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le domade di DAVID IRVING il negazionista in carcere
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IL NEGOZIATORE Monday, Nov. 28, 2005 at 5:47 PM |
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ECCO COME INIZIAVA LE SUE INTERVISTE : Chiunque creda alla realtà dell'Olocausto e delle camere a gas, deve essere in grado di rispondere alle domande che seguono...
Ponete queste domande agli storici, ai giornalisti e alle altre persone che difendono la tesi della storiografia ufficiale. 1) Credete, poiché il comandante di Mauthausen Franz Ziereis l'ha confessato poco prima di morire, che da un milione a un milione e mezzo di persone siano state gassate nel castello di Hartheim presso Linz? Se sì, perché non lo crede più nessuno? Se no, perché credete voi dunque alla gassazione di un milione, un milione e mezzo di persone ad Auschwitz? Perché la confessione di Höss - di cui è provato che fu estorta sotto tortura e che riferiva di tre milioni di morti in un solo campo - dovrebbe essere più degna di fede di quella di Ziereis, di cui più nessuno parla da decenni? 2)alle gassazioni di Dachau - delle quali un pannello attesta che non hanno mai avuto luogo - e di Buchenwald? Se sì, perché nessuno storico vi crede più da molto tempo? Se no, perché credete allora alle camere a gas di Auschwitz e di Treblinka? Quali prove dell'esistenza di queste camere a gas mancano nel caso delle camere a gas di Dachau e Buchenwald? 3)che centinaia di migliaia di ebrei siano stati assassinati col vapore a Treblinka come si è preteso al processo di Norimberga nel dicembre 1945? Credete ai «mulini per uomini», nei quali milioni di ebrei sono stati uccisi con la corrente elettrica come lo crede Stefan Szende, dottore in filosofia? Credete che a Belzec 900.000 ebrei siano stati trasformati in sapone di marca RIF - Rein Judisches Fett [puro grasso ebraico] - come scrive Simon Wiesenthal? Credete alle fosse incandescenti del signor Elie Wiesel e ai vagoni con la calce viva del signor Jan Karski? Se sì, perché nessuno storico condivide più le vostre convinzioni su questi punti? Se no, perché credete dunque alle camere a gas? Perché rigettate un'assurdità per credere ad un'altra? 4)spiegate che per un solo assassinio a colpi di pistola si debba produrre al processo una perizia sull'arma del crimine e sui proiettili, mentre per nessuno dei processi sui campi di concentramento una perizia dell'arma del reato è stata ordinata, quando erano in causa milioni di morti? 5)una camera a gas nazista nella quale degli ebrei sono stati assassinati per mezzo dello Zyklon e spiegatene il funzionamento. 6)l'esecuzione di un condannato a morte in una camera a gas americana, quest'ultima deve essere accuratamente ventilata prima che un medico, dotato di un grembiule di protezione, di una maschera antigas e di guanti, possa penetrarvi. Secondo la confessione di Höss e le testimonianze oculari, i commando speciali di Auschwitz entravano nelle camere a gas sature di acido cianidrico immediatamente o dopo una mezz'ora dalla gassazione di 200 prigionieri, non solamente senza maschera antigas, ma con la sigaretta in bocca e maneggiavano i cadaveri contaminati senza esserne danneggiati. Com'era possibile? 7)un solo storico pretende che vi siano stati dei crematori nei due «campi di sterminio» menzionati sopra [Treblinka e Belzec], né a Sobibor né a Chelmno. Come hanno potuto i nazisti far sparire i cadaveri di 1,9 milioni di persone assassinate in questi quattro campi in modo tale che non ne sia rimasta la minima traccia? 8)abbiamo bisogno di testimonianze né di confessioni per sapere che gli americani hanno lanciato bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nell'agosto del 1945. Come può avvenire che non si disponga di una qualunque prova, altro che di testimonianze e di confessioni per un genocidio che ha fatto milioni di vittime nelle camere a gas - non un solo documento, non cadaveri, non l'arma del crimine, niente? 9)il nome di un solo ebreo gassato e fornitene la prova - una prova che possa essere accettata da un tribunale giudicante secondo i principi del diritto comune in un normale processo criminale apolitico. Una prova! Una prova soltanto! 10)censimento dell'inizio del 1939 registrava in Unione Sovietica poco più di tre milioni di ebrei. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Paese ha perduto - almeno - il 12 % della sua popolazione e la percentuale di perdite ebree è stata certamente superiore. Il 1· luglio 1990, il New York Post, citando esperti israeliani, constatava che più di 5 milioni di ebrei vivevano ancora in Unione Sovietica quando l'emigrazione massiccia era in atto da molto tempo. Poiché una simile crescita naturale non è possibile, a causa di un tasso di natalità molto basso, ci sarebbero dovuti essere statisticamente circa 3 milioni di ebrei «di troppo» in questo Paese prima dell'inizio dell'onda di emigrazione degli anni Sessanta. Può questo stato di cose spiegarsi altrimenti che col fatto che una grande parte degli ebrei polacchi e molti ebrei di altri paesi siano stati assorbiti dall'Unione Sovietica? 11)pronti a chiedere la sospensione delle misure giudiziarie dirette contro i revisionisti? Siete favorevoli al libero dibattito e all'apertura completa degli archivi? Sareste pronto a discutere pubblicamente con un revisionista? Se no, perché? Non avete fiducia nel valore delle vostre argomentazioni? 12)vi fosse possibile accertare che le camere a gas non sono esistite, pensate che la scoperta dovrebbe essere tenuta nascosta o divulgata?
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se si se no
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uno Monday, Nov. 28, 2005 at 5:53 PM |
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ma perche' ste porcate non le posti sui tuoi siti di teste pelate di merda?
nessuno qui ti dara' mai seguito..potrai ricevere solo insulti..non lo hai ancora capito?
e non e' perche' non siamo capaci di rispondere ma perche' non vogliamo sprecare tempo con i nazi come te...
Se si...ma allora...se no poi..perche' credete se nessuno crede..ma poi a che ora?
no perche io ci credose tu ci credi cambio idea....
fanculo fuori i nazi da indy!
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perche' su INDY ?
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NEGOZIATORE Monday, Nov. 28, 2005 at 6:28 PM |
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primo perche' non sono un FASCISTA e non mi piace la censura e la galera per NESSUNO qualunque idea professi
secondo perche' me ne fotto degli insulti che ricevo , sono molti di piu' coloro che leggono senza commentare e cio' e' quello che CONTA che la gente sappia cosa ha detto un uomo per finire in carcere
ciao
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Perche' non si vuole fare chiarezza?
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io Monday, Nov. 28, 2005 at 6:54 PM |
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Non capisco il perche' degli insulti contro IRVING e contro chi posta i suoi articoli. Credo che la chiarezza sia di sinistra mentre la CENSURA E' DI DESTRA, dunque parliamone e chiariamo. La chiarezza ed il dibattito sulle logicissime osservazioni portate dai revisionisti credo che sarebbe bene per tutti. La verita' e' necessaria ed urgente, specialmente a sinistra e specialmente per gli ebrei stessi.
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nessuno nega ISRAELE
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ADINO Monday, Nov. 28, 2005 at 7:18 PM |
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IO sono disgustato dal regime hitleriano e sto' dalla parte di chi e' stato ucciso o messo in campi concentramento perche' "nemico" del regime
ma proprio per la liberta' non mi va che venga incarcerato chi la pensa diversamente ognuno deve essere libero di professare le sue idee specie se suffragate da ipotesi con prove o documentazioni
sarebbe giusto che qualcuno provasse a mettere in discussione con un confronto questi revisionisti e comunque devono dire la loro
incarcerandoli per le idee , si compie un attto ignobile che oltretutto va a discapito degli ebrei
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conoscete Arthur R.Butz ?
