".....Parlavamo Insieme Di Libertà, Di piccoli Popoli in lotta contro i nuovi imperi, di giustizia, di verità; Si viveva un epoca fatta di speranze, di femminismo, di rifiuto del lavoro salariato, d'antifascismo; si voleva insieme essere protagonisti della vita. (Tratto da "Giorgiana, Walter.......Vent’anni). Perché questo lavoro di ricerca di verità, di giustizia e di memoria da parte dell'associazione Walter Rossi? "Non bastano un milione di perché per dare un senso alla sua morte, cosi come a quella dei tanti compagni uccisi, delle vittime delle stragi , non servono ragioni e giustificazioni, l'unica cosa che ha un senso e impedire che accada di nuovo. Per ottenere questo serve l'impegno politico, morale, sociale e civile, per non dimenticare, per denunciare i responsabili politici e materiali, per rivendicare i valori che nonostante l'appiattimento ideologico, sono tuttora le basi per una società giusta, egualitaria e solidale"(Tratto da "Walter Rossi Un ricordo senza pace - 30 Sett.1977 - 30 Sett.1997). Walter, è' ancora più difficile parlarne per noi che ne abbiamo condiviso i viaggi, le lotte, che ne abbiamo assaporato per cosi poco tempo l'immensa gioia di vivere, la forza contro la sopraffazione, la sua ribellione contro le ingiustizie; ucciso dai fascisti, affiancati da un blindato della polizia. (Tratto da "Giorgiana, Walter.......Vent’anni). Non ci piacciono le liturgie, ma la memoria storica va comunque difesa e riaffermata soprattutto quando continua a marcare nostre diversità, non consente a nessuno di addomesticarci e/o di uniformarci ad una società che continua a non essere la nostra, ancora causa di iniquità, disoccupazione, emarginazione giovanile, quartieri ghetto, che continua a legare le vite di tante/i comuniste fra quattro sbarre. Ci si chiede di voltar pagina, rileggere il passato, rappacificazione, governi di larghe intese. Quale legittimità possiamo dare a quei partiti, a quegli uomini che continuano a detenere il monopolio delle bugie, della tracotanza, della cultura della mistificazione e del silenzio sulle stragi impunite. (Tratto da "Giorgiana, Walter.......Vent’anni). Oggi il grado di legittimazione dei fascisti è talmente grande che la stessa storia viene stravolta in continuazione. Si capovolgono termini e concetti, si riabilitano figure che hanno rubato, e che in seguito hanno cercato di rubare, la libertà ad un popolo; che hanno ucciso, fucilato, mandato in guerra, in nome della gloria fascista, che hanno messo bombe e provocato stragi in nome dell'ordine e dell'anticomunismo. Crediamo di non dire nulla di nuovo e di cosi eclatante a chi di fatto non ha mai abbassato la guardia di fronte ai rigurgiti nazifascisti, ma verifichiamo ogni giorno nella pratica che il livello generale di conoscenza e coscienza antifascista diventa più scarso e il filo della memoria sempre più esile. (Tratto da "Ogni giorno è il 25 aprile" del centro documentazione "Andrea Uccellini"- Csoa Auro e Marco)
Millenovecentosettantasette Riappropriarsi della storia, una storia vissuta in prima persona, è un modo per documentare stati d’animo e pensieri, per informare le generazioni future di un possibile verità su un periodo della nostra giovinezza vissuta con tanto ardore ed entusiasmo soffocati da eventi forse più grandi di noi. Di fronte a tale obiettivo non dobbiamo lasciarci prendere da sentimentalismi o ricordi fini a se stessi, ma prendere atto con scientifica crudezza ciò che veramente sono stati gli anni cosiddetti di “piombo”, in particolar modo l’anno 1977. Le istituzioni In quell’anno ci furono grossi mutamenti in atto nello stato e nei partiti “statalizzati”. La politica era gestita da un governo delle astensioni, cioè il monocolore democristiano a guida Andreotti, sorretto dall’astensione di tutti i partiti di quello che allora si definiva l’arco costituzionale. Un governo nato dalle elezioni del 20 giugno 1976, il primo governo dopo il 1948, con il PCI non all’opposizione. Un sistema di democrazia “conflittuale” controllata, dovuta proprio all’ingresso del PCI nel governo. Cosicché i dirigenti e i singoli militanti del PCI si sono distinti per la difesa di ogni istituzione statale, per la volontà di repressione di molte lotte, per la asfissiante sollecitazione ai “sacrifici” rivolta ai lavoratori. Il culmine del processo involutivo del PCI sarebbe stato rappresentato dalla legislazione di emergenza che nel ’77 diventa la base dell’accordo fra i partiti dell’arco costituzionale ed è stata la condizione per la cooptazione del PCI nell’area democratica e di governo: per la prima volta nella sua storia il PCI si è dichiarato favorevole a un massiccio restringimento delle libertà e delle garanzie costituzionali e si è impegnato in campagne ideologiche – ultima quella del referendum sulla legge Reale – dirette ad alimentare consenso popolare nei confronti del processo di restaurazione autoritaria. ANDREOTTI G. Presidente del Consiglio COSSIGA F. Ministro degli Interni FANFANI A. Presidente del Senato INGRAO P. Presidente della Camera MALFATTI Ministro Pubblica Istruzione L’appoggio comunista alla politica del governo fa si che il conflitto si concentra verso il PCI oltre che verso la DC e lo stato. Tale scontro, nella sua applicazione concreta, ha prodotto centinaia di morti e feriti e nella stragrande maggioranza dei casi decisamente innocenti. E’ chiaro che si da alle forze di polizia l’impressione dell’impunità, si legittima l’uso dispiegato delle armi. La gestione dell’ordine pubblico si fa pressante ed univoco verso la repressione di ogni contrapposizione al sistema. La legge Reale (1975) è la prima legge eccezionale per la tutela dell’ordine pubblico, chiamandola ordine pubblico costituzionale. Ciò significa ordine gerarchico di una società pacificata nelle sue contraddizioni di classe, attraverso militarizzazione e repressione feroce, portando di fatto alla trasformazione dello stato di diritto in stato di polizia. Per i poliziotti e carabinieri che uccidono non solo immunità della pena, ma addirittura immunità dal processo. Ci sono grosse restrizioni contro chi manifesta il dissenso a tale sistema, ad esempio: articolo 5 riguardante i manifestanti <<E’ vietato prendere parte a pubbliche manifestazioni svolgentesi in luogo pubblico o aperto al pubblico facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o i parte coperto mediante l’impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona……..>>. Legge Reale firmata da Leone, Moro, Gui. Nel febbraio del ’76 viene nominato ministro dell’interno Cossiga dal governo presieduto da Andreotti. A Roma il 2 febbraio ’77 vi è la prima apparizione dei poliziotti in borghese delle squadre speciali di Cossiga. Il quadro politico istituzionale si complica per effetto di un importante elemento di scontro fra stato e studenti: alla camera la commissione pubblica istruzione impegna Malfatti a sospendere a tempi indeterminato la circolare sui piani di studio. La circolare vietava agli studenti di fare più esami nella stessa materia, e smantellava di fatto la liberalizzazione dei piani di studio in vigore dal ’68. Il progetto prevedeva l’introduzione di due livelli di laurea; la suddivisione dei docenti in due ruoli distinti (ordinari e associati); la creazione di una gerarchia piramidali di organi di gestione, dove ai professori ordinari era garantita la maggioranza; il controllo rigido sui piani di studio da parte dei docenti, l’abolizione degli appelli mensili e il raggruppamento degli esami in due sessioni estiva e autunnale; l’aumento delle tasse di frequenza, restando inalterato il fondo per gli assegni di studio. 