Detenuti senza speranze
Sulmona, nel «carcere dei suicidi» annunciati trasferimenti, ma erano già previsti
Nella struttura «modello», dove in sette si sono tolti la vita negli ultimi due anni, tanti i reclusi con problemi psicologici. Il direttore Siciliano: «Ora temiamo un effetto imitativo». L'autopsia ieri ha confermato anche l'ultimo suicidio. E ora si attendono le «misure forti» annunciate del ministro Castelli
Subito, ieri pomeriggio, due detenuti sono stati trasferiti. Presto altri, una trentina, dovrebbero lasciare il carcere di Sulmona, il «carcere dei suicidi». Il ministero della Giustizia lancia segnali di reazione, dopo che mercoledì un altro detenuto si è tolto la vita, il sesto in un anno e mezzo. Ma i due trasferimenti erano in programma da tempo e i prossimi sono solo un annuncio di cui non può dare conferma nemmeno il direttore del carcere, Giacinto Siciliano. Tra il penultimo suicidio (primo marzo scorso) e l'ultimo, poi, almeno una decina di detenuti con gravi problemi psicologici erano stati portati a Sulmona da altri penitenziari. La politica dei traslochi, buona per dare un seguito d'immagine alle promesse del ministro Castelli, difficilmente risolverà il problema. Dei due detenuti trasferiti ieri, uno è stato portato nel carcere di Teramo dove, con meno clamore, sette giorni fa c'è stato un altro suicidio. La città di Sulmona, che non troppi anni fa apparve a un illustre e colto viaggiatore come la stanza dabbene, elegante e curata, per ricevere in Abruzzo gli ospiti di riguardo, e che ancora sorprende per la sua grazia sconosciuta, è distante quattro incroci con semaforo dal «suo» carcere. Ma il carcere è lontano mille miglia dalla «sua» città, anzi non la vede per niente al di là della superstrada. E' molto grande, ma riesce comunque a starsene in disparte ai piedi del Morrone, montagna che in cima ancora mostra neve e a mezza costa Pacentro, il paese degli avi di Madonna intesa come pop star. Ci vogliono tre ore e più di pullman e un tratto in taxi per la madre di un detenuto napoletano, nel caso decidesse che una visita al figlio vale il sacrificio del viaggio. Praticamente non ci sono detenuti che hanno le famiglie nelle vicinanze. Ci fu chi teorizzò la gradevolezza di una situazione del genere, perché tiene lontano persone poco raccomandabili, evita rischi di inquinamento per la città. Fu Armida Miserere a dirlo, la direttrice di ferro che il venerdì santo di due anni fa si sparò un colpo di pistola alla tempia nel suo alloggio interno al carcere, inaugurando la serie di suicidi. Lasciò una lettera piena di recriminazioni contro l'amministrazione penitenziaria e un pessimo ricordo tra i detenuti. Due anni dopo l'inaugurazione, nel penitenziario ci fu la prima rivolta, che portò dieci agenti di sorveglianza a essere processati per violenze e poi assolti. Molti di quegli agenti sono ancora in servizio a Sulmona. Pochi giorni dopo la rivolta ci fu il primo suicidio. Poi altri due e diversi tentativi, fino alla serie terribile degli ultimi diciotto mesi.
Dopo ogni suicidio un'indagine interna dell'amministrazione e un fascicolo aperto in procura contro ignoti per il reato di istigazione al suicidio. Ma dentro quel fascicolo un solo foglio, prima dell'archiviazione: il risultato dell'autopsia. Nessun dubbio neanche per Francesco Vedruccio, che aveva 36 anni e si è impiccato nel bagno mercoledì mentre il compagno di cella dava le carte per un'altra mano di scopa. «Suicidio» ha concluso l'anatomopatologo dottor Polidori, arrivato ieri pomeriggio nell'unico posto di Sulmona che il detenuto Vedruccio ha avuto in sorte di conoscere, la camera mortuaria dell'ospedale. Si prepara ad archiviare anche questo caso il sostituto procuratore Aura Scarsella. A lei scrivono in continuazione i detenuti denunciando sopraffazioni o disagi. Nei casi più gravi ordina un'indagine alla polizia giudiziaria, in tutti i casi non si può andare oltre. «Una volta al mese - dice - vado a raccogliere le testimonianza in carcere e scopro che la maggior parte di loro ha soprattutto bisogno di qualcuno con cui parlare».
