Scuole, la protesta si allarga
Per la prima volta occupato anche il Galvani
di Luca Molinari
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«La protesta? È come un sassolino che si stacca da una montagna e rotola a valle: scivola, scivola e pian piano diventa una valanga. Gli universitari sono stati il sassolino, noi saremo la valanga». Simone ha 17 anni, frequenta la II liceo al Minghetti, liceo classico di Bologna che porta il nome di un padre della Patria. Dall’altro giorno è uno dei tanti che occupano le scuole bolognesi.
La marea di cui parla forse non riuscirà a fermare il ministro Moratti, ma per ora un primo risultato storico lo ha ottenuto: da ieri sera è occupato anche il liceo Galvani. Una novità assoluta, visto che neanche nel ’68 le austere stanze del liceo classico di via Castiglione erano state occupate dagli studenti, e l’unica prova di occupazione datata 1969 durò solo lo spazio di una mattinata.
«Abbiamo occupato, fino a ieri sera i professori sono rimasti qui con noi e la preside, pur dicendosi contraria, ha detto che se ci assumiamo la responsabilità di quello che facciamo possiamo occupare», spiega Francesco, uno dei ragazzi che stanno organizzando l’occupazione. Questa notte al Galvani hanno dormito 50 studenti: oggi li raggiungeranno gli altri 800 compagni e faranno un’assemblea, scriveranno una lettera aperta sulla riforma che presenteranno domani mattina nel corso dell’assemblea d’Istituto che si terrà al cinema Nosadella.
«Certo che è una novità assoluta, ma è il segno di come sia importante questo tipo di cose», assicura Francesco. Al Galvani la situazione è delicata: all’interno della scuola sono conservate opere d’arte. «Ci siamo impegnati a non far entrare nessun estraneo», precisa Francesco. Insomma in via Castiglione non deve accadere come al Righi dove, ieri, sono entrati estranei che ha provocato alcuni danni agli arredi della scuola.
Che qualcosa di nuova stava accadendo anche al liceo preferito dalla borghesia bolognese era chiaro già dalle prime ore di ieri mattina: di fronte alla scuola un gruppo di universitari e studenti dell’ultimo anno ha volantinato e fatto di tutto per convincere gli altri studenti a non entrare. «È un modo per essere solidali con le altre scuole», ammonisce Alessandra, 18 anni e un sogno: «Diventare interprete internazionale senza dover cercare lavoro per forza all’estero».
Nel pomeriggio, dopo un’affollata assemblea, è scattata l’occupazione: «Andremo avanti fino a lunedì (domani per chi legge, ndr), poi martedì tutti a Roma», spiegano i ragazzi.
La marea La marea che ieri ha travolto anche il più aristocratico dei licei bolognesi ha allungato l’elenco delle scuole bolognesi in lotta contro il governo. Nel primo pomeriggio di ieri, infatti, oltre al Galvani l’occupazione è scattata anche anche al Fermi, liceo scientifico di via Mazzini. Un virus, quello della protesta, che sta contagiando tutte le scuole bolognesi: assemblee, autogestioni e, quando professori e presidi lo permettono, occupazioni.
Giovani, spaventati dal futuro («non vogliamo essere precari», lo slogan più usato), ma allo stesso tempo pieni di speranze: così si raccontano gli occupanti delle tante scuole - oltre a Galvani e Fermi anche Righi, Sabin, Tanari, Minghetti - che hanno sospeso le lezioni di storia e matematica per studiare e protestare contro la riforma Moratti. Degli studenti medi pochi saranno quelli che martedì prossimo andranno a Roma, alla grande manifestazione nazionale anti Moratti, ma anche da qui, dalle Due Torri, lo spirito è quello di chi vuole contare di più.
Le storie «Nulla di grave, vogliamo coinvolgere gli insegnanti e, perché no, anche i genitori nella protesta: la scuola che verrà interessa a tutti e non può essere appannaggio di pochi», spiega con il fare del sindacalista Martino, maturando del Minghetti che per il proprio futuro vede «una laurea in Lettere e poi tante incognite».
