da Liberazione del 21/10/2005
Checchino Antonini Bologna nostro inviato Piove da ore "che dio la manda", sull'Emilia, e la manda tutta nel Reno che si gonfia a dismisura stravolgendo il paesaggio sotto Ponte Lungo, proprio dove mercoledì all'alba Cofferati ha spedito le sue ruspe appresso a un piccolo esercito di vigili, agenti e carabinieri. Nell'alveo del fiume c'è un parco curatissimo, con le panche, i percorsi ginnici e l'erba rasata. Ma è deserto e le uniche tracce visibili, paradossalmente, sono quelle di chi cerca di rendersi invisibile. Dietro gli argini artificiali - scaloni di pietre tenute insieme da una rete - spuntano i tetti delle baracche, legno e cartone ricoperti di cellophane, i sentieri sono scie fangose e sdrucciole. L'acqua potabile più vicina è una fontana sull'altra riva, d'estate si guada a piedi e si portano taniche al campo, qualcuno fa il bagno d'estate. I bolognesi no, loro si godono il sole sulla riva. D'inverno, o quando il fiume è in piena, si deve andare più lontano a "cogliere" l'acqua. La sera è rischiarata da fari attaccati alle batterie delle macchine. Per scaldarsi solo i falò che si accendono negli spiazzi di fronte alle baracche. Gli abitanti della bidonville sono rumeni, decorosi e poverissimi, perlopiù richiedenti asilo, abituati a scappare senza protestare perché sono anche zingari. C'è una gerarchia anche tra gli ultimi.
La pioggia ha bloccato per un po' le ruspe, e questa è una fortuna, ma nega agli edili una giornata di lavoro. E qui quasi tutti gli uomini validi sono manovali, carpentieri e muratori ce ne sono tantissimi. Li vanno a prelevare sulla Via Emilia i caporali e i padroncini bolognesi perbene li pagano anche 10 euro al giorno con la promessa di metterli in regola. Dicono «stai in prova e ti fanno lavorare così anche per un anno», racconta Aghiran di 39 anni scampato dallo sgombero del giorno prima solo perché già in viaggio verso il cantiere. Suo fratello è uno dei sette portati al Cpt, cinque uomini e due donne che, ieri mattina, quando li è andati a trovare la deputata di Rifondazione, Titti De Simone, non avevano ancora potuto incontrare un avvocato. In Via Mattei, unico Cpt costruito come una terrificante voliera, con la rete che fa da soffitto al cortile, De Simone ha trovato le consuete condizioni di degrado e sovraffollamenti. «Domani, a Gradisca e Bari, i movimenti chiederanno di chiudere tutti i posti così», dicono Silvia e Federico, della commissione immigrazione Prc, segnalando come la questione dei diritti dei migranti sia ormai dirimente nel rapporto con il sindaco.
«Gli "ospiti" di Via Mattei sono disperati - dice a Liberazione Titti De Simone - non hanno più niente, sappiamo in che cantieri lavorano, vorrei che il sindaco li visitasse, non ci si può sbarazzare delle persone così». Invece Cofferati lo fa violando anche l'articolo 11 di una Convenzione delle Nazioni unite che il parlamento ha firmato.
«C'è scritto che le persone sottoposte a sgombero devono avere un'alternativa dignitosa e concordata», scrive Cesare Ottolini, commissario Onu per il diritto all'abitazione che ha diffidato ufficialmente il sindaco di Bologna che, in questo genere di questioni può vantare la "buona" compagnia del suo collega milanese Albertini denunciato in occasione dello sgombero dei rumeni di via Adda.
Gianluca, con un passato di collaboratore a "Piazza Grande", il primo giornale di strada, è uno di quelli che cerca di denunciare il caporalato. Ogni tanto ne spia le mosse, prende le targhe dei furgoncini, li segue. E scopre, ad esempio, che manovali rumeni, al nero, hanno ristrutturato perfino la caserma dei carabinieri di via XII Giugno, di fronte al tribunale. Difficile capire l'incidenza statistica del lavoro nero in edilizia. I costruttori, ai tavoli di trattative, minacciano la serrata solo a sentir parlare di controlli. «Infatti, se i controlli si fanno sono blandi. Poi, la catena del subappalto scarica tutto sugli anelli più deboli», aggiunge Marina Prosperi, legale e autrice di un dossier sull'argomento.