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ANTI FA' Monday, Nov. 28, 2005 at 7:20 PM |
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deciso di riportare - sarò impopolare - un articolo di Arthur Butz che tende a considerare lo sterminio degli ebrei una grande ed assurda leggenda. Preferisco, per ovvie ragioni, evitare qualsiasi commento. Questo mio "silenzio", però, rappresenta e rappresenterà una forte risposta ad una voce fin troppo sterile che è utile ascoltare per capirne in breve tempo la pochezza.
di Arthur R.Butz Esistono tre concrete ragioni per cui si dà generalmente credito alla leggenda, ampiamente diffusa, ma erronea, secondo la quale sarebbero stati milioni gli Ebrei uccisi dai Tedeschi durante la II guerra mondiale. Innanzi tutto vi è il rinvenimento, ad opera delle truppe inglesi e americane, di orripilanti pile di cadaveri ammassate all'interno dei campi della Germania occidentale (tra i quali Dachau e Belsen) liberarti nel '45. In secondo luogo si considera che in Polonia non sono più presenti consistenti comunità ebraiche. Il terzo motivo è che la quasi totalità degli storici e degli studiosi considerano verosimile questa leggenda.
Durante le due guerre mondiali, la Germania fu sempre impegnata a fronteggiare le epidemie di tifo che scoppiavano a causa dai pidocchi introdotti nei traffici commerciali con l'oriente. Ciò spiega il fatto che i prigionieri dei campi di concentramento tedeschi raccontino della rasatura dei capelli, delle docce frequenti e di altre procedure d'igiene quali il trattamento dei locali con un insetticida, lo Zyclon. Ciò spiega inoltre l'elevato tasso di mortalità nei campi e la presenza al loro interno dei forni crematori.
Quando, sul finire della guerra, la Germania entrò nel caos, tali misure cessarono e, di conseguenza, il tifo e altre malattie si diffusero rapidamente tanto da ridurre dei tre quarti la popolazione dei campi, per lo più composta da prigionieri politici, criminali comuni, omosessuali, obbiettori di coscienza, ed ebrei, tutti destinati ai lavori forzati. Di qui l'orrido spettacolo offerto ai soldati inglesi e americani, il quale, tuttavia, non aveva nulla a che vedere con lo "sterminio", né con nessun'altra deliberata politica persecutoria. Si consideri, inoltre, che i campi della Germania occidentale non sono additati come "campi di sterminio", definizione che, invece, si vorrebbe attribuire a quelli polacchi (ad es. Auschwitz e Treblinka). Questi ultimi furono tutti sgomberati e chiusi prima dell'arrivo dei Sovietici i quali, pertanto, non si imbatterono in tali drammatiche scene.
La "Soluzione Finale" di cui si parla nei documenti tedeschi era, in realtà, un programma di evacuazione, trasferimento e deportazione degli Ebrei, il cui fine ultimo doveva consistere nella loro espulsione dall'Europa. Durante la guerra, Ebrei di varie nazionalità vennero trasferiti verso est come primo passo di questa Soluzione Finale. La leggenda vorrebbe far credere che il motivo principale di questo trasferimento fosse lo sterminio. La maggioranza delle pretese vittime dell'Olocausto non sarebbero originarie né della Germania, né degli altri stati dell'Europa continentale, ma proverrebbero, invece, dall'Europa dell'est; per questo motivo, una ricostruzione del problema basata sugli studi statistici è da sempre risultata praticamente impossibile. Rimane comunque il fatto che in Polonia non esistono più comunità ebraiche numericamente consistenti. In realtà, i Tedeschi furono solo una delle parti coinvolte nel trasferimento e nello spostamento delle popolazioni ebraiche europee. Nel 1940 i Russi deportarono quasi tutti gli Ebrei della Polonia occidentale in Unione Sovietica. A guerra finita, mentre un gran numero di Ebrei polacchi e di altre nazionalità si muovevano dai paesi dell'est alla Germania occupata, i sionisti si adoperavano per il loro insediamento in Palestina. Molti altri emigrarono in America e in altri stati, in condizioni che, nella maggioranza dei casi, rendevano impossibile un censimento numericamente attendibile. A ciò si aggiunga il fatto che i confini polacchi furono drasticamente modificati: l'intero territorio fu letteralmente spostato ad est.
E' vero che gli storici danno credito alla leggenda, ma esistono numerosi precedenti di incredibile cecità, anche da parte di studiosi illustri. Per esempio, nel medio evo, perfino i nemici politici del Papa avallavano la sua falsa pretesa secondo la quale, il potere di governare l'impero d'occidente gli sarebbe stato conferito, nel quarto secolo, da Costantino; in realtà, tutti sapevano bene che alla morte di Costantino tale potere non era passato al Papa, ma ai suoi successori. La quasi totalità di studiosi, ricercatori e accademici diventa sospetta, soprattutto in presenza di forti pressioni politiche; in alcuni paesi gli storici revisionisti vengono perseguiti dalla legge.
E' semplice dimostrare che la leggenda relativa allo sterminio merita almeno di essere considerata con scetticismo. Anche il lettore occasionale della letteratura sull'Olocausto sa perfettamente che, durante la guerra, tutti risposero con l'indifferenza a ciò che stava accadendo. Di conseguenza, si cerca comunemente di addossare le colpe della generale inattività al Vaticano, alla Croce Rossa e agli alleati (in particolare ai servizi segreti) e di spiegare che gli Ebrei non opposero resistenza alla deportazione poiché non sapevano a cosa andavano incontro. Mettendo insieme tutto ciò, si giunge allo strano paradosso per cui per quasi tre anni i treni tedeschi avrebbero girato l'Europa portando regolarmente e sistematicamente milioni di Ebrei alla morte, senza che nessuno si accorgesse di niente, eccetto, forse, qualche leader ebraico che, all'epoca, parlò pubblicamente di "sterminio".
Ad un'osservazione più attenta, ci si accorge, però, che nemmeno queste poche persone agirono per contrastare ciò che a loro avviso stava accadendo. I normali canali di comunicazione tra paesi occupati e neutrali rimasero sempre aperti, quindi, se la leggenda fosse in qualche modo valida, chi sapeva avrebbe avuto la possibilità di diffondere la notizia.
Tale incredibile ignoranza deve poi essere attribuita anche al reparto di spionaggio militare comandato da Hans Oster, che in una recente pubblicazione è stato definito, a ragione, "la vera opposizione a Hitler all'interno dello stato maggiore".
Gli elementi che oggi sono indicati come prove, in realtà, emersero nei tribunali solo a guerra finita e si riducono, quasi unicamente, a testimonianze orali e "confessioni". Senza i processi, non si avrebbe quindi nessuna prova dello "sterminio". Questo punto va valutato con attenzione. Sono stati necessari i giudici per determinare che la battaglia di Waterloo è stata realmente combattuta? I bombardamenti di Amburgo e Dresda? Hiroshima e Nagasaki? I massacri in Cambogia? Invece, questo programma di genocidio di portata continentale, protrattosi per ben tre anni, che avrebbe provocato milioni di vittime, deve essere dimostrato in un aula di tribunale. Queste premesse non mi conducono a sostenere che i processi furono illeciti o parziali, ma solo a ribadire che una logica come questa, su cui la leggenda si basa, non deve essere favorita o sostenuta in alcun modo. Eventi di questa portata non possono aver luogo senza lasciarsi alle spalle una minima prova della loro esistenza, così come non è credibile che un grosso incendio possa divorare una foresta senza alzare un filo di fumo. Allo stesso modo si dovrebbe credere che New York sia stata rasa al suolo se solo si trovasse qualcuno disposto a confessare il gesto...
