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[ftr carcere] contributi dal nw
by imc italy Wednesday, May. 18, 2005 at 3:57 PM mail:

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Emergenza Carcere: comunicato Papillon
by io Saturday, Jun. 11, 2005 at 9:47 AM mail:

http://italy.indymedia.org/news/2005/06/808492.php

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Lettera aperta di un detenuto a Cesare Previti
by Flavio Zaghi Tuesday, Nov. 29, 2005 at 7:45 PM mail:

Lettera aperta di un detenuto a Cesare Previti




di Flavio Zaghi - Redazione di Ristretti Orizzonti




Ciao Cesare, ti scrivo dal carcere, da dove ho seguito con molto interesse, come un po' tutti i compagni d'altronde, tutta 'sta questione sulla ex-Cirielli, che era senz'altro, almeno per te, un asso nella manica da giocarti proprio come ultima chance per evitarti il carcere, però purtroppo è andata male: …a volte sai, e te lo dico per esperienza, a tirare fuori gli assi dalle maniche si rischia di essere scoperti e il risultato non è poi certo quello sperato.
In pratica, Cesare, ora la legge che era stata studiata per tenerti fuori è stata modificata e il rischio di finire anche tu in carcere sta iniziando a diventare concreto.
Sai, volevo dirti, e magari avremo poi occasione di parlarne all'aria con più calma e con tutti gli altri amici, che però sei stato un po' scorretto nelle tue ultime dichiarazioni: infatti sia io che gli altri qui ne abbiamo parlato molto del fatto che tu sostieni che l'inasprimento delle pene, dettato appunto da questa nuova legge, non è sbagliato, e che tu lo approvi in quanto ritieni che sicuramente farà da monito e deterrente per la commissione di altri reati. Noi qui, che non abbiamo grandi cose a cui pensare, siamo piuttosto attenti a queste questioni, e a nostro avviso e dai dati che circolano, pare addirittura che il numero dei reati negli ultimi anni sia piuttosto in calo, perciò è inutile inasprire ulteriormente le condanne, specie poi in questo paese dove sono già abbastanza pesanti.
Togliere poi la possibilità ai recidivi di accedere ai benefici della legge Gozzini, che dava, a mio modesto parere, un barlume di speranza di potersi reinserire e riproporsi alla società, è stato un brutto gesto, anche perché, e lo vedrai da te quando sarai tra noi, qui dentro si rischia di tornare indietro di trent'anni, a quando appunto c'erano solo le regole dettate dalla violenza. No dico, non vorrai mica permettere a Roberto Castelli, dopo il brutto tiro che ti ha fatto, di ricreare una succursale dei dannati?! Cerca di parlarci con 'sto ragazzo e fargli capire che, una volta senza carica politica, potrebbero essere parecchi quelli del suo giro che rischiano di raggiungerti.
Sai, ti dico queste cose perché noi abbiamo capito che a rimetterci maggiormente poi, sono solo i tossici e i poveri disgraziati che sono i recidivi e che qui dentro sono praticamente accatastati proprio per il fatto che ce n'è una botta da paura. Non ho capito poi, quando ti sei reso conto che ti stavano facendo le scarpe, quello che hai detto: "Adesso allora mi difenderò in tribunale…"; ma scusa, non potevi pensarci prima? Si sarebbero evitati almeno tutti 'sti casini!
Sono contento, e gli amici qui anche loro con me ovviamente, che almeno con questo fatto delle prescrizioni in tempi più brevi, i figli di Silvio potranno restare incensurati pur essendo indagati, e quindi loro non conosceranno mai, per fortuna, cosa vuol dire entrare in carcere. Loro comunque, detto tra noi, si sarebbero potuti permettere un collegio di difesa da far mettere sull'attenti i giudici, altroché noi, a noi ci ha fregato l'avvocato, anzi, il cavaliere, eh…, vecchio filibustiere!
Senti Cesare, adesso, quando verranno poi ad arrestarti, avvertimi, mi raccomando, che vedo se riesco a tenerti il posto qui nella cella accanto alla mia; non staresti neanche male, c'è posto qui alla undici con Kamel, un ragazzo tunisino poliomielitico che ha praticamente solo l'uso di una gamba, è qui da qualche anno e non vogliono saperne di buttarlo fuori. Comunque prende una botta di terapia e non lo senti neanche, casomai te la vedi tu per le pulizie della cella ed è sufficiente che gli segni qualche pacco di tabacco ogni tanto in spesa e lui è come se non ci fosse.
Poi casomai appena esce Giuliano, il mio compagno, la prossima estate, allora facciamo la domandina e passi con me, vedrai, ce la passiamo bene. Qui oltretutto la sbobba non è proprio male e poi comunque ormai c'ho un corredo di pignatte e fornelli da fare invidia a una casalinga e quindi se vogliamo farci una pastasciutta, basta mettersi lì e farla. A proposito, come te la cavi in cucina?
Vabbè dai, ci vediamo presto, ah, quasi dimenticavo: quando arrivi in matricola dove dovrai lasciare le impronte digitali e le foto segnaletiche, diglielo chi sei, non fare il modesto, e ricordati di farti cucire la cintura dell'accappatoio altrimenti poi te la levano e rischi di dover andare in giro con un fettuccia di lenzuolo della casanza ai fianchi, roba che se ti beccano rischi di perderti quarantacinque giorni, qui sono piuttosto severi su ste cose e un rapporto disciplinare ti può far saltare anche la semilibertà o l'affidamento, anche a te, che puoi ancora sperarci.
A presto, Flavio.