5 febbraio ’77 primo divieto di manifestare. Il governo elabora un pacchetto di leggi sull’ordine pubblico (Cossiga) che prevede la chiusura delle sedi di associazioni o gruppi quando vi siano rinvenute armi od esplosivi, ovvero quando i locali stessi siano pertinenti al reato, e misure specificamente per la piazza: norme più severe per cortei e manifestazioni e la legittimità dei poliziotti in borghese come deterrente ad una situazione per altro creata dallo stato per alzare il livello di scontro. 15 aprile ’77 il progetto di riforma Malfatti viene approvato dal consiglio dei ministri. La vita politica e soprattutto sociale si configurava per opposte fazioni le quali necessariamente dovevano entrare in conflitto e quindi non vi era possibilità di crescita se non ad un caro prezzo. La Piazza La contestazione studentesca inizia sostanzialmente con il ferimento di Guido Bellachioma, studente del collettivo di Lettere dell’università di Roma, durante un’incursione nella città universitaria da parte dei fascisti del Fuan. A Lettere si discuteva della circolare Malfatti e delle iniziative da intraprendere fra le quali l’abrogazione della stessa , l’autogestione dei seminari, garanzie per il no intervento della polizia nell’Università e creazione di un servizio d’ordine contro le provocazioni. Intanto si alza il livello di scontro ed aumentano le aggressioni in varie parti della città, vi sono le prime avvisaglie della copertura delle forze dell’ordine in fatti delittuosi da parte dei fascisti. Un pomeriggio si tiene un presidio antifascista davanti all’istituto Fermi, contro il comizio di Almirante a Monte Mario. Alcuni fascisti della sezione del MSI di via Assarotti sparano contro i militanti di sinistra sotto gli occhi della polizia che presidia la sede missina. Verso le 17,30 alcune centinaia di giovani assaltano la sede del MSI. La polizia spara ed alcuni giovani e dei passanti vengono feriti. Sul posto vengono ritrovati 200 bossoli di pistola. Intanto la protesta contro la circolare Malfatti si estende alle scuole medie e molti istituti vengono occupati dagli studenti che praticano l’autogestione. Le autogestioni impongono una presenza costante negli istituti e ciò favorisce la vulnerabilità degli occupanti di fronte alle incursioni dei fascisti. Si registrano i primi assalti alle scuole; davanti al Mamiani due giovani vengono feriti dai colpi di pistola di un commando fascista, uno in modo grave; al liceo Augusto un gruppo di missini della vicina sezione di via Noto aggredisce gli studenti con una fitta sassaiola. Gli studenti di sinistra sono bersaglio continuo da parte dei fascisti anche lontano dalle sedi scolastiche. Infatti a Roma, il 29 marzo, una squadra di fascisti delle sezioni missine di via Ottaviano e Balduina, va all’assalto di un ristorante frequentato da militanti si sinistra, all’arrivo della polizia i fascisti si coprono la fuga sparando raffiche di mitra, provocando il ferimento di un agente e di un giovane di passaggio. Altri intanto trovano riparo in una chiesa di via della Conciliazione, dal tetto sparano raffiche di mitra contro le volanti della polizia. Vengono arrestati undici fascisti, tra cui il figlio del giudice Alibrandi, che saranno rilasciati dopo pochi giorni. Nel frattempo il ministro dell’interno Cossiga inasprisce i provvedimenti sull’ordine pubblico fino a vietare a Roma le manifestazioni per tutto il mese di maggio. Il 12 maggio, nella ricorrenza della vittoria referendaria sul divorzio, i radicali indicono una festa a piazza Navona a cui aderisce anche l’assemblea dell’università e i gruppi della nuova sinistra. Scoppiano gravi incidenti tra i partecipanti e la polizia, rinforzata nell’occasione da squadre “speciali” di poliziotti camuffate da manifestanti. La manifestazione viene attaccata a piazza Navona e a Campo di Fiori. A ponte Garibaldi le squadre speciali cossighiane uccidono Giorgiana Masi, studentessa di 19 anni del liceo Pasteur di Monte Mario. Gli scontri durano fino a tarda notte, almeno quattro manifestanti e un carabiniere vengono feriti da colpi di arma da fuoco. Il 16 maggio Cossiga rivendica la legittimità delle squadre speciali e nega che i poliziotti abbiano fatto usa delle armi, viene smentito vergognosamente dalle foto e dai filmati che testimoniano l’uso massiccio delle armi da parte sia dei poliziotti in divisa che da quelli in borghese, quest’ultimi significativamente abbigliati come i manifestanti; il questore stesso conferma la presenza di almeno trenta agenti in borghese durante gli scontri.
Roma - Settembre 1977 Martedì 27 settembre Due ragazzi di sinistra studenti di un liceo dell’EUR (Paola Carvignani e Nazareno Bruschi, entrambi di 17 anni), sono seduti su una panchina alla stazione della metropolitana dell’EUR. Fermi insieme ad altri amici, vengono colpiti dalle pallottole sparate da un ragazzo basso, tarchiato, che spara ad altezza d’uomo un intero caricatore sul gruppo, prendendo la mira con entrambi le mani, poi fugge a bordo di una vespa. Paola Carvignani è ferita gravemente all’addome, Bruschi a un piede. Giovedì 29 settembre Verso le 22,30 da una Mini chiara che si avvicina vengono sparati 5 colpi di pistola contro un gruppo di giovani di sinistra che stazionavano a piazza Igea, Elena Pacinelli, 19 anni, viene ferita da tre proiettili, un altro giovane si salva per merito della borsa che portava a tracolla che riesce a fermare un proiettile. I colpi sono sparati ad altezza del torace, è evidente l’intenzione di uccidere. Elena non si riprenderà più, morirà pochi anni dopo per un male incurabile. Nella macchina sono in tre, in un primo momento sembra che a sparare sia stato l’uomo che si trovava accanto al guidatore. Nella vettura, rubata il pomeriggio del 29 settembre nella zona di Tor di Quinto e ritrovata l’11 ottobre, furono rinvenuti due bossoli, uno calibro 7,65 e uno calibro 32, i quali rivelano che almeno due persone hanno sparato. I colpevoli di questo ferimento non sono stati mai individuati. Venerdì 30 settembre I compagni di Elena decidono di distribuire un volantino di protesta nel quartiere della Balduina, dove era situata una sede del MSI, ora AN, conosciuta per le frequenti aggressioni e intimidazioni dei suoi militanti, punto di riferimento dei fascisti di tutta la zona Nord di Roma. La dinamica dei fatti che avvennero verso le otto di sera di fronte a decine di persone è estremamente chiara. I compagni si ritrovano a via Pomponazzi nel quartiere Trionfale, un gruppo di una trentina di persone iniziò il volantinaggio da piazzale degli Eroi, salendo per viale Medaglie d’Oro fino a qualche centinaio di metri dall’incrocio tra viale Medaglie d’Oro e via Marziale, la presenza continua della polizia in borghese, (alcuni di loro furono fermati e perquisiti in viale Medaglie d’Oro), sconsigliò i giovani dal proseguire, terminarono quindi il volantinaggio e rientrarono a via Pomponazzi. Appena rientrati un giovane avverte che i missini hanno aggredito dei compagni a piazza Giovenale. In numero minore rispetto la prima volta, un gruppo dei giovani di sinistra decide di recarsi sul luogo per verificare i fatti, i compagni non sono tranquilli, la presenza della polizia fa temere qualche provocazione, in effetti viene chiesto alle compagne di rimanere a Pomponazzi e salgono in venti-venticinque. Procedono camminando sul marciapiede sinistro di viale Medaglie d’Oro. All’altezza della Standa, alcuni giovani del gruppo sono fermati e perquisiti da poliziotti in borghese, scesi da 2 o 3 macchine civetta. La maggior parte dei giovani continua dirigendosi a Piazza Giovenale, mentre alcuni rimangono sull’incrocio per controllare la situazione in quello che era considerato il punto più pericoloso per la vicinanza alla sede missina.
