Il FAI non esiste. E la procura di Bologna prende un granchio (l'ennesimo)
Altra inchiesta sbagliata per la magistratura bolognese. La Federazione Anarchica Informale (FAI) - della quale avrebbero fatto parte sette anarchici finiti in carcere nel maggio scorso con l'accusa di associazione sovversiva - in realtà potrebbe non essere mai esistita. A stabilirlo il Tribunale del Riesame di Bologna che lo scorso 6 giugno decretò la loro scarcerazione. Nelle motivazioni della sentenza, rese note, il 25 agosto scorso, i giudici sostengono che "nonostante la poderosa attività investigativa non è in realtà dato sapere se detta struttura abbia effettivamente preso vita, né chi, eventualmente, si celi dietro a essa o alle sigle federate". Quelle cioè che, dal luglio 2001, hanno rivendicato i plichi esplosivi che colpirono forze dell'ordine e istituzioni europee.
Il Tribunale del Riesame di Bologna (presidente Liviana Gobbi, giudici Mery De Luca e Anna Travia) ha radicalmente cancellato per i sette anarchici l'accusa di associazione con finalità di eversione dell'ordine democratico: "Il quadro indiziario - è scritto ancora nelle motivazioni - è totalmente carente laddove cerca di dar conto della costituzione del sodalizio criminoso tra gli indagati, si impoverisce ulteriormente laddove si tenta di dare sostegno indiziario al delitto associativo attraverso gli elementi raccolti a riprova dei reati-fine", cioè l'invio di plichi esplosivi e attentati incendiari.
Per questo i giudici avevano ordinato la scarcerazione di Lucia Rippa, Elsa Caroli, Mattia Bertoni, Tirteo Tavernese, Marco Bisesti, Danilo Cremonese e Valentina Speziali (questi ultimi due restarono in carcere per un'inchiesta della Procura di Roma).
Nelle 50 pagine delle motivazioni, l'inchiesta del pool antiterrorismo della procura di Bologna e la conseguente ordinanza del Gip vengono stigmatizzate punto per punto. L'accusa, secondo il Riesame, ha pure "violato il diritto di difesa", utilizzando intercettazioni telefoniche - bollate come "inutilizzabili" - di una precedente indagine (archiviata dal Gip) e le cui bobine erano state già "smagnetizzate", e che "non possono essere in alcun modo surrogate dall'acquisizione dei relativi verbali".
Secondo quelle intercettazioni fu la mano degli indagati a scrivere il volantino anarchico "A fuoco gli avvoltoi", diffuso a Bologna fra il 28 e il 29 giugno, fondamentale nell'impianto accusatorio.
Ma, stigmatizza il Riesame, anche violare la procedura penale non sarebbe bastato: "L'esame comparato fra detto documento e i volantini di rivendicazione dei fatti reato del luglio 2001 a firma Cooperativa artigiana fuoco e affini (occasionalmente spettacolare) non consente affatto l'emersione di analogie così palesi e significative tali da poter concludere che i due scritti siano opera degli stessi soggetti".
Fonte: Ansa
|