Manifestazione contro l´arresto di tre disobbedienti. Nessun incidente, duri slogan contro il sindaco. Duemila in corteo a Bologna, protesta sotto il Comune.
BOLOGNA - Il camion disobbediente, issando la bandiera dei pirati, punta dritto sul portone chiuso di Palazzo d´Accursio, il municipio merlato di Bologna, ma si ferma a un metro dall´impatto. Ed è il riassunto perfetto di un pomeriggio che insieme evoca e scaccia i fantasmi di un altro conflitto fra «movimenti» di ultrasinistra e sindaco, quello del funesto ´77 bolognese. Succede a Bologna una cosa impensabile un anno fa: il primo corteo contro l´uomo dei grandi cortei. Lui fece tre milioni, loro saranno pochi più di duemila, ma per il sindaco Sergio Cofferati è lo stesso una prova del fuoco. Superata senza bruciature. Nessuna vetrina rotta, due o tre scritte murali, fumogeni colorati e qualche fuoco d´artificio incongruo nel cielo azzurrissimo. Gliene hanno dette di tutti i colori, al sindaco che «da quattro giorni tace sull´arresto dei nostri tre compagni», sul sindaco «della legge e dell´ordine», che vieta perfino di bere la birra in strada. Ma hanno deciso, almeno per ora, di «non alzare il livello dello scontro». Forse perfino di dargli una possibilità. Cofferati commenterà oggi, domenica. «Reciterà l´Angelus», ironizza il capo disobbediente Luca Casarini, ma non è così vero che «quel che dirà non ci interessa più perché ha già parlato la piazza», come si sgola lo speaker Gianmarco De Pieri dagli altoparlanti. È partita aperta a Bologna fra la sinistra dei movimenti e il sindaco. Ma sul campo gli sfidanti non fanno gol. Duemila sono pochi per una manifestazione «nazionale» con benedizioni illustri, Bertinotti compreso, e il motivo più mobilitante che c´è: l´arresto di tre «fratelli». «Cofferati la città ti grida: questo non è il tuo cortile», ma non è vero, non è «la città» che grida, senza rinforzi forestieri i ribelli bolognesi avrebbero messo assieme poche centinaia di persone. La testa del corteo parla il dialetto di Casarini, «Xè rivà i compagni de Milàn?», gli striscioni dicono: Marche, Reggio, Milano. Bologna, ce n´è davvero poca. Si notano personalità d´importazione, il no global Caruso, il cappellano ribelle don Vitaliano Della Sala, il segretario Fiom Cremaschi che spiega che «legalità non è una parola di sinistra», qualche onorevole dei Verdi; ma non si vedono i firmatari più illustri dell´appello degli intellettuali cittadini per la liberazione dei tre arrestati. La Bologna del sabato sta sotto i portici. Solo un negozio su tre ha abbassato le saracinesche per prudenza: gli altri si fidano della tranquillità del sindaco, e per i baristi è una manna di bottigliette e gelati. I «duri» dei collettivi sfilano davanti al McDonald di via Indipendenza, protetto da un muro di poliziotti corazzati, senza degnarlo di uno sguardo. Un nemico alla volta. Oggi lo «schiaffo democratico e legalitario» è per il Cinese, trasformato nel barbuto di una celebre birra, etichetta: «Chiamami Peron». Negli slogan il nome di Cofferati batte dieci a uno quelli del pm Giovagnoli e del procuratore De Nicola, bersagli ufficiali di questo corteo che vuole «liberi subito» Carmine, Fabiano e Vittorio, i tre occupanti arrestati giorni fa con l´accusa di «eversione dell´ordine democratico». Il bersaglio grosso è lui, il sindaco che chiede «il rispetto della legalità», lui e tutto quello che per loro rappresenta: l´eterno volto «repressivo» della sinistra istituzionale. «I fascisti di sinistra sono fra noi», «Nella città di Cofferati siamo tutti sovversivi». Non è il ´77, ma un parallelo qualcuno lo tenta: «Cofferati non Lama nessuno» dice un cartello, però lo capiscono solo i quarantenni. «Se fosse un nuovo ´77 non sarebbe andata così liscia», commenta sollevato Valerio Monteventi, consigliere comunale di Rifondazione ma anche anima del Bologna social forum, quando, dopo tre ore a passo di lumaca per coprire un chilometro, il corteo si scioglie in piazza Maggiore. Con lui respirano i dirigenti locali di Rifondazione, che il corteo l´hanno fatto camminando sui vetri. «Qui in mezzo non decidiamo niente, ma se succede qualcosa le conseguenze le paghiamo noi», sintetizza un consigliere di quartiere del Prc. Loro, che in Comune votano per Cofferati e oggi sono qui (ma senza il loro assessore) a sfilargli addosso, pensano che la loro missione sia «non tagliare i ponti fra la sinistra istituzionale e quella dei movimenti», e rischiano di prenderle da entrambi. Si piazzano alla coda del corteo, pronti a intervenire o, alla peggio, a sfilarsi se degenera. Non succede, e il segretario cittadino Loreti, dopo aver tuonato davanti ai cronisti contro il sindaco, «la smetta di parlare di legalità, lo vede che non è successo nulla», in disparte mormora impaziente «sì però adesso andiamo tutti a casa». Dal camion leggono un messaggio dal carcere degli arrestati: «Legalità non è sinonimo di giustizia»; la piccola piazza intona «Boo-logna li-be-ra» e finisce qui, nei confini della disprezzata «legalità».