Va rimarcato che non ci fu nessun tentativo da parte del gruppo di sinistra di dirigersi verso la sede fascista, i compagni non avevano nessun corpo contundente che poteva essere usato in un attacco ne tantomeno per difendersi, la presenza di polizia in borghese, la perquisizione subita pochi minuti prima e l’essere continuamente seguiti e sorvegliati, sconsigliavano a tutti qualsiasi tipo di organizzazione di autodifesa. In effetti la maggior preoccupazione dei giovani di sinistra non erano i fascisti ma la presenza della polizia, a fatti avvenuti non avevano torto. Inizio L’aggressione si svolse in due fasi, il gruppo di giovani di sinistra stava ritornando da piazza Giovenale dove non era avvenuto nessun contatto con i fascisti e tantomeno avevano avuto conferma dell’aggressione subita da qualche giovane. Mentre si ricongiungevano con il gruppetto che li attendeva all’incrocio tra via Marziale e viale Medaglie d’Oro, una quarantina di fascisti provenienti dalla sezione missina si attestarono sui due lati di Viale Medaglie d’Oro, il più numeroso si fermò all’altezza dell’edicola, l’altro alla stessa altezza ma sul marciapiede opposto. Dal gruppo di fascisti vengono lanciati sassi e qualche bottiglia vuota, il gruppo di sinistra si compatta all’altezza del benzinaio, non risponde all’attacco anche perché nessuno aveva niente da usare allo scopo, comunque rimangono fermi senza scappare. I missini si ritirano e rientrano verso la loro sede. Dopo qualche minuto, i giovani di sinistra notarono un furgone della polizia, evidentemente fino a qual momento fermo davanti alla sede fascista, che si dirigeva lentamente verso di loro. Il blindato scendeva a luci spente sul lato sinistro di viale Medaglie d’Oro, direzione Piazzale degli Eroi, immediatamente dietro, seminascosto dal furgone, procedeva nella stessa direzione un gruppo di fascisti (tra i 20 e i 25), sul marciapiede opposto si intravedevano poche persone (2 o 3) anche queste in direzione del gruppo di sinistra. Parallelamente al blindato ma qualche metro più avanti, tra il blindato e i 2/3 fascisti sul marciapiede sinistro c’erano 2 poliziotti in divisa anch’essi si spostavano verso l’incrocio. All’altezza dell’edicola il gruppo più consistente dei fascisti si arresta, da qui viene lanciato qualche sasso verso i compagni, due persone si staccano dal gruppo più grosso e, attraversando di corsa il viale, si uniscono al gruppetto sul lato opposto che intanto si era fermato all’altezza del semaforo. La manovra congiunta della polizia e dei fascisti preoccupa i giovani di sinistra che retrocedono sospettando la provocazione, lentamente, per non lasciare nessun compagno isolato, i compagni cominciano ad allontanarsi. Gli spari Il gruppo più ristretto dei missini, quello che procedeva sul marciapiede destro, arrivò fino all’altezza del numero civico 108, praticamente sull’incrocio ma sempre sul marciapiede, due persone avanzarono rispetto gli altri, scesero dal marciapiede di un paio di passi, uno di questi quello più robusto e più basso dell’altro, si inchinò leggermente prese la mira e sparò 3/4 colpi di rivoltella contro il gruppo di giovani che si trovavano sul marciapiede che delimitava l’area di rifornimento benzina. Il blindato della polizia arrivava in quel momento all’incrocio. Istanti successivi Walter viene colpito alla nuca, cade sul marciapiede, i suoi compagni che si erano riparati dietro le macchine parcheggiate si accorgono dell’accaduto, corrono verso il punto dove Walter è caduto, la gravità della ferita è subito evidente, in quello stesso momento i poliziotti, con casco e manganelli caricano i compagni tentando di disperderli. Alcuni si ribellano, riescono a bloccare l’azione della polizia, l’unico pensiero era portare il più presto possibile Walter in ospedale. Si urla ai poliziotti di chiamare un’ambulanza via radio, ci viene risposto che il blindato non è fornito di radio, viene bloccato un furgone che passava in quel momento, il guidatore accetta di portare Walter verso il più vicino ospedale, il ferito viene adagiato sul pavimento del cassone, un amico e due poliziotti lo accompagnano. Lo stesso proiettile che ha colpito Walter, proseguendo la sua corsa, ferisce in modo fortunatamente lieve, il gestore della pompa di benzina Giuseppe Marcelli. La corsa in ospedale Il traffico è intenso in quel momento, sono passati 5-6 minuti dopo le venti, un paio di volte i poliziotti sono costretti a scendere per bloccare il traffico e far passare il furgone, all’altezza di via Candia il cuore di Walter smette di battere,. l’amico che lo accompagnava scende per aprire un varco nel traffico, Walter arriverà ormai privo di vita all’ospedale Santo Spirito. La Polizia Gli agenti di P.S. presenti al momento dell’assassinio di Walter erano: 1. Gd. P.S. Bell’Uomo Vincenzo in servizio Ministero degli Interni Palazzo Viminale 1° Gruppo 2. Brig. Principe Giuseppe in servizio presso il I° rep. Celere di Roma 6ª Comp. 3. Gd. P.S. Sciplino Giovanni in servizio presso il I° rep. Celere di Roma 6ª Comp. 4. Gd. P.S. Zotti Michele in servizio presso il I° rep. Celere di Roma. 5. Gd. P.S. Staiano Angelo in servizio presso il I° rep. Celere di Roma. 6. Gd. P.S. Forgione Silvio in servizio presso il I° rep. Celere di Roma. 7. Gd. P.S. Montesano Matteo in servizio presso il I° rep. Celere di Roma. 8. Gd. P.S. Amendola Umberto in servizio presso il I° rep. Celere di Roma. 9. App. P.S. Terracino Vincenzo in servizio commissariato di zona 10. Gd. P.S. Iervolino Giovanni in servizio presso il I° rep. Celere di Roma 6ª Comp. In zona era anche presente almeno una macchina civetta del commissariato di zona il cui equipaggio era comandato dalla Gd. P.S. Cangianello. Tutti agli ordini del Vice Questore Luigi Falvella, dirigente Commissariato P.S. Porta del Popolo. Al momento degli spari è certa la presenza degli agenti di P.S. sopra elencati ad eccezione del Vice Questore Falvella, non è dato sapere la posizione della macchina civetta comandata dalla Gd. P.S. Cangianello, il quale non risulta essere stato mai ascoltato dai magistrati. La decina di poliziotti presenti al momento dell’omicidio, tanti erano quelli in divisa, rimangono per quasi un ora nei pressi del luogo dove era avvenuta l’aggressione. Uno dei compagni, precisamente quello che aveva accompagnato Walter sul furgone e che era sceso in via Candia, ritorna a piedi verso il luogo dell’aggressione; ormai saranno passati più di trenta minuti dal momento degli spari, gli uomini della polizia sono aumentati, ci sono anche alcuni in borghese, il giovane prosegue, va verso la sede missina, alcuni fascisti sono davanti al portone, non sono molti, non c’è assolutamente presenza visibile delle forze dell’ordine. A più di mezz’ora dal delitto, svoltosi sotto gli occhi della polizia, ancora nessuno rappresentante della forze dell’ordine era andato a perquisire o controllare i fascisti. Alle ore 21,10 vengono infine fermati i primi fascisti, un ora e un quarto dopo gli spari! Il fermo verrà successivamente tramutato in arresto per i seguenti missini: Cavallari Gabriele, Briguglio Ilio, Renda Claudio, Romagna Giancarlo, Leoni Silvio, Leoni Alberto, Accolla Dario, Durante Luciano, Pasquali Alberto, Bragaglia Riccardo, Ferdinandi Ferdinando, Aronica Luigi, Macrì Antonio, Andriani Germana e Perina Flavia. Le indagini Dalla sera stessa dell’omicidio di Walter, la magistratura ha caratterizzato le indagini su tre direttive principali: 1 - La non premeditazione dell’omicidio 2 - La delimitazione dei confini della responsabilità al solo esecutore materiale dell’omicidio 3 - Non approfondire il ruolo e le eventuali responsabilità delle forze di polizia presenti prima, durante e dopo sul luogo dell’assassinio. Tendenze che hanno portato alla definitiva archiviazione del procedimento penale, nonostante le successive dichiarazioni dei pentiti, tra le quali spicca quella di Cristiano Fioravanti, che evidenziavano le responsabilità sia organizzative che esecutorie di molti altri fascisti. La prima fase si concluse con il proscioglimento dei missini arrestati la notte tra il 30 settembre e il 1 ottobre 1977 nella sede del MSI di Balduina. Malgrado le evidenti contraddizioni degli interrogatori, le numerose testimonianze che confermavano l’agire collettivo e lo scopo