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L'assistenza sanitaria in carcere ....
by Stefano Bentivogli Wednesday, Nov. 30, 2005 at 11:03 PM mail:

L'assistenza sanitaria in carcere contiene in sé le modalità dell'afflizione tipiche della pena stessa
Se ci si sente male in carcere, quello che più pesa è essere trattati più da detenuti che da pazienti

di Stefano Bentivogli - Redazione di Ristretti Orizzonti

Quando nel 1999 divenne legge la riforma della medicina penitenziaria, quella che prevedeva il passaggio dei pazienti detenuti alle A.S.L., quindi con le stesse garanzie e gli stessi servizi dei cittadini liberi, si era pensato ad una operazione di grande civiltà, forse per la prima volta si apriva una strada per far diventare la salute un diritto, e non più una questione di competenza di una istituzione alla quale non si riusciva mai a contestare nulla. Quando le cose non funzionavano, non esistevano infatti diritti in quanto tali rivendicabili, ma semmai semplici inadempienze dell'amministrazione. Dentro le mie illusioni rispetto a questa riforma c'era invece l'idea di tante persone che finalmente diventavano prima pazienti e poi detenuti, e questa che sembra una sottigliezza, per chi sta dentro non è poi tanto tale.
Mi spiego meglio: se ad esempio un detenuto si trova a sentirsi male e lo segnala all'agente in sezione, essendoci 24 ore su 24 un medico in istituto, lui ha diritto ad essere visitato, non "Beh, che cos'ha a questa ora?"- "Si ma dove sente male?" - "Ma le fa proprio tanto male?".
E tutto questo avviene se si riesce rapidamente a trovare il medico, che potrebbe essere in infermeria (al lavoro o a riposarsi), in un'altra sezione e nessuno sa qual è, oppure allo spaccio a farsi un caffè. L'altro particolare sono le chiavi che, la sera, dopo una certa ora, non sono più al piano dove si trova la cella bensì giù alla rotonda, e bisogna andarle a prendere. A volte (spesso) in sezione c'è un agente solo e diventa un problema abbandonare la sezione, a volte è in rotonda che l'organico manca, insomma, i minuti quando uno si sente male in cella sono lunghissimi in certe particolari serate dove, malattie, aspettative vengono a sovrapporsi c'è solo da affidarsi al cielo. Capita che a volte, dopo essere stato rintracciato, il medico risponda agli agenti di dire al detenuto che si segni "a visita medica" per il giorno dopo.
A volte invece il medico arriva ma, ad esempio, non vuole entrare dentro la cella, allora bisogna chiamare la barella ed ovviamente l'infermiere. Spesso il medico si rifiuta di toccare il paziente (detenuto), allora viene aperta un'altra cella e viene chiesta la cortesia ad altri due detenuti di caricare in barella il paziente dopo di che il malato "sparisce".
Ricordo serate con la tensione a mille ad aspettare che venissero a prendere qualche anziano il cui cuore aveva smesso di funzionare, addirittura i campanelli di allarme o non funzionano o vengono staccati, ed allora tutti ad urlare per far capire che stava succedendo qualcosa di serio.
Le sezioni dei penitenziari assomigliano oggi, se si guardano le patologie presenti, a corsie d'ospedali. Quello che le differenzia dagli ospedali è il rapporto tra paziente e sanità, perché il paziente purtroppo prima che paziente è detenuto, e pare quasi che l'assistenza sanitaria contenga le modalità dell'afflizione tipiche della pena stessa.
Le patologie che più spaventano sono quelle riguardanti il cuore, non perché più gravi di tante altre, ma solo per la rapidità e l'attenzione di cui necessita l'intervento già dai primi sintomi, anzi, proprio dalla pronta risposta a questi sintomi si ha più o meno capacità di garantire la salvezza del paziente.
In questo momento penso a tutti i miei compagni dentro, ai quali fino ad una certa ora della sera ci si prodiga in controlli della pressione, ma se qualche ora più tardi sopravviene una crisi cardiaca, occorre stanare il medico e convincerlo che una visita immediata non è inutile, e non basta affatto mandare gli agenti a dire al detenuto di segnarsi "a visita medica" per il giorno successivo. Penso anche a quante volte dovevamo caricare noi in barella i nostri compagni, che nessuno si prendeva la responsabilità di toccare.
Insomma, sarebbe un'altra occasione per ottenere due obiettivi di civiltà: intendo dire che se per i tanti detenuti non pericolosi che si ammalano si provvedesse a ricoveri in strutture ospedaliere, ci sarebbe un lieve decongestionamento delle carceri e la garanzia di non vederli troppo spesso morire in ambulanza, con il conseguente occultamento della loro reale morte in carcere, malati e rinchiusi.
Io chiedo che ci siano maggiori controlli da parte dei magistrati, soprattutto quelli di sorveglianza, ed una loro minore fiducia nel pensare che il carcere sia solo quello che loro neanche tanto di frequente visitano negli orari diurni. Dovrebbero invece informarsi negli orari notturni di cosa succede, quando tutte le assenze vengono a concentrarsi, ed un piccolo manipolo di agenti si trova a correre a destra e a sinistra, con medici a cui poco interessano le tensioni che si creano in quelle condizioni e che soprattutto pensano che "non c'è niente che non si possa risolvere domani", quando cioè di turno non ci sono loro.
Noi cerchiamo di registrare puntualmente nel nostro dossier "Morire di carcere" anche tutte quelle morti che non sono per suicidio, ma per malattia o per cause "sospette".
Forse dovremmo aprire un capitolo il cui nome sia più chiaro, ossia "Morti per omissioni di cura o di soccorso". Per arrivare a questo ci sarà bisogno di rompere quel muro d'omertà che spesso, dai detenuti alle direzioni, diventa impenetrabile, e attenzione, avviene sempre perché queste morti, questi esseri umani, fanno parte della categoria degli ultimi, quelli che non protestano mai e mai nessuno protesta per loro.
In questo il completamento della riforma della sanità penitenziaria può essere una nuova spinta a cambiare le cose, sperando che avvenga una reale iniezione della cultura esterna rispetto alla salute, una cultura che, pur piena di problemi, è controllabile e giudicabile senza facili occultamenti per motivi di sicurezza o balle simili.








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Ex Cirielli, Castelli "non si prende responsabilita' "
by acchiappacazzari Thursday, Dec. 01, 2005 at 5:33 PM mail:

Secondo il ministro aumenterà il sovraffollamento delle carceri
"Senza finanziamenti non mi assumo responsabilità per il futuro"
Ex Cirielli, Castelli batte cassa
"Boom di detenuti, servono fondi"
I magistrati tornano ad attaccare la norma approvata ieri
"Come se nella sanità si uccidessero i degenti per risparmiare"



ROMA - Il giorno dopo l'approvazione della ex Cirielli sui tagli ai tempi di prescrizione per i reati il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, batte cassa. Uno degli effetti della nuova normativa sarà infatti un ulteriore sovraffollamento delle carceri, ma, ha avvisato il guardasigilli, nessun nuovo finanziamento è stato fino ad ora previsto per farvi fronte.

