Forse anche in Italia le donne potranno abortire senza sofferenza fisica, se verrà autorizzata la diffusione della RU 468
Questo farmaco, meglio conosciuto come pillola abortiva, è arrivato finalmente anche da noi, ma non è ancora in vendita. Lo si sta sperimentando infatti all’ospedale S. Anna di Torino. Un ulteriore ritardo, dunque, visto che la RU 486 è già stata ampiamente testata da venti anni in altri paesi ed è usata in tutta sicurezza da milioni di donne in Spagna, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Austria, Danimarca, Grecia Finlandia, Germania, Svezia, Stati Uniti, Cina, Tunisia….
Preti ed organizzazioni antiaboriste hanno però reso sempre la vita assai difficile alla RU 486. E’ accaduto anche che i responsabili delle industrie farmaceutiche produttrici siano stati minacciati di morte, com’è accaduto ad esempio in Francia, quando nella fase di ricerca dovette intervenire il Ministro della Sanità, Claude Evin, ad ordinare di non interromperne la produzione cedendo ai ricatti e alle intimidazioni degli integralisti cattolici. In Francia la pillola abortiva è ormai in uso dal 1988. Il Italia, un barlume di speranza per il suo impiego sembrava essersi aperto nel 1990, quando Elena Marinucci, allora sottosegretario alla Sanità invitò la società farmaceutica responsabile della pillola abortiva a presentare formale richiesta per autorizzarne l’uso nel nostro Paese. Non se ne fece nulla: l’azienda ebbe addirittura paura di sfidare il Vaticano “in casa sua”.
A distanza di 15 anni, dopo mille cavilli burocratici, all’ospedale s. Anna di Torino è arrivato il permesso di usarla in via sperimentale. Ma gli ostacoli non sembrano ancora fugati, visto che il Ministro della Sanità, Francesco Storace, ha promesso altri controlli ed ispettori per controllare che tutto sia in regola. Un intervento di prassi? O piuttosto da porre in correlazione ai contemporanei richiami del cardinale di Torino, Severino Poletto?
Alla Chiesa cattolica, come noto, il fatto che le donne possano abortire non è andato mai giù. Se poi lo fanno senza sottoporsi anche alla sofferenza fisica di un intervento chirurgico, neppure a parlarne. Così monsignor Poletto non si è lasciata sfuggire l’occasione per rilanciare gli anatemi ecclesiastici contro l’aborto. In particolare contro la “peccaminosa” Ru 486, che consentirebbe di praticarlo in maniera facilitata. ''Se ad un’arma da taglio, come gli strumenti usati per un aborto chirurgico- ha detto il cardinale di Torino- affianchiamo, come metodo alternativo per uccidere un essere umano, una sostanza tossica, non vediamo alcun progresso né sul piano civile, né tanto meno su quello etico''.
Neppure una parola caritatevole verso il dramma vissuto dalla donna! Ma anzi Poletti si è prodigato in una vera e propria operazione di terrorismo psicologico: “Mentre quel piccolo essere nascente sente progressivamente mancare l'ossigeno della sua vita, altri esultano sulla sua morte, presentandola come un fatto di progresso e di civiltà”. Insomma, i ricercatori, i medici, le pazienti, sarebbero una sorta di sadici ai danni di un ovulo fecondato, messo dall’eminente prelato sullo stesso piano di un individuo nato. Forse vale appena ricordare che la Ru 486 va assunta entro il 49° giorno dall’ultima mestruazione, mentre l’aborto attuato con un’arma da taglio, si può praticare normalmente entro il terzo mese di gravidanza (a 90 giorni quindi dall’ultima mestruazione).
Le affermazioni del cardinale, in piena sintonia con tutta la tradizione ecclesiale, in verità celano (ma neppure poi tanto) l’eterna paura verso il corpo della donna, che ha sempre caratterizzato la Chiesa cattolica, che prova orrore al solo pensiero di una sessualità volta al piacere e svincolata dalla riproduzione, come recita ancora l’attuale Catechismo: ogni battezzato è chiamato alla castità…Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita casta secondo il loro particolare stato di vita (canone 2348); Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione (2351); É intrinsecamente cattiva ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo e come mezzo, di impedire la procreazione (2370).
Che il credente voglia obbedire a simili dettami, faccia pure. Il laico rispetta la sua libertà di coscienza. Non accenderà mai roghi! Ma che la Chiesa pretenda che ciò per il cattolico è peccato divenga una coercizione legale, è scandaloso.
Occorre allora una mobilitazione delle coscienze di tutti, delle donne innanzitutto, per denunciare che nel Nostro povero Paese (grazie anche al supporto di quell’ossimoro vivente degli “atei devoti”) si sta conducendo da tempo una battaglia a tutto campo contro il valore acquisito e faticosamente conquistato della maternità e paternità responsabili. Un valore, per il quale un figlio non sia una condanna, legata al “miracolo creazionistico” che la madre in primis dovrebbe accettare, anche in caso di violenza sessuale, come non si è mai stancato di ricordare Wojtyla alle donne durante tutto il suo pontificato: quanto apprezzamento meritano…le donne che, con eroico amore per la loro creatura, portano avanti una gravidanza legata all’ingiustizia di rapporti imposti con la forza! (Lettera alle donne del 29 giugno 1995).
Maria Mantello
L’autrice dell’articolo ha pubblicato recentemente il libro: Sessuofobia Chiesa Cattolica Caccia alle Streghe, Il modello per il controllo e la repressione della donna, Generoso Procaccini Editore, Roma 2005
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