Breve cronaca dell'assemblea di Bussoleno
No Tav in Val di Susa: un’assemblea che pone molti problemi e lascia ben sperare
Bussoleno, 02 novembre 2005
Presso il Centro Polivalente di Bussoleno si è tenuta un’assemblea indetta da una cinquantina di delegati e delegate sindacali della Val di Susa per lanciare uno sciopero di Valle a sostegno della mobilitazione contro l’Alta Velocità. L’iniziativa è, con ogni evidenza, promossa dalla Fiom di Torino e dalla sinistra CGIL, e ha due obiettivi: - offrire una sponda sindacale al movimento in un momento di altissima tensione; - premere sulle segreterie provinciali di CGIL, CISL e Uil affinché lancino lo sciopero.
Il secondo obiettivo è palesemente solo simbolico; i gruppi dirigenti dei sindacati concertativi piemontesi sono, infatti, notoriamente ed esplicitamente, pro TAV, sia perché nel loro modello di pratica sindacale le grandi opere, prescindendo dalla loro utilità o nocività, vanno bene come occasione occupazionale, sia, soprattutto, per i legami organici che hanno con L’Unione e, di conseguenza, con la giunta regionale, provinciale e comunale (anch’esse pro TAV) perché interessate alla gestione dei massicci finanziamenti che i lavori comportano e, al massimo, disponibili ad una qualche trattativa con gli enti locali della Valle. Ma tant’è, ognuno gioca come ritiene la propria partita e il richiamarsi alla base, sincero o strumentale che sia, della sinistra sindacale CGIL, non è certo una novità. Gli scontri che hanno coinvolto la Valle nei giorni scorsi e l’occupazione militare della Valle stessa, hanno modificato radicalmente la situazione. Non è più una semplice assemblea sindacale, ma vede la presenza di moltissime persone reduci dagli scontri e dalle mobilitazioni. La Federazione Regionale della CUB, appena informata dell’ipotesi di sciopero, ha provveduto ad attivare le procedure previste dalla legislazione sull’esercizio del diritto di sciopero per il settore pubblico, in modo da permettere la mobilitazione dei lavoratori della scuola, della sanità e dei pubblici servizi oltre che, ovviamente, favorire lo sciopero di quelli del settore privato. Paradossalmente, solo la presenza di un sindacato alternativo, combattivo e determinato ha permesso l’allargarsi dello sciopero ad un settore che la Fiom, per la sua natura di sindacato industriale e, soprattutto, per i vincoli che le pone la CGIL, non avrebbe potuto coinvolgere. È uno dei rari casi in cui la radicalità e la chiarezza del conflitto in corso permettono iniziative comuni; ci si divide, infatti, sulla tutela dell’ambiente e sulla difesa di libertà che l’occupazione militare della Valle, da parte di polizia e carabinieri, ha pesantemente compromesso. O si sta con la polizia o con i valligiani e diversi autorevoli esponenti del governo regionale e provinciale, posti di fronte a quest’alternativa secca, hanno fatto la loro scelta, stanno con i ragazzi in blu o, meglio, con chi li ha spediti in Valle. L’assemblea, oltre che straordinariamente partecipata, al punto che centinaia di persone restano fuori dalla sala e ascoltano grazie agli altoparlanti, è vivace ed interessante. Sullo sciopero, in realtà, non ci sono problemi: si stabilisce di farlo mercoledì 16 novembre, sia a causa dei limiti posti dalla legislazione sullo sciopero, sia, soprattutto, per avere il tempo di organizzarlo bene. Le questioni che emergono sono sostanzialmente tre: - il giudizio durissimo sul comportamento delle forze di polizia che, non solo hanno premuto per un’intera giornata, al fine di picchettare i siti dove dovranno essere fatte le trivellazioni, ma, dopo essersi impegnate a ritirarsi, hanno aspettato che i manifestanti togliessero i presidi per provvedere a picchettare in maniera, fra l’altro, illegale. Mentre i rappresentanti delle istituzioni, locali e nazionali, si lamentano orribilmente della mancanza di correttezza da parte del vice questore che dirige le operazioni, i rappresentanti dei comitati anti-TAV