Considerazioni specifiche su ciascuna delle prove poste a sostegno della leggenda sono materia per la letteratura revisionista e non possono essere qui singolarmente analizzate, eccetto per un punto. La pretesa della leggenda è che non siano mai esistiti strumenti appositamente dedicati allo sterminio, ma che ve ne fossero altri, originariamente destinati a scopi diversi, che svolsero, per così dire, una doppia funzione. Insomma, gli Ebrei furono gassati con un insetticida, lo Zyclon, e i loro cadaveri vennero fatti sparire, assieme a quelli di persone morte per cause "ordinarie", nei forni crematori (se si desse credito a questa teoria, mancherebbero all'appello i resti o le ceneri di milioni di corpi mai ritrovati).
Senza dubbio, di fronte a quanto qui esposto, qualunque persona dotata di raziocinio deve essere scettica.
Se vuoi commentare questo articolo scrivi a shoahnet@gndesign.it
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CASI INTERESSANTI
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LINK Monday, Nov. 28, 2005 at 7:22 PM |
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Hobsbawm: l’Olocausto, eredità di un secolo (di Gianni Cimalando)
Il quotidiano "La Stampa", in occasione dell’assegnazione all’illustre storico inglese della laurea honoris causa, da parte dell’Università di Torino, pubblica un ampio stralcio della sua lectio magistralis . Forse il titolo dato all’articolo può trarre in inganno, inducendo a pensare che si tratti della solita analisi sull’Olocausto, al contrario, la lettura del medesimo, si rivela ricca di stimoli e didatticamente utile ad una serie di riflessioni. Innanzitutto, la prima parte del testo affronta il tema della contesa tra gli storici revisionisti (in particolare l’inglese David Irving) e un certo tipo di sostenitori dell’Olucausto (in questo caso l’americana Deborah Lipstadt). In questa sezione dell’articolo, Hobsbawm prende le distanze sia dalla posizione di Irving sia da quella della Lipstadt e lo fa in nome del fatto che entrambi, ma soprattutto la seconda, non sembrano disposti ad accettare un approccio ai fatti di tipo empirico e documentale e continuano a farsi guidare da quella che lui chiama "la sfera della partigianeria politica". Anche la seconda parte della riflessione dello storico mi sembra assolutamente utile per la didattica: ho spesso rilevato che il modo attraverso il quale il fenomeno dello sterminio ebraico viene proposto agli studenti, risulta poco problematico, si basa su affermazioni dogmatiche e tende a non problematizzare, quasi fossero ininfluenti, questioni quali il numero delle vittime, la natura e l’estensione dell’uso dello Ziklon B, i documenti (che non esistono!), che dimostrano il coinvolgimento diretto di Hitler nell’ordinare lo sterminio nei campi, ecc. . Il problema delle fonti, insomma. L’altro aspetto significativo, dal punto di vista della riflessione per gli studenti, è la possibilità di ricavare utili indicazioni per una corretta procedura nell’applicazione del metodo storico, procedura che Hobsbauwm esemplifica proprio attraverso il "caso" Irving/Lipstad e che mi sembra possa essere riassunta nella capacità, per lo storico, "di emanciparsi dall’eredità intellettuale dell’era delle guerre di religione che ha dominato il secolo ventesimo".
LINK
http://www.pavonerisorse.to.it/storia900/dibattito/dossier_olocausto.htm
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E Richard Harwood ?
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ANTI NAZI Monday, Nov. 28, 2005 at 7:27 PM |
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Questo fortunato studio di Richard Harwood abbraccia in una felice sintesi la sterminata letteratura riguardante la complessa questione della cosiddetta "Soluzione Finale”, che si è preteso di interpretare come sinonimo di piano di sterminio del popolo ebraico. Con una brillante e stringata argomentazione, condotta sulla base di un obiettivo esame critico delle fonti, Harwood fa crollare il colossale castello di menzogne, che i vincitori della Seconda Guerra Mondiale hanno costruito per meglio annientarci e asservirci. La perfezione dei sistemi di suggestione, la stupidità delle masse e il pressochè totale controllo dei mezzi di informazione, hanno permesso ai vincitori di far accettare come fatti certi e documentati le più assurde ed infondate menzogne. Il lettore aperto alla verità, leggendo questo scritto, constaterà sbalordito e turbato che “il mondo libero” non è meno intollerante e terrorista del mondo “non libero”, quando si tratta di censurare o di manipolare certe informazioni. E apprenderà così, che non esiste una sola prova, un solo testimone che permettano di verificare l’esistenza delle leggendarie “camere a gas”; e che statistici, anche di parte ebraica, fissano il numero di Ebrei morti durante la Seconda Guerra Mondiale al di sotto del mezzo milione. Indicano cioè cifre, che nel bilancio tragico di una guerra come quella del 1939-45, non autorizzano a parlare di un piano di sterminio del popolo ebraico né quindi di campi di sterminio. Al termine della rigorosa disamina, l’Autore giunge legittimamente alla conclusione che i Lager tedeschi nel e del periodo bellico altro non erano che luoghi destinati all’internamento di cittadini di un paese nemico (il 5 settembre 1939, l’ebraismo internazionale aveva infatti dichiarato ufficialmente guerra al III Reich, per bocca del suo massimo rappresentante Chaim Weitzmann, ponendo così agli Ebrei nella condizione appunto di cittadini di un paese nemico), creati per motivi di sicurezza e attrezzati in modo da permettere l’utilizzazione di una mano d’opera, che rimpiazzava in qualche modo quella tedesca, in sempre crescente misura impiegata al fronte. Negli ultimi mesi di guerra, in alcuni di questi campi, come per esempio Bergen-Belsen, sia per la carenza di viveri e di mediciali (dovuta alla distruzione del sistema di comunicazioni stradali e ferroviarie, provocata da apocalittici bombardamenti alleati), sia per le epidemie di tifo (provocate dalla caotica ed improvvisa evacuazione dei Lager dell’Est di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa), le condizioni di vita nei Lager peggiorarono e il tasso di mortalità degli internati salì tragicamente. Ora – a parte il fatto che la II Guerra Mondiale fu una guerra voluta e preparata dagli Ebrei, fu anzi la loro guerra – è più che comprensibile che essi piangano i loro morti; ma non è né giusto né tollerabile ch essi, accecati da loro fanatismo razzista, credano di avere il diritto di contraffare la realtà storica dei fatti e favoleggino di camere a gas e di piani di sterminio e moltiplichino per dieci o per venti le loro effettive perdite per trarne immensi vantaggi finanziari e politici. Ne sono morti davvero sei milioni ? — 4 — Non è giusto né tollerabile, perché ciò significa non solo misconoscere, ma anche e soprattutto, offendere – ignorandoli – gli immani e autentici lutti e le inerrabili sofferenze dei popoli europei di razza ariana. I quali non sono poi, tutto sommato, così stupidi come taluni credono; e, alla lunga, neanche tanto pazienti. NOTA EDITORIALE Ad memorian del cam. Armando Arena, che, ancor