Nei corridoi del liceo di via Nazario Sauro si parla di tutto: politica, sport, impegni per la serata e programmi per il futuro. «L’occupazione è un modo per stare insieme, per ritrovarci: lo sapete che la maggior parte di noi non sa i nomi dei compagni delle classi accanto?», interroga Valentina, terza ginnasio che, con il sorriso sulle labbra, ammette che «sì, della riforma Moratti sappiamo solo quello che abbiamo letto sui giornali, ma siamo qui per quello, per fare i gruppi di studio e di confronto».
I gruppi partono, come nelle altre scuole, a dir la verità a ranghi ridotti. Se si vuole parlare con i ragazzi, al Minghetti come al Copernico, si deve stare nei corridoi. Nei “ponti” del liceo di via Garavaglia si gioca a calcetto, si discute di cosa fare quando calerà il buio. «Tutti d’accordo, questa sera niente pub: si sta qui fino a notte fonda», attacca Carlo.
Una notte a scuola: una novità per molti. Un rito consolidato per gli studenti degli anni superiori. Nel week-end scuole e facoltà occupate sembrano svuotarsi: «Certo, si sta più a casa o si esce», si giustificano i ragazzi, ma guai a chiamarli sfaccendati: «Abbiamo come obiettivo di spiegare ai nostri insegnanti la scuola che vogliamo, come immaginiamo le lezioni, come vorremo fossero fatti i programmi...».
La scuola che vorrei Le proposte, appunto: nei corridoi delle scuole occupate si parla anche di questo. Nessuna nostalgia del “6 politico” o delle lezioni collettive. Gli occupanti del terzo millennio parlano di programmi scolastici aggiornati e di un modo non autoritatario di fare interrogazioni e compiti in classe.
«Ormai si fanno solo test all’americana, crocette e via, sembriamo nozionisti in batteria», scherza Paolo, II ginnasio al Minghetti. «Abbiamo bisogno di lezioni più attente ai temi di oggi: siamo andati alle cerimonie per i morti di Srebrenica, a vedere lo spettacolo in teatro, ma della guerra in Yugoslavia nessuno ha mai parlato», fa eco Barbara, V Sabin.
Ce n’è anche per come i professori interrogano e verificano la preparazione: niente interrogazioni programmate, molto meglio che ogni giorno si faccia un po’ di domande a tutti. «È un modo per vedere la preparazione complessiva», spiega la giovane. «Sì, ma così devi studiare sempre....», contesta Pamela, studentessa del secondo anno.
I miti Che Guevara e il sub comandante Marcos non abitano più qui. I miti degli occupanti della nuova generazione sono altri: meno ideologizzati e più concreti. I missionari comboniani e quelli che si battono contro le ingiustizie nel terzo mondo, ma anche i volontari di casa nostra, chi ogni giorno lavora al fianco di chi soffre come chi si occupa di studi e ricerche scientifici.
Meno ideologizzati dei loro genitori, i ragazzi che in questi giorni stanno occupando le scuole bolognesi hanno persino tolto la “k” dalla scritta “occupazione”. Non più la lettera dell’alfabeto che ha caratterizzato due decenni di proteste (gli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70: Okkupazione, Kultura, Kossiga, ecc....), ma una italianissima “occupazione”.
A tenere banco nelle aule trasformate in forum sono soggetti collettivi: il popolo di Genova come i movimenti della pace di questi ultimi anni. A guardarci bene un mito c’è: ma è in negativo, è il nemico contro cui scagliarsi. Si tratta del presidente Bush, indicato dai più come «la causa della guerra e dell’instabilità del mondo».
Sorprese anche al capitolo libri: se l’anno scorso nei cortei era ricomparso il Libretto rosso di Mao, nelle scuole occupate il cult è Angeli e Demoni di Dan Brown. Un altro segno di come l’impegno politico sia vissuto con passione, ma a tasso ideologico attenuato.
Fonte: http://www.ildomanidibologna.it/articolo_01.htm
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