hanno detto con chiarezza che, dopo questo “scherzo”, rifiuteranno di dare qualsiasi fiducia alle forze dell’ordine; - l’assemblea ha reso perfettamente visibile la spaccatura tra istituzioni e partiti della Valle, e istituzioni e partiti regionali e nazionali. Le rappresentanze istituzionali locali, almeno in questo momento, vivono un conflitto fortissimo con i livelli superiori della struttura cui appartengono, e questo vale sia per le forze politiche di destra sia per quelle di sinistra. Che in questa dialettica vi siano delle ambiguità è assolutamente evidente, ma questa è la situazione ad oggi. È, lo sappiamo, già avvenuto che le istituzioni locali abbiano tentato mediazioni al ribasso e si siano scontrate duramente con i Comitati; è assolutamente chiaro che il loro sogno è di tornare alla “politica” come gestione specialistica delle questioni sociali. Per ora l’arroganza del governo ha spinto le istituzioni locali su posizioni d’opposizione analoghe, ma non coincidenti con quelle dei Comitati no Tav; come ben sappiamo, il futuro riposa sulle ginocchia degli dei ed il rapporto fra movimento ed istituzioni, politiche o sindacali che siano, è una partita sempre aperta; - tutti gli intervenuti nell’assemblea hanno posto l’accento sul carattere vasto e unitario del movimento, rifiutando la tradizionale trappola che tendono i politici nazionali e i media, presentando i valligiani come utili idioti manipolati da amministratori politici, squatter e autonomi. Era evidente che, di fronte a questa campagna mediatica, i partecipanti all’assemblea si sentivano offesi e umiliati, e che rivendicavano, in primo luogo, la propria dignità di individui pensanti. In realtà, il rapporto fra autoctoni e compagni che sostengono il movimento è buono: come ha detto un intervenuto, le valli sono un luogo di passaggio e di confronto, non ambienti chiusi ed arroccati. La Val di Susa, d’altronde, ha una tradizione di lotta e di scontro col potere che rivive nell’unico modo vero, non come memoria imbelle ma come pratica di azione e di unità fra le persone. Tre anche le questioni aperte, due immediate ed una di medio periodo: - è necessario, se il governo non mollerà (e nulla fa pensare che, dopo il pasticcio che ha combinato, lo faccia) tenere sul territorio garantendo informazione, confronto, mobilitazione. È questa l’evidente preoccupazione dei comitati, i cui esponenti si fidano sino ad un certo punto dei sindaci e della comunità montana; - è altrettanto necessario allargare il fronte, coinvolgere le popolazioni del resto della provincia, coordinare questa mobilitazione con altre analoghe, dalle regioni del nord (coinvolte anch’esse dall’alta voracità) alla Sicilia, da questa parte della frontiera e da quella francese. Lo sciopero del 16 novembre potrà essere un passaggio in questa direzione. Va, a questo proposito, evitata ogni deriva localista, ogni demagogico inno – il presidente della Comunità Montana dell’Alta Val di Susa si è assai speso in questo senso con l’effetto che, essendo leghista, è sembrato proponesse la secessione della Val di Susa dalla Padania - alla Val di Susa come situazione unica e chiusa in sé stessa, e legare l’azione contro il Tav alla rivendicazione generale di trasporti pubblici decenti, di difesa del territorio, di tutti i territori; - l’assemblea ha visto la tensione fra una pratica di democrazia diretta, fondata sulla partecipazione delle donne e degli uomini coinvolti nei problemi che li riguardano, e una pratica di democrazia formale affidata alla mediazione politica. Nei discorsi dei politici più avvertiti si coglieva la preoccupazione per una possibile messa in discussione del loro ruolo. Dal nostro punto di vista c’è solo da sperare, e da lavorare, perché questa preoccupazione sia fondata. Il gusto della libertà è forte e contagioso e ogni volta che le donne e gli uomini concreti lo provano non è facile farlo dimenticare.
Cosimo Scarinzi
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