alla vigilia della sua tragica scomparsa, questa edizione sostenne. Ristretta è la cerchia di coloro che hanno voluto e saputo resistere sia alla lusinghe dell’opportunismo, sia al terrorismo delle istituzioni antifasciste, sia alle suggestioni della propaganda del nemico stravincente. Ma è tempo ormai che la massa del pubblico cominci a capire la natura e la funzione di tale propaganda. La nostra casa editrice, che già fece conoscere agli Italiani Paul Rassinier, presentando ora questo studio di Richard Harwood, scrittore e docente di storia politica e diplomatica della Seconda Guerra Mondiale presso l’Università di Londra, prosegue nella sua opera di demistificazione e illuminazione. Non è un compito facile: la storia ce lo insegna. Senza voler andare troppo lontano e ricordare le leggende di orrori create prima e durante la rivoluzione francese per aizzare le plebi contro l’aristocrazia, o i liberali contro Napoleone diffusi dall’Inghilterra all’epoca della lotta ventennale, basterebbe rifarci alla propaganda antitedesca al tempo della Prima Guerra Mondiale per capire come sia facile rendere credibili le più assurde menzogne. Allora le masse sciocche credettero a lungo ai bambini belgi con le mani mozzate, ai bagni di sangue del Kronprinz, ai delitti ordinati da Hinderburg, alla fabbricazione di sapone con i corpi dei soldati caduti, ecc. Ora, il problema che oggi si pone è di sapere quanto tempo occorra, questa volta, perché la verità confonda i mercanti di menzogna e faccia finalmente oper di giustizia. Le difficoltà di quest’opera di demistificazione sorgono da una realtà inquietante. La leggenda-tabù dello sterminio di Sei Milioni di Ebrei ha infatti la funzione di velare e “legittimare” i misfatti e le pretese di dominio di certo temutissimo sionismo, che in sempre crescente misura è in grado di condizionare in modo più o meno diretto, più o meno occulto gli organi di informazione e di controllo. (Chè, se così non fosse, non si capirebbe quale sia il meccanismo che ha sempre impedito alla “coscienza universale” di ricordare il preteso sterminio di 300.000 Zingari ad Auschwitz, i quali dovrebbero dunque aver subito una perdita di vite umane in proporzione superiore a quella, propagandata, degli Ebrei.) A conferma di questa realtà per noi umiliante e provocatoria, sottoponiamo al lettore due notizie recenti (le quali ci hanno stimolato a preparare questa edizione italiana). La prima riguarda un recente filmone televisivo americano, della durata complessiva di nove ore, che ripropone come verità storica la leggenda di Ne sono morti davvero sei milioni ? — 5 — Auschwitz, ignorando farisaicamente le recenti autorevoli demistificazioni della leggenda dei campi di “sterminio” e delle “camere a gas”. Questo filmone, il cui titolo è Olocausto, comparirà nel prossimo autunno anche sui teleschermi europei. La manipolazione in Olocausto è così evidente e per gli effetti di suggestione così grossolani, che perfino noti studiosi ebrei hanno preso posizione contro questo film, definendolo “infame e falso” e “probabilmente anche controproducente”. La seconda notizia l’abbiamo trovata nel Chicago Sun Times del 25 ottobre 1977, che una persona amica credette opportuno sottoporre alla nostra attenzione. A pag. 27 del giornale citato, un lungo articolo riferisce particolareggiatamente di una conferenza tenutasi il 23 ottobre 1977 presso la Northwestern University di Chicago sul tema “Il popolo ebreo nel periodo successivo allo sterminio”. Tra i partecipanti spiccavano i nomi dei professori Yehuda Bauer e Moshe David dell’Istituto di Ebraismo Contemporaneo della Hebrew University e del Dr. Victor Rosenblum della Northwestern University. Sconcertanti le dichiarazioni di questi professori. Davis e Bauer si dissero preoccupati per il fatto che il senso di colpa di fronte allo sterminio di 6 milioni di Ebrei si sta affievolendo, anche a causa di opere storiche che contestano la veridicità e la autenticità di tutti quei documenti che dovrebbero provare lo sterminio sistematico (soluzione finale) degli Ebrei. Davis disse testualmente: “Non si può fare affidamento sulla memoria, che non il tempo si affievolisce. Lo sterminio di 6 milioni di Ebrei deve diventare una convinzione. Deve essere inserito nei programmi scolastici di tutti i paesi della civilizzazione occidentale. Bisogna agire sulla memoria collettiva. Questo è un lavoro difficilissimo. Deve diventare un riflesso…”. Tali due notizie ci mettono brutualmente di fronte alla realtà della guerra psicologica e della persuasione occulta, fenomeni questi intanto pericolosi e insopportabili in quanto determinati in ultima analisi da forze estranee Schrenck-Notzing, Il lavaggio del Carattere, ed. Il Borghese, Milano). Tuttavia, la situazione di coloro che si battono per la verità è, sì, difficile – quando non anche pericolosa – ma non disperata. In questi ultimi anni si sono infatti moltiplicati i casi di scienziati, quali per esempio l’americano Arthur R. Butz e l’inglese Irving, che con opere rigorosamente scientifiche, ancorchè sistematicamente ignorate, hanno dimostrato quanto meno la non scientificità delle note leggende di orrori nazisti. Questo ci sprona e ci riconforta, perché siamo convinti che la buia notte che da 33 anni grava sul mondo detto libero, può essere fugata solo dal trionfo della verità. Ed è per essa che noi ci battiamo: perché il mondo l’aspetta, perché i nostri MORTI lo esigono. Questo sia ricordato ai nostri amici. Ai sionisti, quelli cattivi (perché pare esistano anche quelli buoni), vogliamo far giungere un ammonimento, citando uno scritto di Benito Mussolini, apparso su Il Popolo d’Italia del 31 dicembre 1936. Eccolo: “La gente distratta o che finge d’esserlo, si domanda come fa a nascere l’antisemitismo (…) La risposta è semplicissima: l’antisemitismo è inevitabile laddove il semitismo esagera con la sua esibizione, la sua invadenza e quindi la Ne sono morti davvero sei milioni ? — 6 — sua prepotenza. (…) L’annunciatore e il giustificatore dell’antisemitismo è sempre dunque uno solo: l’ebreo. Quando esagera e lo fa sovente.” Questo fortunato studio di Richard Harwood abbraccia in una felice sintesi la sterminata letteratura riguardante la complessa questione della cosiddetta Soluzione Finale, che si è preteso di interpretare come sinonimo di piano di sterminio del popolo ebraico. Con una brillante e stringata argomentazione, condotta sulla base di un obiettivo esame critico delle fonti, Harwood fa crollare il colossale castello di menzogne, che i vincitori della Seconda Guerra Mondiale hanno costruito per meglio annientarci e asservirci. La perfezione dei sistemi di suggestione, la stupidità delle masse e il pressochè totale controllo dei mezzi di informazione hanno permesso ai vincitori di far accettare come fatti certi e documentati le più assurde e infondate menzogne. Il lettore aperto alla verità, leggendo questo scritto, constaterà sbalordito e turbato che “il mondo libero” non è meno intollerante e terrorista del mondo “non libero”, quando si trata di censurare o di manipolare certe informazioni. E apprenderà così, che non esiste una solo prova, un solo testimone che permettano