"Una stima prudenziale sugli effetti a medio termine della Cirielli, dimostra che potrebbero essere alcune migliaia i detenuti in più che andranno ad affollare le carceri", ha spiegato Castelli precisando poi che "una stima precisa non è possibile perché non siamo in grado di prevedere quanti detenuti torneranno a delinquere, ma la stima è nell'ordine delle migliaia". "Sono mesi - ha poi aggiunto il ministro - che sto chiedendo risorse finanziarie senza ottenere risultati, se continua così non mi assumo responsabilità per quanto potrà accadere".

Torna invece a denunciare altri aspetti perversi del provvedimento l'Associazione nazionale magistrati. "La ex Cirielli è una brutta legge non solo per quanto concerne la disparità dei trattamento, ma per l'evidente ingestibilità dei processi, ed in particolare di quelli con numerosi imputati", ha affermato il presidente della Anm Ciro Riviezzo. "E' come se nella sanità - ha aggiunto Riviezzo - per ridurre le spese di ricovero, si uccidesse una parte dei degenti".

(30 novembre 2005)



http://www.repubblica.it

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il carcere femminile in italia
by tubetti mauro Thursday, Dec. 01, 2005 at 5:40 PM mail:

“Terra terra, là dove siamo e non abbiamo mai smesso di essere, è importante praticare una cultura abolizionista, esprimere ovunque l’importanza della libertà, battersi contro ogni forma di sopraffazione, di negazione, di morte annunciata e differita, nell’universale quanto nel particolare, e viceversa. Abolire il carcere è un processo nel quale l’astuzia, l’intelligenza, il realismo e l’utopismo vanno saviamente combinati, affinché siano un vero cocktail esplosivo. (Riccardo d’Este )
download: Rtf at 55.5 kibibytes

5.1 LA DETENZIONE FEMMINILE: CARATTERISTICHE E PROBLEMI

 DETENZIONE FEMMINILE
Considerando i risultati della ricerca sulla detenzione femminile ci accorgiamo che l’immagine tracciata del fenomeno mette in luce come oggi le donne vadano in carcere prevalentemente per reati connessi agli stupefacenti; molte sono straniere; moltissime tossicodipendenti (le quali hanno in genere pene detentive brevi e sono recidive). Per quelle di nazionalità italiana i reati connessi agli stupefacenti e le rapine si accompagnano all’esperienza della tossicodipendenza e ai processi di marginalità che essa comporta. Le straniere in carcere per detenzione e spaccio sono in prevalenza corriere della droga, al primo impatto con la giustizia.
La maggioranza delle donne oggi in carcere vi passa periodi brevi, ma ripetuti. L’esperienze della detenzione contribuisce così a radicalizzare modalità di vita sempre al limite della legalità.
La popolazione carceraria dunque cambia costantemente ed è difficile programmare qualsiasi attività di recupero (bisogna ricordare a tal proposito che la possibilità di accedere a misure alternative per le detenute madri non è poi così immediata né di facile applicazione).
L'esistenza di pochi carceri penali femminili, inoltre, fa sì che molte detenute dopo il processo siano trasferite in penitenziari lontani dal luogo di residenza della famiglia, con gravi conseguenze per i figli, i quali rischiano di rappresentare una perdita reale e simbolica.
 UNA LEGGE INAPPLICATA
Attualmente il carcere è lo stesso per entrambi i sessi sia per quanto riguarda la struttura sia per le sue regole e la questione femminile viene messa in gioco non perché si è pensato al soggetto femminile ma perché interviene la necessità di tutelare i loro figli piccoli.
La legge spesso non trova facile applicazione per le detenute a causa della frammentazione dell'universo carcerario femminile. I gruppi di detenute non sono numerosi, nella maggioranza dei casi non superano le 20 unità. Con numeri così esigui raramente è possibile fare programmi di recupero significativi che non riflettano un’immagine stereotipata e paternalista della donna (vedi l'onnipresente corso di taglio e cucito).
Anche le risorse lavorative, per lo più attività interne al carcere come la manutenzione e i servizi domestici, sono poche e di scarsa qualità. La mancanza di lavoro all'esterno rende ancora più difficile ottenere la concessione di misure alternative.
 L’INFLUENZA DELLA DETENZIONE SUL CORPO E LA PSICHE
Per quanto riguarda l’influenza che la detenzione esercita sul rapporto tra i figli e le madri detenute, poche donne hanno accettato di parlare di questo problema nella già citata ricerca ; e ciò evidenzia il disagio e il dolore di fronte ad una comunicazione bloccata, ad un distacco, una perdita con la consapevolezza del disorientamento dei figli e con un grande senso di umiliazione e vergogna.
Il rapporto con il proprio corpo per le detenute e più in generale il problema della salute in carcere è una questione tutt’altro che secondaria. L’impatto con il carcere rende il corpo nudo, lo spoglia degli elementi che gli erano più familiari, lo costringe allo sguardo dell’altro, lo mette in contatto con tutto quanto possa esserci di più estraneo. Disagio della reclusione viene immediatamente registrato da tutti i sensi, dagli arti, dal corpo nel suo complesso. Lo stato di detenzione mantiene il corpo in bilico tra salute e malattia.
Da ultimo, come già più volte ribadito, la detenzione recidendo tutti i legami che la persona aveva prima di entrare nell’istituto di pena, non solo non offre il supporto necessario per l’inizio di una nuova vita da individuo libero ma recide anche qualsiasi tipo di aiuto che invece è assolutamente necessario a chi vuole ricostruire da capo la propria esistenza.

