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lettera aperta a Giulio Giorello
by su infantilismo, estremismo e dintorni Friday, Nov. 04, 2005 at 2:06 AM mail:

Lettera aperta a Giulio Giorello

Scriviamo queste notazioni a commento di alcune affermazioni del Prof. Giulio Giorello, pubblicate in un articolo del quotidiano La Repubblica del 2 novembre 2005 in merito all'occupazione in corso alla Statale di Milano. http://italy.indymedia.org/news/2005/11/911784.php.
Nella consapevolezza delle distorsioni operate sistematicamente dalla stampa, è possibile che esse vengano smentite. Resta il fatto che gli argomenti sono degni di attenzione in quanto tali.

Ci pare anzitutto degno di nota il monito contro l’infantilismo e l’estremismo, “malattia infantile” si dice, citando “il buon vecchio Lenin”.
A prescindere dal fatto che la citazione è monca, in quanto Lenin parlava della “malattia infantile del comunismo” (il che palesa di per sé quanto fuori luogo sia tale citazione in una discussione sull’attuale occupazione dell’Università), e a prescindere dal fatto che Lenin non fu proprio un moderato (posto che parlava idealmente con un mitra in mano, oltre ad essere il sostanziale mandante e responsabile politico in prima persona dei massacri non solo dei Machnovisti, ma anche dei bolscevichi di Kronstadt), è la nozione stessa di estremismo che non ha valore in assoluto. Si tratta infatti di un concetto vago e soggetto al mutare dei tempi. Mazzini, a suo tempo, fu un estremista. Oggi, sarebbe quantomeno Presidente della Repubblica Italiana.

Ma forse, per definire la nozione di estremismo, è illuminante il suo accoppiamento con quella di infantilismo. L’infante – come in un certo modo il barbaro – è colui che non ha parola e che ovviamente, non avendola, non può in alcun modo chiederla. Conseguentemente, egli è colui che compie un gesto per prendersela. Si tratta del gesto di chi giunge ad esprimersi con un atto di rottura, di rottura con se stesso (cioè col suo stato di esclusione ed inferiorità) e con il mondo circostante (cioè con i codici ai quali non ha accesso). Da questo punto di vista i diseredati, gli oppressi, gli esclusi, i dannati della terra sono tutti infantili – e, conseguentemente, “estremisti” nelle loro azioni spontanee, vale a dire quando non sono imbrigliati nei giochi della rappresentanza e del dialogo. Perché è noto il meccanismo fittizio del dialogo: la richiesta di delegati e rappresentanti che, una volta ritrovatisi in contesti discutivi che non conoscono o, se preferiamo, in giochi linguistici di cui non padroneggiano le regole verranno rapidamente infinocchiati – a meno che non ci si affidi ai famigerati professionisti della rappresentanza, i quali notoriamente conoscono bene il linguaggio del Potere, perché di esso sono un elemento fondamentale. Non a caso Giolitti sosteneva che per reprimere le masse i sindacalisti erano più utili dell’esercito.

Certo, gli studenti della Statale non sono proprio i dannati della terra. Ma ciononostante essi sono in grado di percepire sulla propria pelle una situazione cronica di “vita offesa”, di desideri strozzati, di vitalità schiacciata. Se nell’attuale esperienza dell’occupazione della Statale non riusciamo a vedere la vita che si ribella, che si esprime, che si amplifica, significa che ci sfugge come in questo mondo siamo sempre più costretti a sopravvivere a noi stessi o – il che è lo stesso – a crescere già vecchi.

La seconda notazione che ci preme fare riguarda il monito contro ciò che rischia di diventare fine a se stesso. Ci dispiace, ma non riusciamo a condividere questo principio utilitaristico. Non è solo l’utile ad avere valore. Tale equazione vale solo per una logica di mercato, per il meccanismo delle merci, non per la dinamica dell’esperienza. Ciò non significa che valga solo ciò che è fine a se stesso, cioè che in se stesso si consuma e si esaurisce. Walter Benjamin ha utilizzato la nozione di mezzo puro. Un mezzo puro è qualcosa che ha senso nel suo semplice accadere (ed in ciò è molto prossimo alla nozione di ciò che è fine a se stesso), per quanto il suo accadere sia sempre anche un transito, un transito ad una maggiore potenza di vivere, un segreto appuntamento con eventi a venire. Spinozianamente, intendiamo questo transito come sinonimo di letizia.

Nonostante la tetraggine esistenziale in cui la normalità quotidiana tenta di soffocarci, riusciamo ancora ad intravedere momenti di pienezza vitale proprio nelle esperienze che valgono per il loro semplice accadere transitivo: la contemplazione estetica del bello (invero esperienza difficile in mondo – e in una città – come quello che ci circonda) è un mezzo puro; la maggior parte delle nostre pratiche sessuali, che (con buona pace di Sua Santità) non sono finalizzate alla procreazione, si compiono nel puro godimento del piacere sessuale, il quale è un mezzo puro; la pratica dell’amicizia è un mezzo puro, così come quella della filosofia e di buona parte degli studi umanistici.
La lotta politica, quando si configura come pratica spontanea e autorganizzata, può avere la stessa valenza: in essa si gioisce e si aumenta la propria potenza di pensare e agire. In ciò è ancora possibile trovare senso e pienezza di vita, in una transizione a una maggiore gioia d’esistere: un mezzo puro.


p.s.: gli estensori di questa lettera hanno provveduto ad inviarla al Prof. Giorello in versione firmata



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