La casa di reclusione di Sulmona è destinata a chi deve scontare lunghe pene. Non dovrebbe mai accogliere chi è stato appena arrestato, come invece accadde al sindaco di Roccaraso che infilò la testa in un sacchetto di plastica mentre aspettava l'interrogatorio di garanzia. Ci lavorano cinque educatori e un solo medico psichiatra che viene da Roma per cento detenuti con sindromi depressive. Il ministro Castelli l'ha trovata «una struttura modello». Il direttore Siciliano spiega che nel carcere c'è una quota elevata di detenuti con problemi psicologici. «Noi cerchiamo di trattare questi casi, non chiediamo immediatamente il trasferimento come si fa da altre parti perché il problema anche col trasferimento resta». Con uno psichiatra part time però è difficile. E' un problema di fondi e gli ultimi anni sono stati anni di tagli. Anche il personale di custodia lamenta di essere sotto organico di almeno cinquanta unità. Tagli da ogni parte: la Regione, fino al mese scorso amministrata dalla destra, ha diminuito i fondi al festival Sulmona Cinema per organizzare proiezioni dentro le mura del carcere.
La città, a fugare le paure di Armida Miserere, non si è fatta inquinare dai delinquenti. Il direttore Siciliano insiste su quello che sta facendo per aprire il penitenziario al mondo esterno. Incontri con gli studenti, poi un'iniziativa pilota di adozione da parte dei detenuti dei cani del canile municipale che partirà la prossima settimana. Sottolinea che all'interno delle mura circondariali funzionano laboratori di falegnameria, pelletteria e calzature, ci sono corsi per rilegatori ma la grande maggioranza dei 400 detenuti sono esclusi da queste attività. Così come tutti sono esclusi dai benefici della legge Gozzini, un po' perché il Tribunale del riesame dell'Aquila ha fama di inflessibilità, un po' perché è impossibile che un detenuto possa trovare lavoro in un territorio con quasi il 30% di disoccupati. In una situazione del genere anche il carcere è una fonte di reddito per Sulmona, che lo tiene a distanza ma è stata pronta a prendere paura quando qualcuno, di fronte alla sequenza di suicidi, ha chiesto che venisse chiuso. Unico caso in cui la città ha dato segno di preoccuparsi per il «suo» penitenziario. Nonostante si verifichi la curiosa circostanza che il primo cittadino, Franco La Civita, abbia conosciuto un carcere dall'interno, essendoci finito dentro nella famosa notte di San Michele, il 28 settembre del 1992, quando tutta la giunta regionale guidata da Rocco Salini fu arrestata per la tangentopoli abruzzese. La Civita è uscito da questa vicenda senza condanna, e adesso dopo essere sparito dalla vita politica e poi riapparso dalle parti della destra, guida una maggioranza a tre: Ds, Margherita e Socialisti.
La casa di reclusione di Sulmona dunque è una struttura che non ha i problemi classici delle carceri italiane. Non c'è il sovraffollamento che c'è da altre parti, è piuttosto nuova (quella vecchia, un ex convento benedettino, è ancora in fase di restauro per essere destinato ad attività culturali), ma è un luogo dove la segregazione è più pesante di altrove. L'isolamento fisico, le condanne lunghissime dei detenuti, persino la fama di «carcere dei suicidi». Il direttore confessa di temere «un effetto imitativo».
In una stradina che porta fuori città, in una casetta bassa con lo studio medico accanto, vive un signore di settantotto anni che è testimone di una diversa stagione carceraria. Alfonso De Deo è stato il medico del penitenziario, del vecchio penitenziario di Sulmona «che aveva tre porte e non dodici cancelli così rumorosi come questo», per 40 anni. Ricorda tutti i casi di suicidio che gli sono capitati. Tre. «E ce li ho tutti qui», dice colpendosi sullo stomaco. E' un uomo piccolino che è stato anche sindaco democristiano della città, ma un grande medico. Nel 1970 ha pubblicato con Feltrinelli una ricerca che ha fatto scuola e ha aperto la strada ad alcune importanti riforme, prima e nello stesso spirito della legge Gozzini: Il sesso nelle carceri italiane. De Deo ha studiato come i detenuti, non avendo altri strumenti per affermare la propria personalità, molto spesso siano costretti a usare il proprio corpo. Il suicidio è un modo per farlo, un'ultima volta.
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