comune del gruppo fascista dal quale vennero esplosi i colpi di pistola, la certezza di più pistole presenti (oltre ai proiettili cal. 9 corto, furono ritrovati un bossolo di 7,65 e un proiettile inesploso cal. 22), nonostante la positività del guanto di paraffina a carico di uno degli imputati (Riccardo Bragaglia), i fascisti furono tutti prosciolti dall’accusa di omicidio volontario. Rinviati a giudizio solo per rissa, furono successivamente assolti anche da questa accusa, anche se il giudice in quella occasione richiese la riapertura del procedimento per omicidio, evidenziando l’impossibilità della non corresponsabilità. Richiesta respinta. La seconda fase si aprì nel 1981 con le dichiarazioni di alcuni pentiti (Di Mango, Trochei , Serpieri) che indicarono in uno dei fratelli Fioravanti e in Alibrandi i possibili assassini di Walter. Interrogato in proposito nell’aprile del 1981, Cristiano Fioravanti ammise la sua partecipazione ai fatti del 30 settembre 1977, accusò Alessandro Alibrandi di essere colui che esplose i colpi della calibro 9, Massimo Sparti di avergli fornito una pistola cal. 7,65 e Fernando Bardi colui che deteneva la Beretta mod. 34 usata da Alibrandi. Clamorosa fu l’azione del G.I. che alla richiesta di emissione di mandato di cattura da parte della Procura della Repubblica per tre dei quattro fascisti implicati, emise ordine di arresto solo per Fioravanti e Sparti inviando una semplice comunicazione giudiziaria a Alibrandi, malgrado fosse il principale accusato. Dal momento delle dichiarazioni di Fioravanti (aprile 1981) si attese addirittura Luglio per emettere mandato di arresto anche per Alibrandi Ovviamente irreperibile, Alibrandi era nel frattempo espatriato in Libano, dopo una breve permanenza a Londra, trovando accoglienza come molti altri fascisti, nei capi di addestramento militare dei cristiano-maroniti. La protezione di cui godeva Alessandro Alibrandi non si fermava nell’ambito della magistratura romana, dove il padre, famoso per le sue non nascoste simpatie di destra esercitava la professione di giudice, ma si allargava anche alla questura se, come sembra, la sua fuga fu permessa dall’emissione di un regolare passaporto dopo la sua incriminazione per omicidio. Alibrandi rientrò in Italia verso la fine dello stesso anno e morì in uno scontro a fuoco con la polizia il 5 dicembre del 1981. La sua morte chiuse definitivamente il procedimento per l’omicidio di Walter, ritenuto l’unico ed il solo responsabile, il procedimento fu archiviato senza arrivare mai in una sala dibattimentale. Cristiano Fioravanti, Massimo Sparti e Fernando Bardi furono giudicati solo per i reati concernenti le armi e condannati a lievi pene (Fioravanti a 9 mesi e 200.000 lire di multa). Cercando la verità La premeditazione Le dichiarazioni di Cristiano Fioravanti sono state alla base dell’archiviazione da parte della magistratura, arrestato l’8 aprile 1981 per la banda armata dei NAR, si pente immediatamente denunciando tutti i suoi camerati compreso il fratello Valerio che accusa anche di essere stato l’autore della strage alla stazione di Bologna insieme alla Mambro. Fu interrogato più volte dai magistrati sull’omicidio dei Walter, dal 13 aprile 1981 al 12 aprile 1983, le sue dichiarazioni inquadrano non solo i fatti avvenuti la sera del 30 settembre ma l’ambiente in cui questi maturarono. I due fratelli Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Franco Anselmi, Francesco Bianco, Enrico Lenaz, Massimo Rodolfo, Stefano Tiraboschi erano i componenti di un gruppo armato che faceva capo alla sezione del MSI di Monteverde. L’attività che questo gruppo svolgeva non si limitava alle violenza politica ma anche reati comuni. Massimo Sparti un quarantatreenne legato alla Banda della Magliana, era un appoggio logistico al gruppo fornendo loro coperture, armi e indicazioni per rapine e furti. In molti casi partecipava direttamente. Sparti fu presentato al resto del gruppo da Enrico Lenaz. La sera del 30 settembre davanti alla sede missina oltre ai locali, erano presenti fascisti di Monteverde, Vigna Clara, Ottaviano e Monte Mario, i missini erano preparati allo scontro armato, “sapevamo che erano imminenti nella zona della Balduina degli scontri con avversari politici, cioè i compagni di via Pomponazzi. Ci è stato detto che occorrevano delle armi” . In tutto una quarantina di missini tra cui alcuni armati: Fioravanti in possesso di una pistola 7,65, Alibrandi con una pistola calibro 9 corto e altri di cui Fioravanti non ha voluto o potuto fare i nomi. Quel che è certo è che dopo gli spari sono stati ritrovati 2 pallottole cal. 9, un bossolo cal. 9 mod. 34 del 1971 e un bossolo inesploso 22; in un interrogatorio si accenna anche ad un bossolo calibro 7,65 . In contrapposizione alle tesi della magistratura che escluse qualsiasi premeditazione non solo dei fascisti presenti quella sera ma anche dei responsabili delle sedi di zona del MSI, le stesse affermazioni di Fioravanti, se le parole hanno un senso, confermano in più punti l’organizzazione del gruppo armato da parte del partito missino e la volontà premeditata di uccidere. Fioravanti dichiara che l’organizzazione dei presidi era fatta dal segretario di sezione interessato, il quale richiede agli altri segretari di sezioni di organizzare ed inviare gruppi di militanti, quella sera non era stato differente, a Fioravanti e Alibrandi era stato ordinato dal segretario (Addis o Rubei) della sez. di Monteverde di andare alla sezione Balduina, con la consapevolezza di inviare due persone armate. Fioravanti e Alibrandi infatti “si mettono a disposizione” del responsabile (Fioravanti non ha voluto dire chi ma è evidente al segretario della sezione di Balduina Sandro Di Pietro , anche perché presente in quel momento). Che Fioravanti e Alibrandi fossero armati non era a conoscenza solo del segretario della sezione di Monteverde e di quella della Balduina, ma con ogni probabilità tutti i presenti erano coscienti della condizione dei due perché essi erano dislocati durante il presidio in disparte, sulle scale che costeggiano la sede; tanto evidente era la loro copertura che non intervennero in una aggressione compiuta dai missini ai danni di due giovani che transitavano in motorino di fronte la sezione. Lo stesso Fioravanti dichiara che la presenza di armati deve essere a conoscenza dei partecipanti per adottare le tattiche necessarie in questi casi. Inoltre Fioravanti dichiara che c’era stata una riunione nei giorni precedenti alla sede di Monteverde in cui parteciparono oltre allo stesso, Alibrandi, Laganà e Lenaz per preparare azioni del tipo che poi effettivamente avvennero la sera del 30 settembre 1977. Nella stessa sentenza istruttoria di proscioglimento dei missini dal reato di omicidio volontario, un anno prima delle rilevazioni dei pentiti missini, il giudice istruttore, a nostro parere con conclusioni estremamente contraddittorie, afferma: <<... Anzi la determinazione nel ricercare a qualsiasi costo lo scontro con gli avversari, manifestata con tutta evidenza dalla condotta dei missini, sembra fornire fondamento al più inquietante delle ipotesi: quella secondo cui il tumulto, tentato con ogni mezzo e alla fine provocato (....................), doveva essere lo strumento idoneo ad assicurare la migliore delle coperture per chi, armato, aveva già l’intenzione di far uso delle armi e di uccidere, per giunta con la precostituzione di situazione nella quale avrebbe potuto essere assegnato alla vittima il ruolo dell’aggressore....>> Il depistaggio A ulteriore conferma della preparazione “a tavolino” dell’assassinio di Walter è il ruolo svolto da Enrico Lenaz, il missino che è stato indicato nei giorni immediatamente successivi come l’omicida. L’identificazione di Lenaz avvenne in seguito a varie soffiate, telefonate anonime ai giornali, voci che provenivano da ambienti di destra, indagini svolte da settori dell’estrema sinistra non meglio identificati , voci raccolte dai giornalisti nei corridoi della questura di Roma. Al grande clamore fatto dalla stampa all’arresto di Lenaz , fece eco l’immediato “alibi di ferro” che lo stesso Lenaz poté fornire ai magistrati. A questo proposito è illuminante la valutazione del G.I. Nostro sulla presenza il 30 settembre di Lenaz a Cantalupo nel Sannio: <<... Sull’argomento dell’”alibi” di Lenaz non si può però tacere che - per comportamenti processuali dello stesso imputato - all’origine di ragionevoli sospetti circa un qualche suo ruolo nella vicenda e per condotte poste in essere da taluni testimoni quasi certamente mossi da voglia di “strafare” - la sua estraneità alla vicenda.....