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L´ANALISI Le difficoltà dell´Ulivo, le critiche dei disobbedienti a Cofferati, l´insofferenza di Rifondazione. E la città della sinistra si scopre l´epicentro di una triplice crisi. Dietro la protesta di piazza l´incubo del Settantasette. Il sindaco assediato da molti versanti: da una parte i commercianti, dall´altra deve scontrarsi con l´extrasinistra. Le possibili ripercussioni sulla fabbrica del Professore dopo lo strappo di Rutelli con il no alla lista unitaria dell´Ulivo.
Che cosa succede, nella Bologna di Cofferati, Prodi e dei no global? È un altro Settantasette, come dicono quelli che hanno in mente Radio Alice e "Bifo", magari con la consulenza storica dei Wu Ming e la mediazione cinematografica del film di Guido Chiesa "Lavorare con lentezza" (EH BASTA CON 'STO CAZZO DI '77!!!!!)? Per la verità Bologna, la capitale morale del centrosinistra, «banco di prova per il centrosinistra con valore nazionale» secondo il Cinese, non sembra guardare volentieri a corsi e ricorsi storici. Certo, il Resto del Carlino mette a pagina due un tonitruante Francesco Cossiga con una delle sue rivelazioni a effetto: «Nel ‘77 volevo usare i parà», ovvero il reggimento paracadutisti del Tuscania, «cui diedi l´ordine di indossare il basco rosso cremisi». Ma per il resto regna un clima un po´ allibito, perché in effetti si ha la sensazione che in questi giorni l´atmosfera politica sia diventata poco comprensibile. Anzi, di più: indecifrabile, enigmatica. Bologna si è trasformata nella camera di scoppio di una triplice crisi. La crisi romana dell´Ulivo di Prodi, la crisi del "decisionismo peronista" di Cofferati, la crisi di una sinistra scossa dai disobbedienti di Luca Casarini, ma anche dall´insofferenza di Rifondazione comunista per il "law&order" del sindaco, cioè dall´eterno contrasto fra riformisti e oltranzisti. Oggi, la Fabbrica del Programma è chiusa, ma alcuni degli operai prodiani si trovano in giro per la città, sguardo un po´ assente, l´aria di chiedere: e adesso? A Roma, l´affondo secessionista di Francesco Rutelli e Franco Marini, che ha buttato per aria la lista unitaria, ha rivelato impietosamente che "Romano" è un leader senza partito, un generale senza esercito. Si era pure arrabbiato di brutto, il Professore, con i suoi fedelissimi negli ultimi tempi: ma come è possibile, torno da Bruxelles e scopro che la Margherita che vi è scappata completamente di mano? I fedelissimi si stringono nelle spalle e commentano con espressione disarmata il grido di Prodi, dalla Cina con furore: «Ha ragione, è un suicidio». Sospira e risospira Giulio Santagata, che ieri ha gestito con pragmatismo tutto padano la crisi-Casarini, precipitandosi da Roma per fronteggiare l´occupazione della Fabbrica da parte dei no global, e ha l´aria di quello è stato bravo a trovare un ombrello sotto il temporale improvviso di Bologna mentre però a Roma si scatenava il diluvio: «Fra di noi c´è chi pensa al modello Honolulu, qualcun altro allo schema giapponese». Fuor di metafora: se tutto va a catafascio, ci si può sempre rifugiare alle Hawaii, Prodi e gli intimi, camicia a fiori e bye bye. Come il Mago Merlino nella Spada nella roccia, quando si scoccia di Artù. Come Silvio Berlusconi e la minaccia delle cartoline dalle Bahamas. Come tutti quelli che sono costretti al gran rifiuto. Oppure c´è il modello dei giapponesi nella giungla: «Ci si acquatta dentro la Margherita, con un fucile, un pugno di riso e il viatico dell´imperatore, e si aspetta che finisca la guerra». E pensare che fino a ieri la Fabbrica era tutta un fervore, era andato benissimo il brain storming sull´immigrazione, ed era stato programmato il "tour" nazionale, quattro date a Manfredonia, Salerno, Bassano del Grappa e Milano. Adesso, mah. Mentre Prodi è a Mosca, il suo vicario Arturo Parisi, chiuso nella sua casa bolognese, a tentare di sconfiggere un attacco di influenza, sta provando a elaborare la linea di riserva. Ma se fosse che il centrosinistra all´improvviso ha messo allo scoperto tutte le sue crepe? Una crepa storica, quell´attrito fra ex democristiani ed ex comunisti, un conflitto politico e culturale che non si riesce a sanare, se è vero che Francesco Rutelli ha