5.2 FIGLI: DETENUTI INNOCENTI

La presenza di bambini residenti anche temporaneamente in strutture penitenziarie per qualsiasi motivo, appare come una pratica contraria ai diritti umani sia nei riguardi dei bambini sia nei riguardi del/i genitore/i.
La rottura dell’unità familiare genitore-figlio-ambiente sociale è dannosa e può arrecare gravi e permanenti danni al bambino, specialmente se iniziata in età neonatale e protratta per più anni . Per i bambini che vivono in carcere vi è un alto grado di deprivazione relazionale in una fase decisiva dello sviluppo, e tale deprivazione è a doppio livello, nel senso che non investe solo i bambini ma anche le madri.
La percentuale dei rientri in carcere, che tocca in 18 per cento dei casi, dimostra come ben poco venga fatto per evitare al bambino il ripetersi della negativa esperienza.

5.3 IL FALLIMENTO DEL SISTEMA CARCERARIO

Il tasso di recidiva è molto alto,e ciò sta a indicare che e il ritorno in carcere è sintomatico del non aver interrotto il precedente modus vivendi, di essere ritornate nel medesimo ambiente e soprattutto è sintomatico del fatto che la pena, per queste persone, non ha svolto alcuna funzione se non una sofferenza fine a se stessa.
Anche le restrizioni imposte ai detenuti che godono di misure alternative e che quindi sono all’inizio del loro reinserimento nella comunità esterna e dovrebbero quindi essere aiutati in questo difficile percorso, in realtà non fanno altro che rendere più facile la violazione delle regole e di conseguenza il ritorno in carcere.
Che il carcere non rieduchi è implicito nelle riforme stesse, quando insistono sulla permeabilità del carcere all’esterno, sulla funzione “trattamentale”dei permessi e dei colloqui, del lavoro all’esterno, della semilibertà.
La rieducazione presuppone una congrua permanenza in carcere, ma la maggioranza delle detenute, tuttavia, entra e esce dal carcere, e sono precisamente le detenute più giovani, tossicodipendenti, quelle che caratterizzano oggi la detenzione femminile. Appare chiaro che la “rieducazione” e tutte le misure “alternative” per loro non ci sono e non ci possono essere.
In Italia, dunque, un modello orientato alla rieducazione ed alla presa in carico che guarda all'etica della responsabilità di cui sarebbero portatrici le donne (il care model) ha sotteso le riforme penitenziarie ('75 ed '86), nel senso che ha favorito la logica dell'utilizzo dei permessi premio che dovrebbero essere diritti e sono elargiti solo per buona condotta. Questo regime premiale ha esteso agli uomini ciò che era stato costruito per donne, minori e matti, nel senso che ha prodotto un trattamento differenziale che tiene conto del sesso, dell'età, dello stato di salute, delle circostanze in cui è avvenuto il reato e, soprattutto, dell'adesione al trattamento da parte del/la detenuta ed è quindi discrezionale e poco garantista.
Le riforme attuali hanno lievemente attaccato la secolare separatezza del carcere dalla società, anche se la società è ancora restia a farsi carico delle resposnsabilità che ciò comporta.
Viviamo in una cultura che non riesce a pensare a una alternativa al carcere come pena . Tamar Pitch assume che il carcere sia visto dalla collettività come una punizione volta alla sicurezza in un luogo separato e sicuro ma afferma che dovremo disfarci della correzione e della sicurezza (che del resto, tutti lo sanno, sono pure illusioni) .
La politica penale e penitenziaria italiana oggi, secondo Tamar Pitch, oscillerebbe invece, purtroppo, verso un polo repressivo chiedendo più carcere, e carcere duro, come risposta all’allarme della criminalità organizzata.
Cosa ci possiamo attendere da una società che sempre più tende ad adottare sugli affari umani il punto di vista del poliziotto, che tende a liquidare la condizione stessa della pluralità (degli interessi, dei punti di vista, delle opinioni) quando è in gioco l'ordine sociale (come se ci fosse qualcosa che, da vicino o da lontano, non la riguardasse)?
Strano paradosso quello di una società sempre più portata ad abolire le linee di frattura e le forme di divisione tradizionali, attraversata da forme di fluidità (economica, sociale, culturale e ideologica) sempre più marcata, e che simultaneamente sembra sempre più indotta a indurire il decreto di espulsione e d'esclusione contro gli «altri» (ladri, delinquenti ... ), che essa sradica dall'umano concesso inviandoli in carcere .
Dovrà essere possibile riesaminare la funzione della pena e il relativo modello di reclusione in una visione che cerchi di rompere il ciclo “marginalità-stigamtizzazione-maggiore marginalità” .
Tutti gli elementi elencati, invece di sottrarre libertà, dovrebbero concretizzarla per tutti/e, se si ponesse effettivamente la questione alternativa al carcere, poiché ciò che finora d'alternativo ad esso è stato pensato, non l' ha sostituito ma si è solo aggiunto. Bisognerebbe cominciare a pensare a sentenze di condanna senza carcere , ossia a potenziare le offerte alternative sganciandole dalla logica premiale.
Rendere il carcere più vivibile oggi, significa renderlo più adeguato. Non più adeguato alle persone, si badi bene, ma più adeguato ad un'epoca. La modernizzazione della punizione si può realizzare solo perché delle anime caritatevoli e degli spiriti illuminati si prendono la briga di riflettere su un modo moderno di punire. Da cui discende l'idea che bisogna trovare una soluzione alternativa all'incarceramento.