>> <<....invero vi sono in atti abbondanti tracce (...............) della frenetica attività svolta da Roma a mezzo di telefonate da Gloria Francesco, padre della fidanzata del Lenaz, allo scopo di ottenere tramite il Di Lazzaro o il padre di costui, che la cittadinanza tutta, prima ancora dell’intervento della magistratura, attestasse, con un comunicato dell’ANSA, l’innocenza del Lenaz; o addirittura, che di tale innocenza si facessero garanti, con un esposto al Comando Generale dell’Arma, gli stessi carabinieri della Stazione di Cantalupo, nessuno dei quali, come è in seguito emerso, aveva visto in paese il Lenaz nella giornata del 30/9/77. Come vi è prova di un certo intervento dello stesso Di Lazzaro su altri testimoni della vicenda, per lo meno quelli da lui stesso chiamati a portarsi con lui dai Carabinieri per esporre le richieste del Guida. Altra circostanza che merita di essere sottolineata è quella relativa alla testimonianza di Menicucci Renato (.......................) indotto dalla difesa per confermare di avere incontrato, nel pomeriggio del 30 settembre 1977 in una fabbrica di pantaloni di Sebbrano nel Molise, il Lenaz Enrico che vi si era recato per effettuare acquisti in compagnia della fidanzata Gloria Isabella e dei genitori di costei. Il teste, Tenete colonnello della P.S. e pertanto degno della massima fede, non ha potuto, per la verità, confermare l’incontro o meglio collocarlo con certezza nella giornata del 30 settembre 1977. Un altro, però, è l’aspetto curioso, forse sconcertante della vicenda: il Gloria Francesco aveva descritto il tenente colonnello nei minimi particolari e si era detto certo di poterlo riconoscere. E’ accaduto invece che il Gloria, pur essendo rimasto per delle ore insieme al Menicucci prima di essere interrogato e pur avendo parlato con lui, ha dichiarato addirittura di non averlo mai visto in precedenza ed ha sostenuto che altro era il colonnello da lui incontrato nel pantalonificio........>> <<...Si deve aggiungere che il Lenaz nell’interrogatorio reso a questo G.I., oltre a spostare al 30/9/77 avvenimenti che nell’interrogatorio avanti al P.M. aveva collocato nella giornata del successivo 1 ottobre (fra questi l’incontro nella fabbrica di Serrano), ha minuziosamente narrato tutti gli avvenimenti del giorno delitto, citando e descrivendo dettagliatamente tutte le persone incontrate dal momento del suo arrivo a Cantalupo fino alla sera. Ma, stranamente, ha mostrato completa mancanza di memoria, per gli avvenimenti del giorno successivo, passato pure a Cantalupo e durante il quale non risulta essere stato incontrato da alcuno degli abitanti del piccolo paese. Altro particolare che ha indotto a sospetto è quello della telefonata che da un bar di Cantalupo il Lenaz aveva tentato di fare ai suoi familiari a Roma, Invitato a spiegare i motivi per i quali aveva tentato di telefonare a Roma aveva dichiarato in un primo momento di averlo fatto allo scopo di sapere dai suoi se per caso lo avessero cercato in relazione ai fatti del 30 settembre: e subito dopo, correggendo la grave affermazione (all’ora della telefonata, anteriore alle ore 20,00, quei fatti non erano ancora noti), ha sostenuto che in realtà aveva inteso riferirsi ad altro precedente avvenimento.............>>. <<.....Orbene, .................................., può farsi l’ipotesi che quella voce abbia avuto ben diversa origine e, soprattutto, tutt’altro scopo che quello di assicurare il colpevole alla giustizia. La ipotesi di un falso bersaglio offerto all’inchiesta giudiziaria, con disegno preventivo del quale può essere stato al corrente lo stesso Lenaz, potrebbe trovare del resto un qualche sostegno, oltre che nel tentativo della telefonata di cui si è detto, nelle stesse modalità della partenza del Lenaz e degli altri alla volta di Cantalupo nel Sannio la mattina del 30 settembre. Giacché affermazioni dello stesso Lenaz circa il dispiacere di lasciare i genitori appena rientrati dalle vacanze e di cittadini di Cantalupo sull’inatteso arrivo della famiglia Guida in paese e la circostanza che il Guida non ha esaurientemente spiegato i motivi del viaggio a Cantalupo (...................) sembrano deporre nel senso di improvvisa urgenza di lasciare Roma la mattina del 30 settembre.>> Che altro ancora? Se non ricordare che Lenaz fu uno dei partecipanti alla riunione nella sede del MSI di Monteverde dove furono organizzate i piani per attacchi omicidi nei confronti dei compagni, come ha dichiarato Fioravanti. Gli assassini Esclusivamente in base alle dichiarazioni di Fioravanti, la magistratura ha archiviato l’inchiesta senza arrivare al processo per la morte del reo cioè Alessandro Alibrandi Eppure la stessa magistratura, come abbiamo ampiamente riportato, ha evidenziato l’esistenza di un progetto che tendeva all’omicidio verso gli avversari politici. <<.....Nel caso di specie, il delitto ascritto al Fioravanti è risultato senza alcun dubbio sorretto ed inspirato quanto meno alla finalità di terrorismo, essendo emerso che la pistola fu ottenuta in uso dall’imputato con la programmata intenzione di utilizzarla nel corso di un imminente scontro con gruppi di militanti della sinistra rivoluzionaria di classe, scontro in relazione al quale non era esclusa, anzi era stata positivamente valutata l’eventualità di attentare indiscriminatamente alla vita ed alla incolumità degli antagonisti, in modo da destare un allarme sociale grave e da creare panico ed insicurezza, oltre a un clima intimidatorio idoneo a suscitare nuove azioni sempre più violente e così ad escludere i cittadini dalla dinamica della vita politica e sociale, ridotta, in definitiva, ad una guerra tra bande contrapposte>>. Anche per la quarantina di fascisti che spalleggiarono e coprirono lo sparatore la sera del 30 settembre, ci sono più elementi che fanno credere alla consapevolezza del gruppo intero di quello che si stava preparando. <<....Chiarisco che in genere concordavamo delle tattiche che richiedevano la conoscenza degli armati>> ammette Fioravanti nel descrivere l’organizzazione dei missini in casi di scontri. L’atteggiamento dei fascisti in quella circostanza fu evidentemente pianificata, sia nelle azioni diversive che hanno preceduto immediatamente gli spari, sia nella copertura prima, durante e dopo l’omicidio. A questo proposito è da sottolineare la reticenza di Fioravanti nell’identificare chi copriva e spalleggiava Alibrandi quella sera. Contraddicendosi più volte nell’arco del tempo passa dall’affermare che altri missini erano armati il 30 a dire esattamente il contrario . Affidandosi al tempo trascorso per giustificare i suoi vuoti di memoria, Fioravanti non ricorda nessuno dei fascisti che, a suo dire, accompagnarono Alibrandi all’assalto dei giovani di sinistra. Eppure Fioravanti la memoria l’ha più che buona se, ha distanza di anni, ricorda perfettamente la disposizione dei mobili della camera di Fernando Bardi dove si era recato la stessa sera del 30 settembre e dove non aveva messo più piede. Un collaboratore di giustizia a mezzo termine, ma su questo ritorneremo più avanti. Ma basterebbe un minimo di impegno da parte dei magistrati per far rispettare a Fioravanti il suo ruolo di “pentito”, perché cada l’unica motivazione addotta dal magistrato per prosciogliere Briguglio Ilio, Giancarlo Romagna, Silvio Leoni, Alberto Leoni, Dario Accolla, Luciano Durante, Alberto Pasquali, Riccardo Bragaglia, Ferdinando Ferdinandi, Luigi Aronica, Antonio Macrì, Andrea Insabato, Germana Andriani e Flavia Perina dall’accusa di omicidio volontario. <<..In dipendenza del mancato riconoscimento dello sparatore e di soggetti che gli erano più vicini, (compreso quello che ha incitato a sparare), che si converte nella mancata identificazione della precisa collocazione degli altri imputati rispetto allo sparatore al momento degli spari, difetta pure ogni prova che consenta di attribuire ad alcuno di essi ruolo di concorrente morale nel delitto in virtù di condotta, svolta, con la necessaria consapevolezza del possesso di arma da fuoco da parte di alcuno, nell’intento di comunque rafforzare la volontà dell’agente.