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Il "Patrioct act" di Tony Blair: arresti domiciliari per tutti i presunti terror
by Liberazione Monday, Jul. 11, 2005 at 1:28 AM mail:

«Che cosa fa un governo quando ha a che fare con un pugno di indesiderabili la cui colpevolezza è difficile da dimostrare in tribunale?», si chiede retoricamente l'editoriale della scorsa settimana dell'autorevole magazine inglese The Economist. «Naturalmente, li sbatte in carcere senza processo» è la risposta ironica. Né la domanda e né la risposta sono campate in aria. Nei fatti questo è il modo in cui il governo del premier Tony Blair si comporta nei confronti delle persone sospettate di terrorismo.

A seguito dell'attentato alle Torri Gemelle il governo britannico incarcerò indefinitivamente senza processo sedici musulmani extra-comunitari utilizzando leggi d'emergenza. Furono in molto a parlare di una "mini-Guantanamo" britannica. La carcerazione preventiva subì un colpo fatale lo scorso dicembre quando i Law Lords - l'equivalente dei giudici della Corte Costituzionale italiana - la dichiararono incompatibile con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. «Non esiste alcun stato di emergenza che metta a repentaglio la vita della nazione» sentenziò Lord Hoffman, uno degli autori della sentenza, smontando così l'intero impianto giuridico su cui faceva affidamento il governo britannico per derogare dalla Convezione. Lord Scott rincarò la dose dichiarando che quando uno Stato può incarcerare un indiziato a tempo indeterminato senza fargli vedere le prove a suo carico, quello che si apre è «un incubo che pone il Regno Unito al fianco delle peggiori dittature del passato».

Tuttavia, il governo, rischiando una grave crisi costituzionale, prese tempo e non rilasciò i detenuti come sarebbe stato naturale a seguito della sentenza dei Lords. «La mia principale responsabilità è quella di proteggere la gente. Non riconosco i loro diritti come assoluti. Ci sono persone e organizzazioni che seriamente intendono distruggere la nostra società. Viviamo in uno stato di emergenza» rilanciava così, in un'intervista al quotidiano conservatore Daily Telegraph il ministro dell'Interno Charles Clarke. Nel corso della stessa intervista il ministro propugnava la necessità di monitorare non solo le attività dei presunti terroristi ma anche quelle delle loro famiglie, amici e conoscenti. «Potenzialmente, potrebbero essere perquisiti giornalmente sebbene non siano accusati di alcun reato» concluse Clarke.

Con l'approssimarsi della elezioni politiche del 5 maggio 2005, la questione «sicurezza» sta acquistando enorme importanza nell'agenda politica pre-elettorale di Blair. Ed in linea con l'offensiva alle libertà civili volta ad appagare quella parte di elettorato più avverso all'integrazione razziale e che evidenzia sempre più una mal celata avversione a coloro che si professano di fede musulmana, il governo ha annunciato una legge che prevede, tra le altre cose, gli arresti domiciliari per presunti terroristi sul solo ordine del ministro degli Interni. La legge sarebbe applicabile anche ai britannici e ai cittadini comunitari. Ma i casi di sospetti terroristi non sono i soli per cui i principi dello stato di diritto e del sistema giuridico sono stati calpestati. Il governo, per combattere alcuni reati minori, ha dotato le forze di polizia di poteri non meno draconiani di quelli utilizzati nella guerra permanente al terrore. Questi nuovi poteri di arresto sono utilizzabili nei confronti di vicini rumorosi, bande giovanili, ubriachi e mendicanti.

Queste nuove leggi permettono alla polizia di bypassare le normali procedure previste dal codice quando sospettano qualcuno ma non hanno abbastanza prove per rinviarlo a giudizio. Per esempio, ad un sospetto spacciatore potrebbe essere vietato l'uso del cellulare, uno strumento essenziale per la sua presunta attività criminale. Se venisse sorpreso con un telefonino all'orecchio potrebbe essere arrestato e incarcerato senza passare per un tribunale. Ma la questione del giorno è la proposta degli arresti domiciliari preventivi. Ieri Blair, nella sua residenza ufficiale di Downing Street, ha incontrato i leader dei due gruppi parlamentari di opposizione, in quello che i giornali hanno definito un «inusuale summit anti-terrorismo». Charles Kennedy per i liberal-democratici e Michael Howard per i conservatori hanno ribadito la loro contrarietà al modo in cui il governo intende sacrificare le libertà civili a favore di un presunto «stato di emergenza» che giustificherebbe l'eventuale applicazione di misure eccezionali per combattere la minaccia terroristica sul suolo britannico. «La questione di fondo è se la libertà individuale può essere decisa da un politico individualmente senza tener conto del processo giuridico. Questo è un punto essenziale della democrazia britannica e pertanto ritengo di no» ha dichiarato Kennedy dopo l'incontro col primo ministro.

Nonostante l'ampia maggioranza parlamentare ai Comuni, la proposta di legge rischia seriamente di arenarsi nella Camera dei Lords se i conservatori e liberal-democratici votassero insieme. Per bocca di Clarke i colloqui con l'opposizione sono stati «molto utili» ma lo stesso ministro degli Interni non ha fornito indicazioni su un eventuale cambio di rotta del governo. «I britannici sono fortunati - conclude l'editoriale del The Economist - le libertà che danno per scontate si sono sviluppate nel corso di mille anni e più. l'idea che un governo possa seriamente indebolirle sembra poco plausibile. Non è così».

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