Il riesame cancella l'ordinanza che li accusava dei «pacchi» del 2001.
Erano il gruppo più numeroso dei tanti «anarco insurrezionalisti» arrestati a maggio (24 in tutto, sparpagliati in tutta la penisola). Accusati di essere il fulcro organizzativo di quella «Fai, federazione anarchica informale» nata a Natale del 2003 con i pacchi incendiari all'allora presidente dell'Ue, Romano Prodi e quindi inviati a carceri e caserme, ma - secondo l'accusa - passati all'azione già con pacchi e pentole incendiarie che funestarono la vigilia del G8 del luglio 2001. Eppure ieri il tribunale del riesame di Bologna presieduto da Liviana Gobbi ha deciso di scarcerare tutti e sette gli arrestati del 26 maggio scorso. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata completamente annullata per tutti gli indagati, anche se solo nei prossimi giorni si conosceranno le motivazioni che hanno portato a ritenere inconsistenti accuse pesanti, che vanno da «associazione sovversiva» (270 bis), propaganda, rapina ad una serie di attentati terroristici. In carcere per il momento rimangono solo D. C. e V. S. su ordine della procura di Roma, anche se pure per loro l'udienza del Riesame fissata per martedì potrebbe ribaltare le accuse.
Il procuratore di Bologna, Enrico Di Nicola, ha già promesso battaglia in Cassazione. Ma che le prove contro gli arrestati fossero «insufficienti per addebitare fatti specifici», l'avevano scritto persino i carabinieri del Ros nell'ultima informativa consegnata agli inquirenti prima della «retata». Secondo l'accusa la prova che il gruppo abbia costruito prima la «Cooperativa anarchica fuoco e affini» sarebbe in buona parte nella solidarietà espressa da tutti a Mario Deiana, il giovane anarchico che il 17 giugno del 2001 si era suicidato buttandosi sui binari dell'eurostar per Modena. Come dimostrano alcune intercettazioni, quasi tutti gli arrestati avevano contribuito a scrivere un volantino di solidarietà a Deiana diffuso a fine giugno («A fuoco gli avvoltoi»). Quando hanno visto che il nome di Deiana compariva anche nel volantino che rivendicava i pacchi del 2001, gli inquirenti si sono convinti di aver trovato il gruppo giusto. «Quell'ordinanza è sbagliata fin da questo primo passaggio - dice Desi Bruno, una dei legali - da quella espressione di solidarietà alla firma di un attentato ce ne corre».
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