Per questo ai movimenti - che nel pomeriggio hanno dato vita a un presidio sotto le finestre del sindaco, alla Fontana del Nettuno sembra scandaloso che Cofferati se la prenda con chi vive nelle baracche piuttosto che con chi ci si ingrassa sopra. E che a uno sgombero di situazioni malsane non segua mai un'azione di assistenza e solidarietà. Catalino, così dice di chiamarsi, ha quarant'anni e diversi figli. E' scappato dal sud della Romania, da Craiova, è scappato da Roma, scapperà ancora. Come i suoi compagni di strada che sfogliano i giornali per riconoscere i volti di donne e bambini deportati il giorno prima. Riconoscono Joanna che solo una settimana fa ha partorito il fagottino avvolto in una coperta bianca che teneva stretto al momento del brusco risveglio. Sono ospitali, quasi cordiali, dicono di non avere paura dei cater-pillar perché hanno costruito le baracche sul terreno privato di un italiano. Giurano di non rubare mai ma dicono anche che nessuno li ha mai aiutati. Anzi, prima abitavano al Ferrhotel, la foresteria dei ferrovieri in disuso e occupata, in Via Casarini. Poi li hanno mandati a Villa Salus ma là possono entrare solo i regolari. Così la diaspora ha interrotto anche i percorsi di scolarizzazione dei bambini. «Come fai ad andare a scuola se non ti puoi nemmeno lavare? Dicono che puzzi». Non c'è rancore nei ragionamenti di Catalino e dei suoi amici.
Joanna e le altre, intanto, nessuno le ha più viste, dicono che siano scappate a Milano da un cugino. Però Cofferati aveva sempre detto che per donne e bambini un rifugio l'avrebbe garantito. La sua vice, una magistrata dei minori prestata alla politica, ha la delega per la protezione sociale. Ma lui non l'ha nemmeno avvertita, l'altro giorno, che sarebbero passate le ruspe, guidate da migranti peraltro. Adriana Scaramuzzino, vicesindaca, preferisce schermirsi da domande dirette con un cortese «preferisco non parlarne» ma è chiaro che la mancanza di collegialità e il decisionismo peronista del sindaco sono strettamente collegati. Se il sindaco l'avesse consultata, gli avrebbe detto che già martedì prossimo sarebbe stata resa nota l'area per un rifugio alternativo ai rumeni. Il disagio, tra gli operatori della Caritas e nella Margherita, è sempre più forte. Tiziano Loreti, segretario provinciale Prc, invita volontari e mondo cattolico a una grande assemblea pubblica - «per parlare di casa, salute e immigrati» - con le reti di movimento e i consiglieri dell'"altra sinistra" (Prc, verdi, Cantiere e Pdci) che ora si dicono liberi, su questi temi, di assumere iniziative forti sui territori. In piazza i giornalisti circondano il capogruppo Prc a Palazzo D'Accursio, Sconciaforni, chiedono se Rifondazione uscirà dalla Giunta. «Non è questo il problema - è la risposta - ma deve essere chiaro che se restiamo è perché vogliamo cambiare questa città rispondendo ai bisogni dei soggetti più deboli: lavoratori, migranti, pensionati. Appoggeremo il sindaco solo se va in questa direzione». «Ma lui va anche nella direzione opposta a quella della Giunta Errani», commenta Leonardo Masella, capogruppo Prc in regione.
Oltre alla Quercia, a fare quadrato intorno a Cofferati, ci sono Lega, Forza Italia e An che inneggiano ormai al «nuovo Guazzaloca» anche se perfino le destre lo rimproverano di decidere tutto da solo. E da solo, coi poteri forti, si prepara a gestire, a dosi da cavallo di precarietà, le grandi opere - metropolitane e nuove cubature che incombono sulla città - «mentre in tutta la provincia la produzione industriale è scesa dell'8% - spiega Renato Lideo del social forum - 12mila lavoratori sono interessati da ammortizzatori sociali e presto saranno il doppio». Fonte: http://www.liberazione.it/giornale/051021/LB12D6E7.asp
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