>> Visto che i trenta denari vengono dal tesoro pubblico, non ci sembra eccessivo chiedere che la collaborazione alla giustizia di Fioravanti sia chiara e totale, inoltre non si comprende perché nonostante il riconoscimento fatto da testimoni sulla presenza nel gruppo degli assalitori al momento degli spari di Luigi Aronica, Andrea Insabato e Riccardo Bragaglia, come risulta da testimonianze rese al magistrato, nessun provvedimento è stato preso nei loro confronti. Riepiloghiamo: 1. C’è un piano omicida preparato a tavolino, partecipano Laganà, Fioravanti, Alibrandi e Lenaz. 2. L’organizzazione del presidio davanti alla sede del MSI di Balduina è organizzato dai responsabili di sezione, i fascisti (tra questi Alibrandi e Fioravanti) vengono avvertiti da un responsabile del partito di recarsi quel giorno al quartiere della Balduina dove erano previsti “gravi scontri”. Fioravanti e Alibrandi si mettono a disposizione di un personaggio della sede missina della Balduina, non è difficile pensare ad un responsabile. 3. I fascisti armati erano certamente più di due, il ritrovamento del bossolo inesploso calibro 22 con evidenti segni di inserimento in canna, sono la prova che almeno un’altra persona, oltre a Fioravanti armato, secondo la sua confessione, di una pistola calibro 7,65 e Alibrandi di una calibro 9, era armata quella sera e ha tentato di sparare, impedita dall’incepparsi del meccanismo di caricamento. 4. Riccardo Bragaglia, oltre ad essere stato riconosciuto da un teste, è stato trovato positivo alla prova del guanto di paraffina, a prova che un altro dei partecipanti dell’aggressione aveva sparato, se non quella sera, nelle ore immediatamente precedenti. E’ incredibile che gli investigatori non abbiano legato questo fatto ai tentati omicidi eseguiti dai fascisti nelle ultime ventiquattro ore. Non è immotivato pensare all’episodio della sera precedente in piazza Igea dove era stata ferita al polmone e al braccio Elena Pacinelli. Identikit di un omicida • << La persona che ho visto rialzarsi era abbastanza alta almeno quanto me che sono alto mt. 1,71. Era robusta e non esile. Mi sembra che avesse capelli scuri..>> • <<... vi era un ragazzo di cui non conosco il nome e che è soprannominato forse Pinuccio. Tale giovane raccontava di essersi trovato tra noi e la bersagliera e di aver visto dopo gli spari un giovane che si girava su stesso infilando una pistola dietro il giubbotto, anzi sotto il giubbotto. Il giovane di cui ho detto dava di questa persona descrizione che corrisponde a quella della persona da me vista rialzarsi. Il giovane diceva infatti che aveva statura medio-alta, capelli neri, che indossava pantaloni jeans con giubbotto di colore verde o azzurro.>> • <<Dalle dichiarazioni di questi due ragazzi è venuta fuori la descrizione dello sparatore, indicato come alto e biondo con i capelli corti con giaccone tra verde e grigio, e quella di altra persona indicata come più anziana, più bassa dell’altra leggermente calva e di corporatura robusta che si sarebbe trovata accanto allo sparatore in un gruppetto di quattro o cinque persone.......>> • <<Sentiti i primi colpi io mi sono riparato (..........................................) Mentre mi riparavo ho vista una persona abbastanza piazzata, con le gambe robuste, spalle larghe, alta mt. 1,80-1,85 con un giubbotto verdastro o scuro, pantaloni jeans. Tale persona aveva qualcosa in mano ed era in posizione di tiro con le gambe cioè leggermente piegate.>> • <<...Un giovane biondo, piuttosto alto, dai capelli corti, con riga, credo, da una parte e un ciuffo su un lato, indossante un giubbetto o un pullover blu scuro, si è fermato sulla sede stradale, sul lato sinistro scendendo, proprio davanti al negozio di elettrodomestici, ha estratto un arma e, mirando, in posizione leggermente curva, ha sparato 2 o 3 colpi........>> • <<C’è un ragazzo vestito di scuro: giubbotto e pantaloni blu. Si inginocchia all’angolo della strada; due metri avanti a me. Impugna la pistola con entrambi le mani. Poi cinque colpi o quattro, non ricordo bene....>> • <<Lo sparatore è stato descritto da alcuni testimoni come un giovane robusto, tarchiato, piuttosto pelato: indossava un giubbotto color verde militare. I testimoni dicono che lo sparatore, quel giovane robusto e tarchiato, si è inginocchiato per esplodere il primo colpo, da perfetto cecchino. Altri hanno visto un tipo alto, con un maglione chiaro che sembrava dirigere l’operazione.>> • << In quel momento aveva visto in mezzo al gruppo un ragazzo con braccio alzato che impugnava una pistola di grosse dimensioni con la canna molto lunga. Contemporaneamente aveva sentito 4 o 5 colpi in rapida successione.>> • <<...aveva età di circa 20 anni, era alto sul metro e ottanta, normolineo, corporatura normale, capelli scuri sicuramente non biondi........ ed indossava pantaloni scuri ed un giubbotto a vita, chiuso di tessuto luccicante, apparsogli come blu scuro>> • <<…Si è messo la pistola sulla cintola dietro e si è allontanato correndo piano. Jeans con targhetta marrone di cuoio come l’hanno i wranglers, giubbotto blu scuro, senza colletto, con serratura lampo, tipo impermeabile, di quelli con le tasche laterali, chiusura a vita, occhiali scuri, tipo Rayban, alto 170/175 cm, cosce e sedere grossi ma proporzionate alle spalle pure grosse, massiccio, non sembrava pesante o impacciato nei movimenti, la faccia non sfilata, normale, volto pieno un po’ paffuto, capelli scuri non so se lisci o ricci, non radi, corti ma senza sfumatura, niente baffi, basette non si notavano…>> Queste testimonianze a prima vista contraddittorie, confermano invece la presenza nel gruppo di fascisti di più persone con un’arma nelle mani. Cristiano Fioravanti Le contraddizioni e le versioni differenti che ad ogni interrogatorio forniva, evidenziano una reticenza malcelata e sicuramente alimentano il sospetto che su quella sera Fioravanti non abbia detto ancora tutto e con la necessaria chiarezza. A convalida di questo c’è una dichiarazione del fratello di Cristiano, Valerio Fioravanti che durante una udienza del processo per la strage di Bologna dice: <<..........ed è finita che Cristiano è riuscito ad attribuire il colpo mortale ad Alessandro, Alessandro è morto e il processo è finito lì.>> . Tutto ciò ci fa sospettare che le cose non siano andate così come Cristiano Fioravanti le racconta. Ma anche prendendole per oro colato, niente a livello giuridico spiega perché Cristiano Fioravanti non sia stato processato per concorso nell’omicidio di Walter. Inoltre alcune contraddizioni in cui cade Fioravanti rispetto la sua posizione al momento degli spari e riguardo l’arma in suo possesso fanno concretamente sospettare che il suo ruolo sia stato così marginale come racconta. Cominciamo dall’arma, Fioravanti, secondo le sue dichiarazioni, era armato di una 7,65 presa a casa di Massimo Sparti e riconsegnata allo stesso subito dopo i fatti. Sparti, anche lui pentito, nega fermamente, anche in un confronto diretto con Fioravanti, di aver mai dato e tantomeno ricevuto la pistola in questione. Fioravanti dice di non averla usata perché difettosa, sapeva che dopo il primo colpo si inceppava, aveva il cane interno ed era arrugginito. Viene ovvio chiedersi perché allora la prese? Nessuna persona normale, tantomeno chi già era organizzato da tempo in forma paramilitare con tattiche di copertura ecc., rischia un arresto o peggio (avere un’arma inutilizzabile è sicuramente più pericoloso per la propria incolumità che non averla affatto) per portarsela in una situazione di tensione con presenza di polizia e di avversari politici. Dato che è estremamente improbabile che qualcuno confessi di avere un arma in una situazione dove è avvenuto un omicidio senza effettivamente averla, viene forte il dubbio che l’arma in possesso di Cristiano Fioravanti non era probabilmente la 7,65 d’anteguerra che lui afferma. Oppure come dichiara il fratello Valerio Fioravanti: <<...perché in realtà la pistola era una e se la passavano l’un l’altro,....