di verificare l’esistenza delle leggendarie “camere a gas”; e che statistici, anche di parte ebraica, fissano il numero di Ebrei morti durante la Seconda Guerra Mondiale al di sotto del mezzo milione. Indicano cioè cifre che, nel bilancio tragico di una guerra come quella del 1939-45, non autorizzano a parlare di un piano di sterminio del popolo ebraico né quindi di campi di sterminio. Al termine della sua rigorosa disamina, l’Autore giunge legittimamente alla conclusione che i Lager tedeschi nel e del periodo bellico altro non erano che luoghi destinati all’internamento di cittadini di un paese nemico (il 5 settembre 1939, l’ebraismo internazionale aveva infatti dichiarato ufficialmente guerra al III Reich, per bocca del suo massimo rappresentante Chaim Weitzmann, ponendo così gli Ebrei nella condizione appunto di cittadini di un paese nemico), creati per motivi di sicurezza e attrezzati in modo da permettere l’utilizzazione di una mano d’opera, che rimpiazza in qualche modo quella tedesca, in sempre crescente misura impiegata al fronte. Negli ultimi mesi di guerra, in alcuni di questi campi, come per esempio Bergen-Belsen, sia per la carenza di viveri e di mediciali (dovuta alla distruzione del sistema di comunicazioni stradali e ferroviarie provoca da apocalittici bombardamenti alleati), sia per le epidemie di tifo (provocate dalla caotica ed improvvisata evacuazione dei Lager dell’Est di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa), le condizioni di vita nei Lager peggiorarono e il tasso di mortalità degli internati salì tragicamente. Ora – a parte il fatto che la II Guerra Mondiale fu una guerra voluta e preparata dagli Ebrei, fu anzi la loro guerra – è più che comprensibile che essi piangano i loro morti; ma non è né giusto né tollerabile che essi, accecati dal loro fanatismo razzista, credano di avere il diritto di contraffare la realtà storica dei fatti e favoleggino di camere a gas e di piano di sterminio e moltiplichino per dieci o per venti le loro effettive perdite per trarne immensi vantaggi finanziari e politici. Ne sono morti davvero sei milioni ? — 7 — Non è giusto né tollerabile, perché ciò significa non solo misconoscere, ma, anche e soprattutto, offendere – ingnorandoli – gli immani e autentici lutti e le inenarrabili sofferenze dei popoli europei di razza ariana. I quali non sono poi, tutto sommato, così stupidi come taluni credono; e, alla lunga, neanche tanto pazienti. Berlino, 30 aprile 1978 Prof. Dr. A. D. Monaco http://www.msifiammatric.vr.it/Documenti%2FAUSCHWITZ1.htm Ne sono morti davvero sei milioni ? — 8 — INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE EFFEPI Alcuni ritengono quest'opera alquanto datata e talvolta imperfetta. Consapevoli di questi giudizi abbiamo riflettuto a lungo sull'opportunità di riproporla al lettore italiano. La decisione, com'è facile arguire, è stata favorevole alla pubblicazione. Alcune sbavature non inficiano un lavoro, come quello di Harwood, apprezzabile per mille altre ragioni. Si tratta, infatti, di un'opera estremamente leggibile, sintetica, che affronta, con spirito vivace e polemico, il tema dell'olocausto e le sue molteplici implicazioni. Oggi esistono, innegabilmente, molti studi più accurati sul piano delle fonti e più aggiornati. Come non pensare, per rimanere in Italia, alle opere di Carlo Mattogno, impeccabili e scientificamente ineccepibili, o ai contributi estremamente interessanti forniti dall'ing. Deana o agli scritti di Cesare Saletta, coinvolgenti e pervasi da una graffiante vena polemica mai disgiunta da una cultura a tutta prova? Il merito di Harwood è stato, ed è, quello di aver saputo offrire un quadro d'insieme, una panoramica a 360 gradi del pianeta Revisionismo. Abbiamo ritenuto utile inserire, in apertura, i giudizi di alcuni studiosi su questa breve esposizione ed in chiusura una serie di rilievi, talvolta motivati, spesso pretestuosi, mossi da storici sterminazionisti; alcuni commenti di Faurisson, Irving e Weber completano il quadro. [omessi] Dobbiamo questo contributo allo sforzo e alla competenza di Ahmed Rami, scrittore, giornalista e fondatore di Radio Islam, che pubblicamente ringraziamo. La presente edizione comprende alcuni brani che, inspiegatamente, erano stati omessi nella precedente versione italiana. Per concludere ci scusiamo con i lettori per aver omesso alcune illustra- zioni citate nel testo, la qualità, non eccelsa, del materiale non ci ha lasciato alternative. L’EDITORE (EFFEPI) http://www.effepiedizioni.com/pref-harwood.htm Ne sono morti davvero sei milioni ? — 9 — INTRODUZIONE DELL'AUTORE L'Autore pensa di avere raggiunto nei capitoli che seguono le prove inconfutabili che il fatto di pretendere che durante la seconda guerra mondiale siano morti sei milioni di Ebrei, vittime di un piano tedesco di sterminio, costituisca un'accusa assolutamente priva di fondamento. A questa conclusione, oggi certo molto scomoda, l'Autore è giunto, attraverso una ricerca condotta senza pregiudizi, partendo sia dalla considerazione che un numero di perdite così rilevante poteva certo giustificare qualche dubbio, sia dalla constatazione che da questi presunti crimini furono tratti enormi vantaggi politici. Dopo un attento studio del problema, sono oggi pienamente convinto, senza ombra di dubbio, che lo sterminio di sei milioni di Ebrei, non solo è una esagerazione, ma è una esagerazione della propaganda del dopoguerra. In realtà la propaganda basata su leggende di atrocità non è una novità. La si ritrova in ogni conflitto del XX secolo ed è certo che questo fenomeno si ripeterà anche in avvenire. Durante la Prima Guerra Mondiale si arrivò ad accusare i Tedeschi di mangiare i bambini belgi e di divertirsi a scagliarli in aria per poi infilzarli con la baionetta. Gli Inglesi affermarono ugualmente che le truppe tedesche avevano creato una "fabbrica per lo sfruttamento di cadaveri" dove facevano bollire i corpi dei loro caduti per ricavarne glicerina e altre sostanze. Un'offesa all'onore dell'armata imperiale! Dopo la guerra, tuttavia, gli Inglesi ritrattarono. Con una dichiarazione alla House of Commons (camera dei deputati) il ministro degli esteri inglese si scusò pubblicamente per l'offesa all'onore della Germania, ammettendo che si era trattato di propaganda di guerra. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale non è stata fatta alcuna ammissione del genere. In realtà, invece di attenuarsi, con il trascorrere degli anni, la propaganda basata sulle atrocità commesse durante l'occupazione e soprattutto sul trattamento riservato agli Ebrei non ha fatto che aumentare in virulenza, perfezionando sempre più il suo catalogo di orrori. Edizioni economiche la cui lettura fa rabbrividire, con illustrazioni raccapricciánti, continuano ad essere pubblicate e ingigantiscono sempre più le favole sui campi di concentramento, spiegando che in essi furono uccisi non meno di sei milioni di Ebrei. Nelle pagine che seguono questa pretesa si rivelerà essere nient'altro che una colossale menzogna e la più grossa manipolazione di tutti i tempi. Si tenterà di rispondere a una importante domanda: da cosa dipende il fatto che i racconti di orrori della Seconda Guerra Mondiale abbiano avuto un diverso sviluppo rispetto a quelli della Prima Guerra Mondliale? Perché i racconti di orrori della Prima Guerra Mondiale vennero ritrattati, mentre quelli della Seconda Guerra Mondiale continuano a essere ripetuti, oggi più di ieri? È possibile che la storia dei Sei Milioni di Ebrei abbia un fine politico? o sia addirittura una forma di ricatto politico? A1 popolo ebraico una tale menzogna offre vantaggi incalcolabili. Ogni razza, ogni popolo ha sofferto la sua parte di dolori durante la Seconda Guerra Mondiale, ma nessuno li ha sfruttati con tale successo, ricavandone un così grande vantaggio. Le presunte dimensioni della loro persecuzione fecero rapidamente aumentare le simpatie per la causa della fondazione di uno stato nazionale ebraico, così a lungo sospirato dagli Ebrei. Il governo britannico, che pure l'aveva dichiarata illegale, fece ben poco dopo la guerra, per impedire l'emigrazione degli Ebrei in Ne sono morti davvero sei milioni ? — 10 — Palestina, e non durò molto che i sionisti sottrassero la Palestina al controllo britannico e fondarono il loro stato di Israele. Merita attenta considerazione il fatto che il popolo ebraico sia uscito dalla Seconda Guerra Mondiale come una minoranza trionfante. Il Dr. Max Nussbaum, già rabbino capo di Berlino, dichiarò l'11 aprile 1953: "La posizione che il popolo ebreo oggi occupa nel mondo nonostante le gravi perdite sofferte è dieci volte più forte di quanto non lo fosse vent'anni fa." Avrebbe dovuto aggiungere, per onestà, che questa potenza è stata raggiunta grazie ai finanziamenti ottenuti speculando sul presunto massacro di sei milioni di Ebrei. Si tratta senza dubbio della più redditizia simulazione di ogni tempo. Il governo di Bonn ha già sborsato a titolo di riparazione l'incredibile somma di 36 miliardi di marchi, principalmente allo Stato di Israele (che al tempo della Seconda Guerra Mondiale ancora non esisteva), come anche individualmente ad Ebrei, che avevano preteso un indennizzo. Umiliazione del sentimento nazionale Ma, per ciò che riguarda il ricatto politico, la pretesa che sei milioni di Ebrei sarebbero morti durante la Seconda Guerra Mondiale, ha per il popolo britannico e gli altri popoli europei delle implicazioni di portata ben più vasta di quanto non siano grandi i vantaggi che ne ha saputo trarre il popolo ebraico. E qui si viene al punto centrale della questione. Perché questa colossale menzogna? Qual è il suo fine? In primo luogo essa viene utilizzata senza scrupoli per scoraggiare ogni forma di patriottismo e di nazionalismo. Qualora il popolo britannico o qualsiasi altro popolo europeo tentassero di comportarsi patriotticamente o di difendere la loro integrità nazionale, in un'epoca in cui la semplice sopravvivenza degli stati nazionali è in pericolo, simili tentativi verrebbero bollati come neonazisti: il nazismo, infatti, era anche nazionalismo e noi tutti sappiamo che cosa accadde allora: sei milioni di Ebrei furono sterminati! Fintantoché durerà questa leggenda, tutti i popoli ne resteranno schiavi. La necessità della tolleranza internazionale e della reciproca comprensione ci verrà inculcata dall'ONU, fino a quando la stessa nazionalità, unica garante della libertà e dell'indipendenza, sarà scomparsa. Un esempio classico dell'impiego dei Sei Milioni come arma antinazionale si trova nel libro di Manvell e Frankl "The incomparable Crime" (Londra 1967), che tratta del "genocidio nel ventesimo secolo". Tutti gli Inglesi, che sono fieri di essere Inglesi, saranno un poco sorpresi dal malevolo attacco all'Impero Britannico, contenuto in questo libro. Gli Autori citano Pandit Nehru, che scrisse ciò che segue, quando si trovava in una prigione inglese in India: "Da quando Hitler è uscito dall'oscurità ed è diventato Fuhrer della Germania, abbiamo inteso parlare molto di razzismo e della teoria nazista dell'Herrenvolk... Ma noi in India conosciamo il razzismo, sotto tutte le forme, dall'inizio della dominazione britannica. Alla base di questa dominazione stava l'ideologia dell'Herrenvolk e della razza superiore... L'India come nazione e gli Indiani come individui dovettero subire affronti, umiliazionì e disprezzo. Ci fu raccontato che gl'Inglesi erano una razza imperiale, che possedeva il diritto, per grazia di Dio, di governarci e di tenerci sotto la loro dipendenza. Se noi protestavamo, ci ricordavano le " qualità della tigre di razza imperiale ". Gli autori ebrei Manvell e Frankl ce lo dicono molto chiaramente, quando scrivono:"Le razze bianche Ne sono morti davvero sei milioni ? — 11 — d'Europa e d'America si sono considerate per secoli come Herrenvolk. Il XX secolo, il secolo di Auschwitz, ha compiuto il primo passo verso il riconoscimento di una associazione plurirazziale" (ibid., pag. 14) . Il problema razziale Il fine di questa diatriba, con il tema insidioso de "l'associazione plurirazziale", non potrebbe essere più chiaro. L'accusa di sterminio dei Sei Milioni viene dunque usata non solamente per distruggere il principio di nazionalità e l'orgoglio nazionale, ma minaccia anche la sopravvivenza della razza medesima. Questa accusa viene lanciata sopra le nostre teste un po' come nel medioevo la minaccia del fuoco eterno e di dannazione. Molti paesi anglosassoni, particolarmente la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, sono esposti oggi alla più grave minaccia di tutta la loro storia: la minaccia delle razze straniere che si trovano nel loro seno. Se in Gran Bretagna non si farà niente per arrestare l'immigrazione e l'assimilazione degli Africani e degli Asiatici nel nostro paese, noi dovremo subire in un futuro prossimo non solo un sanguinoso conflitto razziale, ma anche l'imbastardimento e la distruzione biologica del popolo britannico, così come esso si presenta dalla venuta dei Sassoni. In una parola, noi rischiamo la perdita irreparabile della nostra cultura europea e della nostra eredità razziale. Ma che cosa succede, quando qualcuno osa parlare del problema razziale, delle sue implicazioni biologiche e politiche? Gli si applica il marchio d'infamia della creatura più abominevole: un razzista. E come tutti sanno: razzismo = nazismo, è evidente! I nazisti hanno assassinato (in ogni caso, questo è ciò che ci raccontano) Sei Milioni di Ebrei in nome del razzismo, dunque deve trattarsi di una cosa molto cattiva. Quando Enoch Powell in uno dei suoi primi discorsi attirò l'attenzione sul pericolo rappresentato dall'immigrazione in Gran Bretagna di gente di colore, un eminente socialista per farlo tacere evocò lo spettro di Dachau e di Auschwitz. In questo modo si scoraggia con successo ogni discussione sensata dei problemi razziali e dei provvedimenti da prendere per conservare l'integrità razziale. Non si può non ammirare il rigore con cui gli Ebrei sono riusciti nel corso di molti secoli a conservare la loro razza e con cui continuano a farlo ancora oggi. Essi vengono aiutati considerevolmente dalla storia dei Sei Milioni che ha esaltato, come in un mito religioso, la necessità di una più grande solidarietà razziale ebraica. Sfortunatamente essa ha avuto un effetto totalmente contrario per tutti gli