recuperato nel lessico della Margherita espressioni come «l´egemonia dei comunisti». I comunisti, per la soddisfazione di Berlusconi, che difatti ha apprezzato moltissimo. Seconda crepa, la crepa Cofferati, vale a dire la sorpresa, a sinistra e oltre, di un sindaco che colpisce senza parlare, fa sgombrare gli abusivi romeni e kossovari: nel nome di una strategia di rispetto della legalità come valore della sinistra, secondo il «partito bolognese», cioè la vecchia guardia, gli apparati, i ceti sociali e l´opinione pubblica legati allo stile del vecchio Pci, ai sindaci d´antan come Renato Zangheri (quello che nel Settantasette secondo gli autonomi «mente sapendo di mentire», mentre gli indiani metropolitani scrivevano ironicamente "We want Zangheri for Pepsodent"). Altro che svenevolezze riformiste: per Rifondazione e i movimenti, infastiditi per i divieti sull´alcol in centro dopo le 21 introdotti dal Cinese, "chiamami Peron, sarò la tua birra". Tanto che Valerio Monteventi, indipendente in consiglio comunale per Rifondazione, giunge più o meno alle stesse conclusioni di Francesco "Bifo" Berardi, «meglio Guazzaloca, almeno era furbo». L´ex sindaco in effetti riceveva i movimenti, negoziava con Monteventi a proposito del rave party annuale, discuteva il percorso del corteo, tentava di ridurre al minimo l´irritazione della cittadinanza per il rumore, le lattine, le cartacce, insomma faceva sfoggio di duttilità petroniana alternando sapientemente sorrisi e durezze. Mentre Cofferati va giù duro, fra gli applausi dell´ala "governativa", cioè di quelli come il costituzionalista Augusto Barbera, che di fronte alle accuse di "militarizzazione" del centro storico avanzate dai movimenti risponde che la zona universitaria di Piazza Verdi «è diventata il luogo d´incontro degli spacciatori di mezza Italia», sicché Cofferati starebbe soltanto cercando di riportare l´ordine dopo 15 anni di degrado senza terapie. Ma per la verità i disobbedienti, altro che militarizzazione, parlano di «spirale della repressione» come ai tempi di Guattari, e come ha riportato su Repubblica Michele Smargiassi, addirittura di un´orchestrazione contro i movimenti sulla base di un accordo triangolare fra prefetto, sindaco e questore per «carcerizzare le lotte sociali»; e lamentano che gli arrestati per storielle di occupazione o autoriduzione siano trattenuti a tempo indeterminato in base alle vecchissime leggi antiterrorismo, «proprio quelle di Cossiga», accusati di «eversione dell´ordine democratico». Quindi Cofferati sembra assediato da troppi versanti: da una parte ha i commercianti che si lamentano per la chiusura del centro alle auto, dall´altra sempre i commercianti che temono danni dal corteo dei no global, lungo via Indipendenza fino a Piazza Maggiore, con i seguaci di Luca Casarini che provano a riscaldare opportunamente il clima delle lotte contro la città simbolo. Inutile fare gli schizzinosi: la sinistra di governo deve fare i conti con tutto questo, compreso anche il sofisticato Fausto Bertinotti che naturalmente «comprende le pratiche sociali» di lotta e «condivide» le finalità espresse dai cinquanta occupanti della Fabbrica prodiana. Poi magari, passato senza danni materiali il corteo no global, l´incubo del nuovo Settantasette si dissolverà. Ma uscito dalle secche Cofferati, ritrovato un equilibrio (forse) fra riformisti e massimalisti in loco, dimenticate le boutade di estrema sinistra sul «buon uomo» Guazzaloca, il ritorno del sereno su Bologna è tutt´altro che automatico. Nel suo ufficio in Strada Maggiore, a due passi dalle Torri, Romano Prodi dovrà meditare su una sequenza di scosse ondulatorie e sussultorie che possono determinare una ristrutturazione radicale del panorama politico, fino mettere alla prova alla sua leadership. Certo è che se Prodi vacilla, barcolla anche tutto il centrosinistra; se Cofferati si scontra con l´extrasinistra, se sugli equilibri del centrosinistra si proietta il peso ideologico di Rifondazione comunista, entra in tensione anche l´intero arco dell´Unione: e allora si capisce che cos´è in questo momento Bologna, una città che non è né un emblema né un sintomo, ma è semplicemente un epicentro.
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