>>. Questo giustificherebbe l’invenzione di una pistola fantasma per tenere lontana da sé la responsabilità dell’arma omicida. In secondo luogo la posizione dello stesso Fioravanti al momento degli spari. Le versioni che racconta sono estremamente differenti, va dal dire di avere visto poco o nulla perché molto indietro rispetto al gruppo che sparò proprio a causa dell’inefficienza della pistola in suo possesso , a descrivere con dovizia di particolari la posizione dell’Alibrandi, dei compagni e degli altri fascisti al momento degli spari, fino a dire che era rimasto indietro perché non corre molto e tutti gli altri lo avevano sopravanzato. Ma c’è dell’altro, da alcune testimonianze, colui che ha effettivamente sparato, o almeno che è stato sicuramente visto esplodere dei colpi di pistola, era, nel gruppetto di 5 o 6 fascisti che si trovavano all’altezza del numero civico 108 di viale Medaglie d’Oro, quello più tarchiato e basso rispetto alle persone che gli stavano immediatamente vicino. Altre caratteristiche raccontate dai testimoni: i capelli biondi, il ciuffo da una parte ecc. sono molto più conformi a Cristiano Fioravanti che a Alessandro Alibrandi; Alibrandi era scuro di capelli, longilineo e abbastanza alto, Fioravanti è più basso, robusto con fianchi larghi, portava il ciuffo sugli occhi,. Inoltre quella sera Fioravanti aveva un cappello avana, in quel periodo era moda tra i missini che si muovevano in motorino indossare dei passamontagna di lana fine, se il cappello in questione era di questo tipo, non è difficile, in una situazione di penombra come quella che c’è normalmente in quel punto di viale Medaglie d’Oro, scambiare un passamontagna avana chiaro per capigliatura bionda, oppure per calvizie, inoltre il particolare del ciuffo di lato descritto da un testimone , potrebbe confermare l’ipotesi che uno dei fascisti armati indossasse un cappello di quel tipo, chi porta il ciuffo sulla fronte è naturalmente portato a spostarsi i capelli da un lato. Le armi Delle tre pistole che erano in possesso dei fascisti il 30 settembre, nessuna è stata mai ritrovata. A conferma dell’inettitudine, per non dire di peggio, degli investigatori. Parliamo di tre armi anche se sulla la pistola 7,65, quella che Fioravanti dichiarava di possedere, abbiamo dubbi che sia mai esistita. Come abbiamo scritto, Massimo Sparti, che secondo Fioravanti è quello che custodiva la pistola prima e dopo i fatti del 30, non ha mai confermato questo fatto. Nonostante sia anche lui un pentito e abbia confessato numerosi reati tra i quali la custodia di numerosi armi che ha consegnato alla polizia, su questo punto non ha avallato la versione di Fioravanti neanche durante un confronto diretto tra i due. Della calibro 22, la cui presenza è denunciata dalla presenza di un bossolo inesploso con evidenti segni di inserimento in canna, non si ha nessuna notizia. La pistola omicida, la Beretta Mod. 34 calibro 9 corto, senza numero di matricola e con una impanatura per l'avvitamento del silenziatore, fu consegnata a Fernando Bardi la sera stessa dell’omicidio . Successivamente Alibrandi la riprese da Bardi e la prestò ad un ragazzino dell’Aurelio, uno della banda di Alibrandi, in occasione degli scontri di via Acca Larenzia. Questo ragazzino, di cui Fioravanti non ha mai voluto fare il nome, nascose, per paura durante gli incidenti, la pistola in un vaso di fronte alla sede missina di Acca Larenzia. Un paio di giorni dopo Fioravanti e Alibrandi tentarono di recuperarla ma non la trovarono, e immaginarono che fosse tra quelle sequestrate dalla polizia quella sera ai fascisti. Se questo fosse vero arriviamo all’incredibile, è impensabile che le forze di polizia sequestrano delle armi durante degli incidenti in cui ci sono stati delle vittime e non fanno delle perizie, e se le fanno non collegano i risultati ai fatti di sangue avvenuti solo tre mesi prima. Comunque sia ancora oggi non è dato sapere se una pistola così riconoscibile come una calibro 9 con l’impanatura per il silenziatore sia stata effettivamente ritrovata dalla polizia nel gennaio ‘78, solo 4 mesi dopo dall’assassinio di Walter.. La copertura <<...Altrettanto certo è che gli eventi di questa fase si sono svolti tutti mentre il blindato della polizia, mossosi dall’area dell’incrocio tra viale delle medaglie d’oro e via Duccio Galimberti per inseguire i missini, percorreva molto lentamente lo stesso tratto del viale delle Medaglie d’Oro fino all’incrocio con via Marziale.............Fatto è comunque che tale gruppo (il gruppo missino che comprendeva l’omicida N.d.R.), al momento degli spari, doveva trovarsi vicinissimo al mezzo della polizia, molto probabilmente un poco più indietro rispetto ad esso ed al centro della strada o nei pressi del marciapiede dell’opposto lato, se è vero che nel momento in cui eseguiva la svolta a destra verso via Marziale la vittima era già da qualche istante a terra per terra ed automobilista di passaggio era stato costretto a battere con i pugni sulla fiancata del veicolo per richiamare l’attenzione degli occupanti. E nonostante questo, nessuno degli occupanti del blindato è stato i n grado di seguire in qualche modo gli avvenimenti, come se l’attenzione si fosse del tutto spenta al momento di salire sul mezzo per inseguire i missini, e di fornire elementi di una qualche utilità per la ricostruzione della vicenda; uno solo di cui ha sentito il rumore degli spari e tuttavia la circostanza non è stata di alcun ausilio né per l’accertamento di origine degli spari né, tanto meno, per l’identificazione dello sparatore. E’ facile osservare che la permanenza della polizia davanti alla sezione missina con l’intento di evitare lo scontro tra le due opposte fazioni (..............................), sarebbe molto probabilmente valsa, ad esempio con la costituzione di un diaframma tra i due gruppi, a stroncare sul nascere ogni tentativo di violenza e ad evitare così la morte di Walter Rossi. Amarissima pertanto è la conclusione della completa inutilità della presenza della polizia nel luogo degli eventi in concomitanza con la fase più grave dei medesimi.>> Le parole del G.I. Nostro, anche se prudenti sono illuminanti rispetto al ruolo della polizia presente quella sera, a nostro giudizio la funzione delle forze dell’ordine non fu “inutile” soltanto ma di scorta e copertura della aggressione fascista. Su questo nessuno di quelli che era presente il 30 ha mai avuto dubbi. <<.....scortati involontariamente dagli uomini del mezzo blindato.....>> Involontarietà tutta da dimostrare, così come l’improvvisa cecità completa di tutti gli uomini delle forze di polizia presenti al momento degli spari. Ne abbiamo viste tante in questi anni ma crediamo sia ancora un caso unico quello di una persona che uccide a colpi di arma da fuoco davanti a una decina di poliziotti e nessuno di questi vede niente. Più “normale” è la storia che ognuno di loro racconta, palesemente inventata e in contrasto completo con il racconto di tutti i testimoni presenti. <<Scattate prontamente le indagini, innanzi la sezione del MSI-DN “Balduina” sono stati identificati e condotti presso gli uffici del Commissariato di P.S. Monte Mario, 15 giovani in oggetto indicati>> I fermi sono avvenuti un’ora e quindici dopo che Walter era stato colpito . A questa menzogna se ne aggiungono molte altre, la prima quella di far passare l’aggressione a freddo fatta dai fascisti come uno scontro tra le due parti, lo stesso giudice Nostro smentirà questa versione. La seconda è la distanza dal gruppo dei missini, 70 o 80 metri dichiarano alcuni agenti, anche qui saranno smentiti dai testimoni e dal giudice. Ma il giudice non descrive completamente la situazione così come si presentò agli occhi dei giovani di sinistra: il blindato scendeva lentamente a fari spenti sulla corsia sinistra di viale Medaglie d’oro, immediatamente dietro seguiva un gruppo nutrito di fascisti che, protetto da questo, lanciava sassi e bottiglie verso i compagni; sul marciapiede opposto, quello di destra guardando verso la salita, tre missini si muovevano verso i giovani di sinistra, avanzando il blindato di circa 5-6 metri. All’altezza dell’edicola, due missini del gruppo che si proteggeva dietro il mezzo della polizia, attraversano la strada e si uniscono ai tre missini sul lato opposto, dopo qualche istante da questo gruppetto gli spari. Subito dopo le esplosioni