Ma che succede a Bologna?
di Roberto Roscani
C’è un libretto giallo (meglio un fascicolo di un centinaio di pagine con una sommaria copertina di cartone giallo) sul tavolo di lavoro del sindaco Sergio Cofferati.
Sicurezza come Welfare. Non è un testo politologico o filosofico e neppure una raccolta dell’amato Tex Willer. È pieno di numeri e di grafici. È uno studio sociologico che viene continuamente aggiornato e che «misura» la percezione dei cittadini bolognesi sui temi delle aspettative e delle preoccupazioni sociali.
Che c’entra - direte - con le polemiche di questi giorni sugli sgomberi degli immigrati negli accampamenti di baracche lungo le rive del Reno? C’entra. Lì dentro c’è scritto che in questi ultimi tre anni a Bologna è avvenuto qualcosa di profondo ma in qualche modo non di inatteso. Allora proviamo a riassumerlo: nella ricca Bologna la crisi è arrivata prima come paura che come realtà: l’indice di disoccupazione è fermo al 3 per cento ma il lavoro è il primo problema. L’incertezza sul futuro si manifesta così specie nei ceti deboli, tra i lavoratori dipendenti, tra gli anziani e le donne, nel ceto medio basso che ha sempre meno da consumare e che vede (grazie a Berlusconi) messo in discussione un welfare e dei servizi che qui esistono e funzionano per davvero. Oggi, ma domani chissà. E così cresce qualcosa di più radicale. L’insicurezza che si riverbera subito sul tema immigrazione: quattro anni fa se chiedevi ad un bolognese se anche i clandestini avessero diritto all’assistenza medica il 59 per cento rispondeva di sì, oggi solo il 48. E quelli pronti a dire che gli immigrati sono sporchi e puzzano è salito dal 26 al 33 per cento. E il 61 per cento sente l’arrivo di nuovi stranieri come una «invasione».
Volete altri numeri? Eccoli: chiamati a mettere i «voti» (ad indicare la gravità) ai reati il 9 se lo meritano i pirati della strada e gli evasori fiscali, l’8 ce l’ha il lavoro nero e chi imbratta i muri. poco sotto col 6 c’è l’accattonaggio. Ma che classifica è? Animata da un rigore civile (l’evasione, il lavoro nero...) e dall’identificare come reati seri cose che reati non sono.
Intendiamoci il «libretto giallo» non è la Bibbia e neppure la «linea», è il termometro. A spiegarcelo non è solo lo staff del sindaco (Cofferati il giorno dopo lo sgombero dribbla i giornalisti avvolto da una agenda fittissima e da un po’ di battute rivolte ai giornalisti), ma è anche l’autore della ricerca, il sociologo Fausto Anderlini. «Quelle paure sono reali - commenta - e in fondo sono tutte dentro la storia di Bologna. La città si trova davanti al suo vero primo stress da immigrazione, qui la crescita non è avvenuta come a Torino con l’arrivo dei meridionali, ma con migrazioni dalle campagne. Coi mezzadri e i braccianti comunisti che diventavano gli operai comunisti delle fabbriche bolognesi. E dentro quel comunismo c’era una gran voglia di ordine, di certezze. Non molto diversamente da oggi, con in più il fatto che oggi la confusione e i rischi sono più forti». Se dovessimo arrischiare una definizione «non autorizzata» diremmo che oggi per Sergio Cofferati la sicurezza è un pezzo del welfare e come tale va difesa. «Ma la sinistra un problema con questi temi ce l’ha sempre avuto - commenta un uomo delle istituzioni bolognesi che ci tiene a non «finire sui giornali» - Cofferati no. Per questo la sua azione appare così spiazzante a tanti uomini di sinistra». Proprio ieri la Camera del lavoro ha commentato con una punta di asprezza giudicando «un errore» gli sgomberi di questi giorni. Ma è una voce, visto che si è chiuso subito il fronte dello scontro con la Margherita offesa perché il suo vicesindaco, Adriana Scaramuzzino, era stata ignorata da Cofferati nella decisione dello sgombero pur avendo la delega ai servizi sociali. Chi pensava alla crisi è smentito. «No la giunta è solida - dice il capogruppo Ds Merighi - e anche i rapporti tra i partiti di maggioranza sono buoni. E poi non è vero che qui si fanno solo gli sgomberi. Prendete il caso del Ferrhotel, lì la giunta ha costruito una soluzione seria, ha spostato gli immigrati in una struttura controllata e accogliente a Villa Salus. Quello è il modello e anche stavolta vedrete che sarà così».
Anderlini sposta il discorso e sembra guardare al prossimo fronte. «Vedrete i guai che verranno fuori per affrontare il problema di piazza Verdi e del Pratello, le due zone più degradate della città. Lì il conflitto potrebbe essere anche più aspro tra clandestini, studenti, punk a bestia e i cittadini che hanno investito tutto su una casa nel centro storico convinti dall’idea cervellatiana del recupero urbano e oggi sono quelli che protestano di più». Cofferati il riformista («Perché vi meravigliate, è un socialista ottocentesco» scherza Anderlini) ha deciso di mettere le mani anche lì. Ci saranno polemiche? Ci potete scommettere. Ma si possono evitare? Fonte: http://www.unita.it/index.asp??SEZIONE_COD=&TOPIC_ID=45301
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