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dai, flavio, che forse ti raggiunge veramente
by reporter Friday, Dec. 02, 2005 at 9:44 PM mail:

Roma, 13:05

SME: PREVITI, RISPETTO SENTENZA COME COLPO PISTOLA

"Rispetto questa sentenza come si rispetta un colpo di pistola, un'esecuzione pianificata". Cesare Previti commenta cosi' la sentenza di oggi. "Dovrei essere sorpreso - prosegue - di una condanna che arriva al termine di un processo partito da un teste integralmente falso, che addirittura ha recentemente confessato di essere stato imbeccato ed eterodiretto, come io sostenevo da dieci anni, un dibattimento fondato su un fascicolo di prove inesistenti, inventate, e quindi cadute proprio perche' inventate, dal quale sono scomparsi atti e documenti molto importanti, comunque in grado di dimostrare ancora di piu' la mia totale e assoluta innocenza, dove in sede d'appello non trova spazio nemmeno la ritrattazione del testimone d'accusa". "Ma non sono meravigliato. Perche' - spiega - sono anni che subisco dei 'non processi', dove ho avuto solo la parte del presunto colpevole, quindi non mi sorprende neanche la macroscopica follia di questa sentenza disumana, se solo si pensa alle attenuanti generiche costantemente negatemi dalla magistratura milanese, con la motivazione che non si possono accordare ad una persona troppo conosciuta come perbene. Naturalmente, continuero' a battermi fino in fondo, per ottenere cio' che nessuno finora mi ha dato: giustizia. E' un diritto della collettivita', di cui faccio parte, accertare fino a che punto il sistema giudiziario - conclude - e' malato, se e' moribondo o, addirittura, morto". ()

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lettera a Claudia, Stefano, Simone, Titto e Tombolino
by vittoria Friday, Dec. 02, 2005 at 10:00 PM mail:



Carissimi compagni e dolci amici.
Cosa c'è di più intimo, di più riservato di una lettera?
Eppure vi devo scrivere così, pubblicamente, perché noi non possiamo
vederci, abbracciarci, telefonarci, sentirci.
Così, questa mia lettera la affido al mare della rete, come una volta si
faceva con le bottiglie nel mare vero, sperando che in qualche modo la
possiate leggere.

E' l'unico modo che ho per dirvi la mia contentezza
nel sapervi fuori da quelle cupi mura e di esprimere la mia rabbia
perché,Danilo Valentina e Massimo stanno ancora dentro.

E' anche un'occasione per parlare dei domiciliari.
Un aspetto delle misure restrittive che molto spesso viene passato sotto
silenzio.
Il che si capisce pure a livello umano, meglio ai domiciliari che al gabbio,
chi potrebbe dire il contrario? E tale e tanto grande è il sollievo per i
compagni che sono rimasti fuori (per questa tornata!) che si corre il
rischio di non afferrare nella sua totalità la perversione che c'è da parte
del potere nella" misura cautelare" in cui tu diventi il carceriere di te
stesso.

Per la breve esperienza che ho avuto io di questa "misura cautelare" mi
ricordo che mi sballava parecchio; pensare che la mia casa era diventata la
mia galera mi estraniava assai.
Perché si fa presto a dire in senso teorico: la casa è una prigione, la vita
vera è la strada e altre cose del genere, ma poi c'è il bisogno reale di una
tana tutta nostra in cui sentirsi a proprio agio, in cui uno fa quello che
gli pare.
Ora in genere i domiciliari vengono sempre dopo una perquisa, e già quella è
la violazione dello spazio privato, quando poi dopo una perquisa ti dicono
pure: non devi superare l'uscio di casa, non devi parlare e vedere
telefonare a nessuno, nessuno deve entrare, vederti, parlarti, telefonarti,
allora capisci che quella non è più casa tua: è la casa di quelli che sono
venuti a farti la perquisa.

Anche perché poi tornano e come se tornano.
Più volte al giorno, anche di notte, invece che osservarti dallo spioncino
ti bussano,all'uscio, e di notte ti puntano in faccia la lampada tascabile,
senza contare le ronde che passano sotto casa:
Se poi stai da sola, come capitò a me, per un periodo, che poi venne una
compagna a farmi da "assistente" (graditissima in verità!), la cosa è
veramente annichilente; mi ricordo che guardai il sacco dell'immondizia e mi
chiesi e: mo' come faccio con questa? che non posso uscire?.

Perché poi questo deve essere chiaro per qualsiasi tipo di carcerazione che
lo scopo finale è sempre lo stesso il programma di annichilire l'individuo,
di umiliarlo; ci sono diversi gradi di questo programma, e i "domiciliari"
sono solo un aspetto di questo annichilimento ed umiliazione programmata.

Che questo tentativo di annullamento riesca o no dipende solo dalla volontà
del soggetto, dalla sua determinazione: c'è chi si piega e c'è chi come voi
che resiste, c'è chi è "rieducato" e chi come voi è fiero della sua
ineducabilità al sistema della ferocia.

Non vorrei essere fraintesa io sono contenta che Simone finalmente possa
stare vicino al suo bambino e alla sua donna e sono contenta che la mamma di
Titto non debba più andare tanto lontano per vedere Titto, ma è una
contentezza sempre amara, sempre condizionata, non scelta né da voi, dolci
compagni, né da me che mi sento vicina a voi, aggravata per di più dal
dolore di sapere che Massimo Danilo e Valentina stanno ancora dentro.

Un' altra cosa voglio dire : quando lo Stato ti punisce non punisce solo
te, ma tutti quelli che ti stanno intorno, madri, figli, padri, e chi ha
deciso di fare un percorso di vita insieme a te.
Del resto i pervertiti raggiungono il massimo di piacere nella sottigliezza
della perversione, per cui
col cazzo che ti mettono in una galera facilmente raggiungibile da una madre
o da un padre o dalla donna che ti ama o da un figlio, no! ti mandano sempre
nel posto più in culo al mondo, poi quando
la madre, il padre, la donna che ti ama, il figlio si sono organizzati per
venirti a vedere, magari decidono di cambiarti galera.
Perché il controllo deve essere una catena che non si rompe mai, almeno
questi sono i loro desideri.
Perché se c'è una pecora nera in una famiglia, vuol dire che la famiglia non
ha assolto alla sua funzione
di controllo e quindi deve essere punita insieme a te.

In alcuni casi si arriva al massimo, per cui non ti possono rimandare ai
domiciliari a casa tua perché
casa tua "è un covo": è risaputo che le case dei rivoluzionari non sono case
ma sono "covi"!!!!!

Infatti io sto sempre a chiedermi ma quanti cazzo di pulcini alleviamo
noi!!!!! ma tutti allevatori di pennuti siamo? e che cazzo! non ci basta
riempirci casa di cani e di gatti?

In alcuni casi la perversione arriva al punto di rimandarti da mamma e papà
che finalmente possono emendarsi dal fatto di aver cresciuto uno brutto
anatroccolo(eh, i pennuti!) e ritornare, così, nel ruolo per cui erano
demandati, quasi per ribadire il fatto di non aver assolto a dovere questo
ruolo.

