Sì all'amnistia per i reati sociali, perché è giusto lottare per i diritti di tutti. Una proposta politica per ridare credibilità istituzionale ad una parola abusata
Amnistia rischia di essere una parola abusata. La chiedono i detenuti soprattutto durante l'estate, quando la vita nelle carceri diventa particolarmente insopportabile. La chiedono coloro che nelle carceri lavorano o le visitano regolarmente: dai volontari agli educatori, ai parlamentari, e che considerano insopportabile il sovraffollamento ormai strutturale e irreversibile. L'ha chiesta papa Giovanni Paolo II in una seduta solenne della Camera dei Deputati.
Di provvedimenti di amnistia e indulto per i reati commessi nei cosiddetti "anni di piombo" si era iniziato a discutere alla Camera nel 1997. Ma il parlamento non ha fatto nulla. Non ci sono i numeri per un atto di clemenza legislativo, perché nel 1992, all'epoca di "Mani Pulite", si è pensato bene di alzare il quorum necessario. L'articolo 79 della Costituzione, quella approvata dall'assemblea costituente del 1948, chiedeva la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, il clima emergenziale per reati di corruzione degli anni '90 ha portato il quorum ai due terzi. Tale requisito rende sostanzialmente vana una norma costituzionale, così il parlamento non è in grado di dar seguito a una propria prerogativa costituzionale.
Nei mesi scorsi la rete "Libertà di movimento" ha lanciato un appello per una amnistia per i reati sociali. Di che cosa si tratta?
In questi giorni i lavoratori del Sult sono di nuovo sotto accusa per aver dichiarato uno sciopero degli assistenti di volo per fine mese. Questi lavoratori pongono problemi seri, che riguardano i salari e le condizioni di lavoro, le prospettive di Alitalia e la questione della sicurezza. Sono problemi che interessano tutti, perché nonostante le statistiche dichiarino che gli incidenti diminuiscono, nelle ultime settimane molti aerei sono caduti e ci sono stati tanti morti. Il governo mette sotto accusa i lavoratori, ma i cittadini sono preoccupati e forse sono solidali con lo sciopero del Sult perché quella lotta è anche per loro. Così come i cittadini milanesi si erano identificati negli scioperi degli autoferrotranvieri di tanti mesi fa, quando dimostravano che è impossibile vivere con 850 euro al mese.
Quello che forse nessuno sa è che 45 dipendenti dell'Alitalia già nei mesi scorsi sono stati denunciati per interruzione di pubblico servizio, così come 4.450 tranvieri per aver esercitato il diritto allo sciopero previsto dall'art. 40 della Costituzione.
E potremmo parlare di tanti altri procedimenti giudiziari aperti contro lavoratori che hanno lottato per il diritto al lavoro: 310 lavoratori forestali, 40 operai della Thyssen-Kruppen, 250 operai della Fiat di Termini Imerese e Cassino, 120 dell'Alfa Romeo di Arese, 800 disoccupati napoletani.
A questi processi in corso vanno aggiunti quelli a carico di altre centinaia di persone, moltissimi giovani. Quali sono le loro colpe? Essi sono colpevoli di aver lottato contro la guerra, e perciò di aver bloccato convogli ferroviari che trasportavano armi; di aver difeso il proprio territorio da discariche nucleari, come a Scanzano e Acerra; di aver occupato case per i senza tetto, soprattutto immigrati; di aver manifestato contro i centri di permanenza temporanea e per i diritti dei migranti; di avere organizzato mobilitazioni per il diritto allo studio e azioni dimostrative contro il carovita.
E poi ci sono i processi per le manifestazioni di Napoli, Genova, Cosenza: i cosiddetti no-global. La somma di queste denunce porta a 8mila le persone sottoposte a procedimenti penali per reati sociali, cioè per aver lottato per i diritti di tutti.
Ma il conflitto sociale fa paura ai signori della globalizzazione capitalista. Non possono accettare che le povertà, le ingiustizie, le contraddizioni prodotte dalle loro politiche vengano messe sotto accusa. Vogliono invece che tutti accettino una condizione di precarietà perenne, e cioè di subalternità. Per questo, insieme e dopo le grandi repressioni di piazza, come quella in occasione del G8 di Genova, hanno pensato bene di agire sul versante del controllo (e perciò la nostra vita è perennemente sorvegliata da telecamere e diversi strumenti tecnologici) e dell'uso spregiudicato e fantasioso del codice penale.
Così, appena si organizza un presidio o un volantinaggio, sei certo che scatta pure il reato di resistenza a pubblico ufficiale, e da mesi è stato rispolverato il reato di travisamento.
Questo articolo del codice penale fa esplicito riferimento alle manifestazioni, all'uso dei caschi e dei fazzoletti durante le stesse, ma, su proposta della Lega che vorrebbe impedire alle donne musulmane di portare il velo, con il recente pacchetto anti-terrorismo la pena per questo reato è stata raddoppiata da uno a due anni. Le donne musulmane, fortunatamente, fin qui non sono state perseguite, ma così non sarà per i manifestanti.
E' giusto allora chiedere provvedimenti di amnistia anche per i reati sociali? Noi pensiamo di sì, perché se è necessaria per i poveri che stanno in prigione, è oppurtuna anche per chi si batte per i diritti di tutti e perché il conflitto sociale è un tratto indispensabile della democrazia.
Il percorso è tracciato, il dibattito è aperto. Della rete che ha lanciato l'appello fanno parte i giuristi democratici, varie organizzazioni sindacali, sociali e politiche, esponenti dei centri sociali. Qualche settimana fa si sono recati a Strasburgo, nella sede del Gue e i parlamentari di Rifondazione comunista hanno deciso di sollevare il problema nella commissione Libertà del Parlamento europeo. Non esiste una proposta di legge, esiste una proposta politica.
Amnistia è una parola abusata, ma ripartire dalle questioni sociali forse può essere un modo per ridare a questo termine una credibilità istituzionale. Graziella Mascia
|