cella c'era un partigiano milanese già da qualche settimana, che mi aveva detto: "La domenica alcune guardie vanno in libera uscita, per cui i controlli sono meno rigorosi". Il milanese gli confessò che già da qualche giorno stava meditando un piano per la fuga. "E mi fece osservare la campagna intorno a quella "Rocca". "Aveva appena finito di parlarmi, che dalla finestra saltò giù. "Non aspettai che pochi secondi, per calarmi anch'io". Si trovò fuori dalla grande costruzione, ma ben tre reticolati gli impedivano la fuga verso il bosco. Intanto il milanese, come un lampo, era scomparso. Mentre Mario aveva scavalcato già il secondo filo spinato e si accingeva a superare il terzo, sentì una raffica di mitra e il sibilo dei proiettili sfiorargli la testa. "Preso dalla paura non so come feci, mi trovai dall' altro lato del filo, libero come una lepre a correre verso il bosco, con la vecchia giacca ridotta a brandelli". Corse per ore e ore. Solo a crepuscolo inoltrato gli andò giù il respiro. "Con le scarpe sulla spalla, per non fare rumori sulle foglie e rami secchi, raggiunsi la stazione ferroviaria di Gaifana". Vicino alla chiesa, proprio all'uscita di Nocera Umbra, sente il passo cadenzato degli scarponi d'un plotone di tedeschi. "Mi rifugiai presso una famiglia che conoscevo, ma appena mi aprirono mi sentii dire:"No, Mario, vai via!. Qui è pieno di tedeschi!". Lungo il bosco, in direzione di Foligno, incontrerà un vecchietto ìntento a raccoglìere la legna. "A vedermi in quelle condizioni mi portò a casa, dove rividi il milanese, in compagnia di altri due partigiani". Il giorno dopo rimase in quella casa e si rese utile tagliando la legna. Il sole tramontava e i suoi ultimi tiepidi raggi di quei primi giorni di primavera filtravano le chiome ancora spoglie dei lecci, degli olmi e dei castani, quando sentì la voce del vecchietto: "Di voi altri, chi si chiama Mario?". "Pronto risposi: lo". "Ecco, Nicoletta, ti manda questa pagnotta". "Non so come aveva saputo la donna, che avevo conosciuto a Radicosa, che mi trovavo in quella casa. Ma certo mi aveva ricompensato del pane fresco che in quei primi giorni di vita partigiana tutte le mattine gli portavo a casa". La notte successiva decise di partire. L'alba lo saluterà che già si trovava a Colpernieri. E poi lungo la Chiona, giunse a Prato e quindi a casa. "Salii per la scaletta semi nascosta da un grande fico, che portava, attraverso le mura del paese, alla casa del mio amico, Antonio Diotallevi, e da lì, attraverso una finestra, giunsi finalmente a casa, senza passare dalla piazza di Borgo, dove quasi sempre si incontrava la milizia fascista o qualche spione". Dei pochi giorni che trascorrerà a casa, Mario, ricorderà l'emozione letta sul viso del caro amico Antonio, quando gli farà tenere per qualche minuto tra le mani la sua pistola automatica, che ormai portava sempre con sé. Quei giorni li passò nascosto in soffitta in compagnia, ora di Antonio e, più spesso, con Bastianello. Quest'ultimo era un ragazzo "ritenuto, a torto, poco di buono, ma era di una dolcezza e generosità da fare tenerezza". Ma a Spello non si sentiva sicuro. Lasciò subito il paese, la madre, gli amici, col pianto nel cuore. Ma doveva andare. La valle tutto intorno sorrideva nel risveglio della primavera, ma il cuore di Mario era rattristato al pensiero di dover lasciare di nuovo sua madre, la casa, gli amici, gli affetti più cari. La sera del 15 maggio, col profumo delle ginestre che inebriava tutta l'aria, riprese il cammino dei monti, ormai a lui familiari. Lungo i campi e i boschi verso Mattinata, dov'era diretto, i pensieri si affollavano di ricordi e della speranza di un tempo migliore e che sembrava ancora lontano. Intorno sentiva l'aria frizzante e il risveglio della nuova stagione. A Mattinata, col gruppo di Rasiglia, nei giorni che seguirono, parteciperà ad alcune azioni di disturbo e di sabotaggio a Forcella, dove attaccarono una colonna di automezzi tedeschi, da cui riusciranno a prelevare un buon quantitativo di armi e munizioni. "Ognuno di noi ora aveva un fucile e una pistola, oltre che ad una buona scorta di bombe a mano". I tedeschi cominciavano a temerli. Ormai s'erano organizzati come un vero esercito. "A Cesi abbiamo visto le prime camionette alleate. Sulle prime, abbiamo pensato fossero i tedeschi e ci siamo nascosti". Poi, a vederle bene, si sono accorti della stella bianca sugli sportelli delle camionette e su alcuni camion la scritta "US ARMY". "Ci facemmo notare; e la prima cosa che ci fecero, ci disarmarono". Sul momento, tentarono una reazione. A quelle armi ormai erano legati, e per conquistarsele avevano rischiato la vita. Ma, la guerra sembrava finita. Furono portati al comando Alleati dove si sentirono dire:"Ormai avete esaurito il vostro compito". A parlare era un capitano con diverse decorazioni sul petto, ma dall'aria stanca e annoiata". E aggiunse: "La guerra la continuiamo noi".
(I) Detta carta dava diritto, previa prenotazione, a 250 gr. di olio, 600 gr. di ZUCcnl 200 gr. di sapone, 1000 gr. di farina di grano o pasta, 600 gr. di riso al mese, a re na. "Non è consentito la scelta dei generi" era scritto sulla tessera che conteneva I buoni di colori diversi, a seconda del tipo dell'alimento.
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