Vede che sta succedendo, col fatto che non possiamo parlarci di persona o
scriverci in privato?
che invece di parlare a voi parlo agli altri!
a quelli che non sanno, quando noi queste cose le sappiamo benissimo.

E anche questa diventa una esplicazione di cosa intendiamo quando parliamo
di carcere sociale.

E invece io avrei voluto parlare con voi in intimità, sentire dalla vostra
voce quello che avevate da dire.
So, come sanno tutti i compagni, che siete stati forti, tanto da dare forza
anche a me, e so che niente piegherà la vostra dignità, ma avevo il
desiderio di stringervi al cuore in un grande abbraccio, di ripigliare anche
a confrontarci su le cose, e perché no? scazzarci su altre.
Avevo sopratutto il desiderio di sentire le vostre care voci che venivano
soffocate dai vetri dei gabbiotti.


Claudia, Danilo, Valentino, Stefano
ho letto il vostro comunicato, pieno di dignità e giusto orgoglio, e voglio
chiudere con le vostre parole
"un rivoluzionario continua a vivere nel perpetuarsi della rivolta... nei
fuochi che tengono accesa l'ostilità al potere e allo sfruttamento. E'
nell'attacco al dominio che la solidarietà trova la sua massima espressione
non vanificando le esistenze di chi paga o ha pagato con un caro prezzo per
aver scelto di ribellarsi."

Danilo Valentina e Massimo
Claudia e Stefano Simone Titto Tombolino
vi saluto come si usa a Viterbo

SEMPRE FIERI!

AMORE E LIBERTA' PER RIBELLI E I DANNATI DELLA TERRA
ODIO AGLI OPPRESSORI

vittoria




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Detenuto s'impicca a Buoncammino
by Marco Noce Saturday, Dec. 03, 2005 at 3:08 PM mail:

da "l'unione sarda"

La vittima è un cagliaritano di 40 anni sieropositivo: si è suicidato legandosi attorno al collo un laccio da scarpe


Detenuto s'impicca a Buoncammino


Vani i soccorsi: la morte dopo tre giorni in ospedale
Era coperto con un lenzuolo e aveva un laccio da scarpe stretto attorno al collo: così, mercoledì scorso, gli agenti di Buoncammino hanno trovato Mario Melis, 40 anni, cagliaritano. L'uomo era privo di conoscenza. La corsa fino all'ospedale Santissima Trinità, il ricovero nel reparto di Rianimazione con una diagnosi che parlava di principio di strangolamento, poi quello che era parso un miglioramento: la terapia sembrava aver avuto buon esito. Il quarantenne, sieropositivo e affetto da epatite, era stato trasferito in una stanza del reparto Infettivi, sorvegliata ventiquattr'ore su ventiquattro dalla polizia penitenziaria. Qui, nei giorni scorsi, la situazione è precipitata: il paziente è morto ieri poco dopo le 13, dopo tre giorni di ricovero. Sarà un'autopsia a chiarire le cause del decesso. Fuori fra un annoA Buoncammino, Mario Melis era entrato tre mesi fa: ne sarebbe uscito fra un anno. Il 10 agosto scorso era stato bloccato dai carabinieri in via Flavio Gioia, con nove dosi di cocaina, due di eroina e quattro di metadone: accusato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, era stato arrestato. Poco dopo, la condanna: fine pena, aveva stabilito il giudice, dicembre 2006. Un termine che Mario Melis ha preferito non aspettare. «Era un detenuto molto tranquillo», racconta il direttore del carcere cagliaritano, Gianfranco Pala: «Mai dato problemi, mai manifestato segnali di malessere che potessero far sospettare intenzioni suicide. A causa delle sue precarie condizioni di salute, dovute a una lunga dipendenza dall'eroina e a infezioni da Hiv e Hcv, era tenuto sotto costante controllo». Mario Melis non era l'unico ospite di Buoncammino in ricovero al Santissima Trinità: nell'ospedale di via Is Mirrionis risultano ancora ricoverate due persone in regime di detenzione. Occupano due stanze guardate a vista dagli agenti penitenziari. Carceri e misteriSuicidio? Morte dovuta alle infezioni in corso? Quando qualcuno muore in carcere, niente sembra essere scontato. A Buoncammino non ci si attendono grosse sorprese dagli esami necroscopici: quantomeno, però, si tratta di capire il ruolo che il principio di strangolamento può aver svolto in un quadro clinico già seriamente compromesso. Morti senza rispostaLe cronache giudiziarie, a proposito di morte in carcere, hanno consegnato alla storia alcuni casi ancora non chiari a dispetto di anni di indagini, ricerche, accertamenti. Il più celebre, riportato di recente agli onori delle cronache da due interrogazioni parlamentari ancora in attesa di risposta, è quello di Aldo Scardella: incarcerato vent'anni fa con l'accusa di aver partecipato a una rapina, il giovane cagliaritano venne trovato morto in cella con tracce di metadone nel sangue, senza che mai fosse stata accertata una sua tossicodipendenza. Ma sono morti misteriose anche quelle, più recenti, di Sergio Fadda, Claudio Camba e Claudio Murgia. Il primo, un giovane cagliaritano che scontava a Buoncammino una condanna per ricettazione, morì il 16 settembre 2001; il secondo, anch'egli in cella per ricettazione, morì la notte fra il 17 e il 18 ottobre dello stesso anno nel carcere di Iglesias; il terzo fu trovato senza vita tre giorni dopo a Buoncammino. Gli esperti nominati dal magistrato si trovarono nell'impossibilità di stabilire con certezza le cause dei decessi dovuti o a un sovradosaggio di farmaci oppure a un cocktail di antidepressivi e medadone, alcol, fumo, oppure addirittura a gas propano aspirato dalle bombolette per i fornelli: qualche mese fa, in un'aula del palazzo di giustizia, hanno spiegato che la causa era la mancanza di reperti istologici per le analisi cliniche. Ed è mistero, ancora, sulla morte di Rinaldo Ermatosi, cagliaritano di 36 anni, morto due settimane fa nel carcere di Isili in circostanze ancora tutte da chiarire: il decesso, secondo le prime ipotesi dei medici legali, potrebbe essere dovuto a broncopolmonite o a overdose. Ma i familiari dell'uomo sostengono che non si drogasse e sollevano dubbi sui modi in cui l'amministrazione carceraria ha gestito le informazioni su quanto avvenuto. Marco Noce