altri popoli, impotenti nella lotta per la difesa della loro propria razza. Le pagine che seguono non hanno altro scopo che quello di dire la verità. L'Americano Harry Elmer Barnes, noto storico, scrisse un giorno: "cercare di studiare con competenza, obiettività e veridicità la questione dello sterminio... è sicuramente nell'ora attuale l'impresa più rischiosa per uno storico o per un demografo". Intraprendendo questa impresa pericolosa, spero di contribuire in una certa misura, non solamente alla ricerca della verità storica, ma anche alla liberazione dal peso di una menzogna, per poter affrontare senza complessi i pericoli che minacciano noi tutti. Richard E. Harwood Ne sono morti davvero sei milioni ? — 12 — LA POLITICA TEDESCA NEI CONFRONTI DEGLI EBREI PRIMA DELLA GUERRA La Germania di Adolf Hitler considerò, a torto o a ragione, gli Ebrei come un elemento perfido ed avaro, estraneo alla comunità nazionale e come un fattore di decadenza e di decomposizione della vita culturale tedesca. La loro influenza era considerata come estremamente nociva da quando essi, durante la Repubblica di Weimar, avevano raggiunto una posizione di considerevole potenza specialmente nell'amministrazione della giustizia, nel settore finanziario e in quello della stampa, nella radio, nel cinema, nel teatro, benché essi rappresentassero solo il 5 % circa dell'intera popolazione. Il fatto poi che Karl Marx fosse ebreo e che Ebrei come Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht avessero avuto una parte determinante nei movimenti rivoluzionari in Germania, contribuì a convincere i Nazionalsocialisti delle tendenze internazionaliste del popolo ebraico. Qui non vogliamo discutere, se questo atteggiamento nei confronti degli Ebrei sia stato giusto o ingiusto, o se giuste o ingiuste siano state le misure legislative antiebraiche. Noi vogliamo semplicemente mostrare che i Nazionalsocialisti, convinti com'erano dell'influenza nefasta degli Ebrei, considerarono che la soluzione di questo problema fosse di eliminare l'influsso degli Ebrei sul popolo tedesco, adottando idonee misure legislative, e di incoraggiare la loro totale emigrazione. Nel 1939 la maggior parte degli Ebrei tedeschi era già emigrata, ed essi avevano potuto portare con sé una parte cospicua del loro patrimonio. Mai, in nessun momento della sua storia, la Germania nazista ha tentato una politica di sterminio nei loro confronti. Gli Ebrei hanno chiamato "sterminio" l'emigrazione Occorre tuttavia rilevare che certi Ebrei si affrettarono a far passare questo diverso trattamento, a cui il loro popolo fu soggetto, per una politica di sterminio. Il libro di propaganda antitedesca di L. Feuchtwanger ed altri, pubblicato a Parigi nel 1936 con il titolo "Der Gelbe Fleck" - Die Austrottung von 500.000 Deutsche Juden (La macchia gialla - Lo sterminio di 500.000 Ebrei tedeschi), ne è un tipico esempio. Sin dalle prime pagine vi si parla di sterminio di Ebrei; benché questo sterminio non sia basato su alcun fatto: l'emigrazione pura e semplice viene considerata come eliminazione fisica degli Ebrei tedeschi. In questo modo, i campi di concentramento nazisti vengono fatti passare per possibili impianti per il genocidio, e si fa esplicito riferimento ai cento Ebrei che nel 1936 si trovavano ancora a Dachau, 60 dei quali erano internati sin dal 1933. Un ulteriore esempio è stato il libro a sensazione del comunista ebreo-tedesco Hans Beimler, "4 Wochen in der Hand von Hitler Hollenhanden" - Das Nazi-Morder lager von Dachau (4 Settimane in Mano dei Cerberi di Hitler - Il Campo di Sterminio Nazista di Dachau), pubblicato a New York agli inizi del 1933. Internato a causa delle sue relazioni con ambienti marxisti, l'Autore affermava che Dachau fosse un campo di sterminio, ma, secondo quanto da lui stesso dichiarato, egli fu rilasciato dopo tre mesi di internamento. La Repubblica Democratica Tedesca (la Repubblica di Pankow) Ne sono morti davvero sei milioni ? — 13 — conferisce oggi un Ordine Hans Beimler per fedeltà alla causa comunista (Hans Beimler- Orden fur Treue Kommunistische Dienste). Il fatto che una siffatta propaganda cominciasse ad essere diffusa già nei primi anni del "III Reich" da persone prevenute per motivi ideologici o razziali, dovrebbe indurre qualsiasi osservatore neutrale ad un'estrema diffidenza nei confronti di simili storie risalenti al periodo bellico. L'incoraggiamento dell'emigrazione ebraica non dovrebbe essere confuso con lo scopo a cui servivano i campi di concentramento nella Germania di prima della guerra. Questi infatti servivano per internare oppositori politici, principalmente liberali, socialisti e comunisti di ogni colore tra i quali erano anche alcuni Ebrei, come H. Beimler. Se confrontato con i milioni di uomini, ridotti a quel tempo in schiavitù nell'Unione Sovietica, il numero degli internati nei campi di concentramento fu sempre assai limitato. Reitlinger ammette che tra il 1934 ed il 1938 questa cifra ha raramente superato, in tutto il territorio del Reich, le 20.000 unità, e che il numero degli internati Ebrei non raggiunse mai le 3.000 unità (The SS: Alibi of a Nation, Londra I956, pag. 253). La Politica Sionista Le vedute dei Nazionalsocialisti sulla emigrazione ebraica non si limitavano alla politica dell'espulsione, ma venivano elaborate seguendo le formule del sionismo moderno. Theodor Herz, fondatore del sionismo del XX secolo, aveva previsto in un primo tempo, nella sua opera "Der Judische Staat" (Lo stato ebraico) come possibile patria per gli Ebrei l'isola di Madagascar. Questa possibilità fu attentamente studiata anche dai Nazionalsocialisti: rappresentò anzi uno dei punti fondamentali del Programma del Partito Nazionalsocialista prima del 1933, che era stato pubblicato in brossura. Questo significa che la ricostituzione dello stato ebraico in Palestina era considerata molto meno accettabile, poiché ne sarebbero nate una guerra senza fine ed una lacerazione del mondo arabo, ciò che, a partire dal 1948, è effettivamente avvenuto. I primi a proporre l'emigrazione degli Ebrei nel Madagascar non furono i Tedeschi, ma il governo polacco, che aveva preso in considerazione questo progetto per la sua popolazione ebraica e aveva inviato Michael Lepecki nel Madagascar, insieme con rappresentanti ebrei, per studiare sul posto il problema. Le prime proposte dei Nazionalsocialisti per la Soluzione Madagascar furono avanzate nel 1938, in collegamento con il progetto Schacht. Su consiglio di Goring, Hitler acconsentì ad inviare il presidente della Reichsbank, Dr. Hialmar Schacht, a Londra per trattare con il rappresentante di parte ebraica Lord Bearsted e Mr. Ruhlee di New York (cfr. Reitlinger, "The Final Solution", Londra 1955, pag. 20; ed. ital. La Soluzione Finale, Milano 1962, pag. 36). Il progetto consisteva nel congelare i beni degli Ebrei tedeschi, come fondo di garanzia per un prestito internazionale, che avrebbe reso possibile il finanziamento della emigrazione ebraica in Palestina. Schacht informò Hitler su queste trattative a Berchtesgaden, il 2 gennaio 1939. Il progetto che andò a vuoto, perché gli Inglesi non approvarono le condizioni di finanziamento, fu spiegato per