tutti fascisti dei due gruppi scappano verso la sede missina. Il blindato tranquillamente continua senza fretta il suo cammino e si ferma sull’incrocio tra viale Medaglie d’Oro e via Marziale, scendono gli occupanti e si scagliano contro i compagni che tentavano di soccorrere Walter. La terza è la posizione degli uomini delle forze dell’ordine, non è vero che erano tutti all’interno del blindato, 2 o 3 agenti in divisa procedevano a piedi a fianco del blindato per tutto il tragitto fatto da quest’ultimo dalla sezione all’incrocio; questi poliziotti si trovavano praticamente al momento degli spari tra il mezzo della polizia e il gruppo missino dove si trovava l’assassino, leggermente spostati più indietro. Riteniamo materialmente impossibile che questi non abbiano udito gli spari, non sia siano accorti di ciò che stava accadendo, non abbiano visto l’assassino, anche se nell’istante del primo colpo, per qualche improbabile coincidenza, tutti gli agenti guardavano da un’altra parte, durante le successive 2 o 3 esplosioni non è possibile che non abbiano girato lo sguardo verso l’origine dei colpi. La riapertura dell’inchiesta Venti anni dopo i compagni e gli amici di Walter si costituiscono in associazione e richiedono alla magistratura una nuova indagine giudiziaria sull’assassinio di Walter Rossi. Nell’ottobre del 1998 il G.I.P. Floquet, del Tribunale per i minorenni di Roma, decide la riapertura dell’inchiesta. Fissata per l’otto giugno 2001 l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Roma per decidere sulla richiesta del P.M. Floquet di rinvio a giudizio per Cristiano Fioravanti. Ingiustizia è fatta Niente è cambiato, la Giustizia non passa per le aule giudiziarie, la nostra richiesta di giustizia è stata offesa dall'arroganza ignobile di un potere che continua a scrivere il passato dal punto di vista degli assassini. L’udienza dell’8 giugno con una sentenza clamorosa assolve Cristiano Fioravanti. Il Tribunale dei Minori di Roma, presidente la signora Spagnoletti, ha assolto Cristiano Fioravanti e accusato tre testimoni oculari di aver dichiarato il falso. Lo stato si è nuovamente pronunciato sull'omicidio di Walter, come 24 anni fa è stata garantita l'impunità per gli assassini e lanciate intimidazioni di tipo mafioso per i compagni di Walter. Non c’è niente altro da dire, alcuni di noi credevano che avremmo scritto parole diverse in conclusione di questo dossier, non è stato così, dando ragione allo scetticismo di alcuni nostri compagni che non ci hanno seguito su questa strada e confermando la nostra illusione. La richiesta di appello proposta dall’avvocato dell’Associazione viene rigettata definitivamente a nell’ottobre 2001. Non abbiamo più niente da dire, nient’altro da chiedere, ma non rinunceremo, ormai possiamo solo fare. Le date dell’inchiesta 30-set-77 La notte tra il 30/9 e 1/10 la DIGOS di Roma ferma 15 missini successivamente dichiarati in arresto. L'accusa è di omicidio volontario, tentato omicidio e rissa aggravata. I loro nomi sono: Cavallari Gabriele, Briguglio Ilio, Renda Claudio, Romagna Giancarlo, Leoni Silvio, Leoni Alberto, Accolla Dario, Durante Luciano, Pasquali Alberto, Bragaglia Riccardo, Ferdinandi Ferdinando, Aronica Luigi, Macrì Antonio, Andriani Germana e Perina Flavia.
4-ott-77 Viene arrestato Enrico Lenaz, attivista del MSI Monteverde pluridenunciato e confidente della polizia 6-ott-77 Il ministro degli Interni Cossiga, democristiano, rispondendo al Senato alle interrogazioni sui fatti, ha preliminarmente effettuato il “riconoscimento di rito” della capacità professionale e dello spirito di disciplina delle “forze dell’ordine” e della “ferma azione di collaborazione” della Procura della Repubblica di Roma 6-ott-77 Alle 21, circa un’ora dopo i fatti di Balduina, due compagni di Monteverde incontrano Fioravanti e Alibrandi a Monteverde, in via Jenner, Alibrandi mostra la pistola che ha nella cintura minacciandoli. I compagni denunciano il fatto alla magistratura, incredibilmente i due non vengono collegati all’omicidio di Walter ma denunciati per minacce ai due compagni. Successivamente verranno ovviamente assolti. Anni dopo Cristiano Fioravanti confermerà l'accusa dei due compagni. 22-ott-77 Lenaz viene scarcerato
3–nov-77 Andriani e Perini vengono scarcerate in libertà provvisoria, precedentemente erano stati scarcerati Renda e Cavallari. 17-dic-77 Il G.I. ordinava la scarcerazione di tutti gli imputati per insufficienza di indizi ad eccezione di Riccardo Bragaglia trovato positivo alla prova del guanto di paraffina.
23-giu-78 Viene scarcerato anche Bragaglia perché l’accertamento del guanto di paraffina deve considerarsi nullo per mancato avviso dello stesso ai suoi difensori. 14-feb-80 Il G. I. Nostro proscioglie i missini dall'accusa di omicidio volontario e tentato omicidio e viene disposto il rinvio a giudizio per rissa aggravata per Briguglio Ilio, Romagna Giancarlo, Leoni Silvio, Leoni Alberto, Accolla Dario, Durante Luciano, Pasquali Alberto, Bragaglia Riccardo, Ferdinandi Ferdinando, Aronica Luigi, Macrì Antonio, Andriani Germana, Perina Flavia, Lenaz Enrico e Insabato Andrea.
mar-81 Durante gli interrogatori per le indagini sui gruppi di destra per banda armata, degli imputati (Claudio Di Mango, Flavio Serpieri, Patrizio Trochei) avevano indicato in uno dei fratelli Fioravanti o in Alibrandi lo sparatore del 30 settembre 1977.
8-apr-81 Viene arrestato Cristiano Fioravanti
13-apr-81 Cristiano Fioravanti dichiara ai giudici di essere stato presente ai fatti di viale Medaglie d'Oro, di essere armato di una pistola cal. 7,65 non funzionante fornitagli da Massimo Sparti, accusa Alessandro Alibrandi di aver sparato alcuni colpi di pistola con una Beretta mod. 34 cal. 9 corto senza numero di matricola, prelevata da Fernando Bardi.
apr-81 Dopo le dichiarazioni dei pentiti la Procura della Repubblica apre un nuovo procedimento penale contro Fioravanti Cristiano, Alessandro Alibrandi, Massimo Sparti e Fernando Bardi. trasmetteva gli atti al G.I. richiedendo l’emissione del mandato di cattura per i primi tre. Il G.I. emetteva mandato di cattura per Fioravanti e Sparti mentre, nonostante fosse il principale accusato, spediva comunicazione giudiziaria all’Alibrandi.
25-giu-81 Fioravanti, nuovamente interrogato dai magistrati, dichiara che la pistola che deteneva il 30 settembre non era funzionante perché dopo aver sparato il primo colpo si inceppava, che per il giorno dei fatti si prevedevano scontri e qualcuno del suo ambiente aveva detto che occorrevano armi, che la pistola cal. 9 dell'Alibrandi, dotata di impanatura per il silenziatore, probabilmente utilizzata per i fatti di via Acca Larenzia e successivamente ritrovata dalla polizia. Afferma che non era accanto ad Alibrandi e di non averlo visto sparare, sa che Alibrandi ha sparato solo perché lo stesso si è confidato con lui. Inoltre dichiara che altri missini erano armati. 1-lug-81 Ulteriore interrogatorio del Fioravanti che precisa alcune dichiarazioni precedenti, tra le quali l’utilizzo della pistola cal. 9 dell’Alibrandi data da quest’ultimo ad un ragazzino dell’Aurelio per utilizzarla nei disordini di via Acca Larenzia, il ragazzino l’avrebbe sepolta in un vaso del cortiletto davanti alla sez. del MSI di via Acca Larenzia. Insieme all’Alibrandi si sono recati a via Acca Larenzia per recuperarla ma non l’hanno trovata, presumendo quindi che era stata ritrovata dalla polizia. Non ricorda il nome del ragazzino ma era presente quando Alibrandi l’ha consegnata al giovane missino. 7-lug-81 Viene finalmente emesso mandato di cattura nei confronti di Alessandro Alibrandi per l’omicidio di Walter Rossi, Alibrandi ovviamente si era reso irreperibile.
5-dic-81 Alibrandi muore in uno scontro con la polizia.
31-mar-82 Il G.I. Nostro emetteva sentenza istruttoria di non luogo a procedere nei confronti di Alibrandi perché deceduto, rinviando a giudizio Cristiano Fioravanti, Massimo Sparti e Fernando Bardi per i reati concernenti le armi.
17-giu-82 Il Tribunale penale di Roma Sez. 3 condanna Cristiano Fioravanti a 9 mesi di reclusione e 200.000 lire di multa per i reati concernenti le armi, dichiarava la propria incompetenza per i reati più gravi trasmettendo gli atti riguardanti Cristiano
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