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Pestaggi a Sollicciano - Firenze
by Volontari e associazioni carcere Monday, Dec. 05, 2005 at 8:10 PM mail:





Firenze, 5 dicembre 2005 - Pestaggi a Sollicciano



Noi sottoscritti gruppi e associazioni di volontariato denunciamo con la presente gli episodi di violenza e intimidazione verificatisi all’interno del Nuovo Complesso Penitenziario di Sollicciano nel corso del mese di novembre dell’anno 2005. Dei seguenti episodi siamo venuti a conoscenza parlando con detenuti direttamente coinvolti o testimoni degli episodi stessi, in alcuni casi potendo constatare personalmente segni di percosse, e attraverso il racconto di terze persone che a vario titolo operano nel carcere di Sollicciano:

** Mercoledì 2 novembre: violenze ai danni di un detenuto italiano e di uno arabo nella cella 17 della VII sezione
** Venerdì 4 novembre:
- pestaggio di tre detenuti (due arabi e un italiano) nella cella 15 della VI sezione;
- in V sezione (dove sono concentrati i detenuti albanesi), durante la battitura delle sbarre per protesta contro le condizioni di detenzione, agenti con il volto coperto entrano ed escono dalle celle minacciando violenze ai danni dei detenuti;
** Martedì 8 novembre: una quindicina di agenti hanno picchiato un detenuto senegalese mentre da un cortile di passeggio lo portavano alle celle di isolamento; nella stessa occasione, cinque detenuti di nazionalità albanese sono stati picchiati durante il trasferimento dal ‘cellone’ che occupavano ad altre sezioni. La vicenda è già stata denunciata nel comunicato stampa del gruppo Dentro e Fuori le Mura del 12 novembre scorso. Benché esplicitamente sollecitata in tal senso, non risulta che la Magistratura di sorveglianza sia mai intervenuta in merito.
** Giovedì 17 novembre: pestaggio di un detenuto rumeno appena giunto a Sollicciano e rinchiuso nella cella 13 della VI sezione.

Alcuni di questi episodi e altri di cui al momento non conosciamo i dettagli sono stati segnalati al Direttore dell’istituto penitenziario, dott. Cacurri, e al Comandante della Polizia Penitenziaria, Masciullo, nel corso di una riunione tenutasi presso gli uffici della Direzione del carcere nella mattinata di sabato 26 novembre 2005. All’incontro hanno preso parte: Giuliano Capecchi (associazione Pantagruel), Alessio Scandurra e Giuseppe Caputo (associazione L’Altro Diritto), Marco Lombardo (ARCI), Nicola Zuppa (coordinatore della scuola).
Nella stessa sede è stato fatto esplicito riferimento ai comportamenti posti in atto dall’ispettore Santoro, incaricato del servizio di custodia nel reparto giudiziario a partire dal mese di ottobre. Il Direttore ha peraltro precisato di aver personalmente provveduto al trasferimento dell’ispettore dal servizio alla rotonda centrale al servizio al reparto giudiziario per “riportare l’ordine”, ritenendo troppo “morbidi” i metodi utilizzati dai precedenti ispettori. Risulta da più fonti che l’ispettore Santoro:
a) è solito recarsi all’interno delle sezioni del reparto giudiziario con un manganello in vista;
b) in più occasioni si è recato all’interno delle sezioni indossando una divisa priva di mostrine e ha preso a schiaffi i detenuti che si sono rivolti a lui chiamandolo “agente”;
c) in più occasioni, nel corso di colloqui tenuti nell’ufficio del comandante da lui occupato, ha preso a schiaffi e intimidito i detenuti che gli stavano di fronte;
d) nella mattinata di mercoledì 23 novembre si è recato nel cortile di passeggio della IV sezione (e forse anche di altre sezioni) dicendo ai detenuti che erano arrivate al direttore delle lettere contro di lui, che se avevano cose da dire le dicessero direttamente a lui; poi scherzando minacciava;
e) ha più volte mostrato ad altri agenti un fotomontaggio raffigurante il suo volto sovrapposto a quello di Padre Pio e sovrastato dalla scritta “Dio perdona, io no”.

Comportamenti violenti e intimidatori nei confronti dei detenuti sono stati del resto posti in atto nel corso del mese di novembre anche da parte di altri esponenti della Polizia Penitenziaria in servizio al carcere di Sollicciano, autonomamente quindi dal ruolo dell’ispettore Santoro. E’ stato riferito ad esempio da un detenuto che il 16 novembre nell’ufficio del maresciallo è stato picchiato da due graduati mentre il capoposto lo tratteneva per un orecchio.
Risulta altresì che nel corso delle ultime tre settimane sono state poste in atto operazioni volte a coprire le violenze stesse. In particolare:
- il clima di intimidazione e di paura tra i detenuti è tale che ormai non soltanto i detenuti rifiutano di denunciare penalmente e anche solo di riferire quanto subito o visto, ma una decina tra quanti sono stati direttamente coinvolti o testimoni di violenze e intimidazioni hanno firmato una lettera nella quale smentiscono preventivamente qualunque voce o comunicato stampa sui pestaggi.
- alcuni dei detenuti che hanno subito violenze e intimidazioni sono stati ammessi o sono in attesa di essere ammessi al lavoro all’interno del carcere, previo ottenimento del codice fiscale.
- dopo essere stati picchiati, i detenuti sono stati spostati dalle proprie celle alle celle di isolamento o di altre sezioni senza essere sottoposti ai necessari accertamenti e cure mediche nelle infermerie o nel centro clinico. Di conseguenza, non esiste alcun referto che attesti le conseguenze delle violenze.
- nel corso del già citato incontro di sabato 26 novembre e in successivi colloqui tra volontari e autorità penitenziarie, queste ultime hanno inteso ‘spiegare’ l’intervento degli agenti con la necessità di dividere detenuti che si stavano picchiando tra loro o di rispondere a violenze commesse dai detenuti contro gli agenti stessi. A sostegno di questa tesi, in alcuni casi gli agenti hanno preventivamente fatto rapporti disciplinari contro alcuni dei detenuti picchiati e uno di essi e’ già stato portato davanti al Consiglio di Disciplina.
- alcuni volontari che hanno provato ad assumere informazioni sulle violenze e le intimidazioni verificatesi sono stati minacciati dal Direttore e dal Comandante di essere segnalati al Giudice di Sorveglianza perché li escludesse dalla facoltà di entrare nel carcere (art.17 dell’Ordinamento Penitenziario).

Chiediamo l’allontanamento immediato dell’Ispettore Santoro e degli altri agenti resisi responsabili di violenze e intimidazioni ai danni dei detenuti.
Chiediamo che le autorità giudiziarie competenti (Magistratura di Sorveglianza e Procura della Repubblica) indaghino su questi gravi episodi che contrastano nettamente con l’ art. 27 della Costituzione comma terzo (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”) e con l’Ordinamento Penitenziario legge 26 luglio 1975 n° 354 art. 1 comma uno(“Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”).
Invitiamo parlamentari e consiglieri regionali ad effettuare visite ispettive a Sollicciano e le autorità politiche in generale a non lasciar cadere nel vuoto questa denuncia, ad esempio presentando nelle sedi competenti interrogazioni in merito a questi fatti.
Invitiamo volontari, operatori, detenuti, loro familiari ed ex-detenuti a conoscenza di fatti relativi alle violenze e alle intimidazioni delle ultime settimane a rompere il silenzio rendendoli pubblici.

Dentro e Fuori le Mura,
Redazione Fuori Binario,
Associazione Pantagruel,
Movimento di Lotta per la Casa,
Casa dei Diritti Sociali,
Associazione Aurora,
Comunità dell’Isolotto,
Associazione Periferie al Centro,
Don Alessandro Santoro,
Comunità di base delle Piagge,
Associazione per l'Altro,
L'Altracittà

per contatti:

Christian 339 1300058
Luca 347 4150835





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[To] Rifiutata la liberazione per gli anarchici arrestati il 20 luglio.
by Uno degli arrestati Saturday, Dec. 10, 2005 at 5:32 PM mail:

Rifiutata la liberazione per gli anarchici arrestati il 20 luglio

Il GIP Prunas Tola, degno rappresentante della razza dei Ponzio Pilato
e succubo dei due boia Laudi e Tatangelo, ha respinto l?istanza di
liberazione nei confronti di Tobia, Mauro, Manu, Andrea e Darco.
La decisione era scontata, visto che lo stesso giudice aveva rifiutato
la liberazione di Sacha e Fabio, presentata a novembre.
Continua la persecuzione nei confronti degli antifascisti torinesi,
privati della libertà da ormai 4 mesi e mezzo. Gli arresti sono stati
ordinati da Tatangelo che continua ad opporsi ad ogni istanza di
liberazione.
Nella stessa condizione si trovano Roberto, Enrico e Luca (gli ultimi
due accusati per gli scontri al CPT). Ci sono altri 10 accusati a piede
libero.
Il 22 dicembre si terrà l?udienza preliminare ma non vi sono ancora
elementi che facciano presumere una prossima liberazione. Gli arrestati
potrebbero continuare ad essere ostaggio dello Stato, da usare come
spauracchio nei confronti di chi lotta a Torino e in Val Susa.

E? chiaro l?accanimento repressivo ? al di fuori di ogni consuetudine -
di tenere in stato di detenzione, prima del processo, persone colpevoli
solo di aver manifestato il proprio antifascismo. Non solo le accuse
(devastazione e saccheggio) sono sproporzionate all?entità dei fatti
(distruzione di una vetrina, un distributore in plastica di coni
gelato, 40 sedie, 13 tavolini, 6 posacenere, 4 portatovaglioli e furto
di qualche gelato) ma nessuna prova presentata dall?infame Tatangelo
accomuna gli arrestati a questi danneggiamenti.
Nella marea di immagini presentate vi è documentata solo la loro
partecipazione al corteo prima della carica della polizia, tanto che è
lo stesso PM a dichiarare ?Per quanto riguarda ciò che fu direttamente
visto da funzionari di polizia e agenti, va tenuto conto del fatto che
? come spiegato da costoro ? essi ebbero modo di vedere i manifestanti,
concentrarono l?attenzione su taluno di essi, in modo nitido fino al
momento del primo scontro in via Po. Dopo tale tentativo di sfondamento
del cordone di polizia [?] i manifestanti [?] arretrarono lungo la via
Po [?] senza essere inseguiti dalle forze dell?ordine. E senza poter
essere nemmeno in tali frangenti individuati?.
E? vergognoso che Prunas continui a non liberare nessuno con la
motivazione che ?la considerevole gravità dei fatti renda tuttora
attuale il pericolo di recidivanza, pericolo che proprio per tale
gravità possa essere salvaguardato quantomeno con la misura degli
arresti domiciliari?.
Fino a quando dovranno salvaguardare? E che cosa?
Ormai non vi sono più dubbi che viviamo in uno stato di polizia,
gestito dal governo, opposizioni e magistratura compiacente.
I diritti del cittadino, le libertà costituzionali per cui morirono
migliaia di partigiani oggi continuano ad essere calpestate, mentre i
veri devastatori e saccheggiatori, finanzieri e politicanti, possono
impunemente ?rubar quel ch?è di tutti? senza mai fare galera.
La legalità dei destri e dei sinistri (Cofferati, Bresso e Chiamparino
docent) è solo un?arma da usare contro i più poveri, gli immigrati ed i
ribelli.
I fatti di questi giorni, la risposta compatta della Val Susa
all?aggressione delle truppe d?occupazione di Pisanu, dimostrano che la
repressione non riuscirà a fermare le lotte.
Sarà dura!

Uno degli arrestati

TORINO-7-DICEMBRE-2005

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