la prima volta il 12 novembre 1938, in una conferenza convocata da Goring. Questi dichiarò anche che Hitler aveva preso in considerazione la proposta di un insediamento ebraico sull'isola di Madagascar (ibid., pag. 37). Più tardi, nel dicembre dello stesso anno, il Ne sono morti davvero sei milioni ? — 14 — ministro degli esteri francese Georges Bonnet raccontò a Ribbentrop, che anche il suo governo progeto contemplava l'emigrazione di 10.000 Ebrei sull'isola di Madagascar. Prima del Progetto Palestina di Schacht, dell'anno 1938, avevano avuto luogo, già a cominciare dal 1935, diverse trattative e numerosi tentativi per rendere possibile l'emigrazione ebraica in altri paesi europei. Questi sforzi sfociarono nella Conferenza di Evian (luglio 1938); tuttavia nel 1939 prevalse il progetto dell'insediamento degli Ebrei sull'isola di Madagascar. Tanto è vero che Helmut Wohltat, del Ministero degli Affari Esteri germanico, condusse, fino all'aprile 1939, delle trattative a Londra per un insediamento ebraico in Rodesia e nella Guinea britannica; ma il 24 gennaio 1939 Goring scriveva al ministro degli interni Frick, ordinandogli la fondazione di un Ufficio Centrale di Emigrazione (Auswanderungsbüro) per Ebrei e affidando a Heydrich, capo dell'Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt), l'incarico di risolvere il problema ebraico " per mezzo dell'emigrazione e dell'evacuazione"; e da allora il progetto Madagascar venne seriamente esaminato. Gli sforzi costanti del governo tedesco per assicurare l'allontanamento degli Ebrei dal "Reich" germanico culminarono con l'emigrazione di 400.000 dei 600.000 Ebrei tedeschi, più altri 410.000 Ebrei dell'Austria e della Cecoslovacchia (la quasi totalità della popolazione ebraica di questi paesi). Questa operazione venne condotta dagli "Uffici per l'Emigrazione Ebraica" di Berlino, Vienna e Praga, istituiti da Adolf Eichmann, capo dell"'Ufficio per lo Studio della Questione Ebraica" della "Gestapo". Eichmann giunse finanche ad organizzare in Austria dei "Campo di Addestramento", dove giovani Ebrei potevano essere iniziati ai lavori agricoli, prima di essere introdotti clandestinamente in Palestina (Manvell e Fankl, "SS und Gestapo", pag. ó). Se Hitler avesse avuto anche la più piccola intenzione di sterminare gli Ebrei, non si capirebbe perché avrebbe permesso che più di 800.000 Ebrei lasciassero la Germania con quasi tutti i loro beni; e ancora meno comprensibile sarebbe la presa in esame del progetto Madagascar. Ma c'è di più: vedremo che la politica di emigrazione fu presa in considerazione fino a guerra inoltrata, e segnatamente il progetto Madagascar, che fu oggetto di discussione di Eichmann con esperti del "Ministero Francese delle Colonie", nel 1940, dopo che la sconfitta della Francia permetteva di prospettare la possibilità della consegna dl questa colonia da parte della Francia. Ne sono morti davvero sei milioni ? — 15 — II LA POLITICA TEDESCA NEI CONFRONTI DEGLI EBREI DOPO LO SCOPPIO DELLA GUERRA Con l'avvicinarsi della guerra, la posizione degli Ebrei cambiò in modo radicale. Non è molto noto che l'Ebraismo mondiale si dichiarò, nella Seconda Guerra Mondiale, parte belligerante, e che pertanto i Tedeschi avevano il diritto, sulla base di leggi internazionali, di internare gli Ebrei in quanto potenza belligerante nemica. Il 5 settembre 1939, Chaim Weitzmann, Presidente dell'Organizzazione Sionista (1920) e dell'Agenzia Ebraica (1929), il quale divenne, più tardi, il primo presidente della Repubblica di Israele, aveva dichiarato guerra alla Germania in nome di tutti gli Ebrei del mondo, precisando " che gli Ebrei sono a fianco della Gran Bretagna e combatteranno a fianco delle democrazie... L'Agenzia Ebraica è pronta a prendere misure immediate per utilizzare la mano d'opera ebraica, la competenza tecnica e le risorse ebraiche, ecc. " (Jewish Chronicle, 8 settembre 1939). Internamento di stranieri, cittadini di un paese nemico I dirigenti delle organizzazioni ebraiche avevano dunque dichiarato che tutti gli Ebrei entravano in guerra contro la Germania, e per conseguenza Himmler e Heydrich avrebbero dovuto, un giorno o l'altro, iniziare la politica di internamento. Occorre far notare che, prima che tali misure di sicurezza venissero applicate nei confronti degli Ebrei europei, gli Stati Uniti ed il Canadà avevano già internato tutti i cittadini giapponesi e gli Americani con ascendenza giapponese. E tuttavia riguardo ai Giapponesi d'America non esistevano prove di tradimento come quelle fornite da Weitzmann. Anche gli Inglesi avevano internato durante la guerra dei Boeri, tutte le donne e i bambini boeri, che morirono a migliaia; eppure mai gli Inglesi furono accusati di aver intenzionalmente eliminato i Boeri. Dal punto di vista tedesco, l'internamento degli Ebrei nei paesi occupati serviva a due scopi fondamentali: prevenire le agitazioni e la sovversione. L'11 ottobre 1942, Himmler aveva informato Mussolini che la politica tedesca nei confronti degli Ebrei si era mutata durante la guerra per motivi di sicurezza militare. Egli deplorava che migliaia di Ebrei conducessero guerriglia partigiana nei territori occupati, partecipando ad attività di spionaggio e di sabotaggio. Tale constatazione fu del resto confermata da una relazione ufficiale sovietica, consegnata a Raymond Arthur Davies, secondo la quale non meno di 35.000 Ebrei europei conducevano guerriglia partigiana agli ordini di Tito. Come conseguenza di ciò gli Ebrei dovettero essere trasportati in zone dove la loro libertà di movimento sarebbe stata limitata e in campi di prigionia in Germania e, dopo il marzo 1941, nel Governatorato Generale di Polonia. Con il proseguimento della guerra si sviluppò la tendenza ad utilizzare a vantaggio dell'industria bellica la mano d'opera degli Ebrei internati. La questione dell'utilizzazione della mano d'opera è molto importante, se vogliamo esaminare il presunto progetto di sterminio degli Ebrei: infatti sarebbe stato insensato e inutile lo spreco di mano d'opera, di tempo e di energia, in una guerra che la Germania combatteva su due fronti e nella quale era in gioco la sua sopravvivenza. È certo che solamente dopo l'attacco alla Ne sono morti davvero sei milioni ? — 16 — Russia l'idea del lavoro forzato finì con il prevalere sui progetti tedeschi di una emigrazione ebraica. Il processo verbale di una conversazione tra Hitler e il Reggente dell'Ungheria Horthy, del 17 aprile 1943, rivela che il Fuehrer domandò personalmente a Horthy di concedergli 100.000 Ebrei ungheresi perché lavorassero per il piano Aerei da caccia (Verfolger-Jäger) della Luftwaffe; e questo in un periodo nel quale i bombardamenti aerei sulla Germania si intensificavano (Reitlinger, La Soluzione Finale, cit., pag. 515). Questa conversazione si svolse quando, come si pretende, i Tedeschi avrebbero dovuto aver già iniziato l'eliminazione degli Ebrei; mentre la richiesta di Hitler mostra chiaramente l'urgente necessità di aumentare la mano d'opera. In relazione a questo programma i campi di concentramento diventarono effettivamente complessi industriali. In ogni Lager, dove erano internati Ebrei e prigionieri di altre nazionalità, sorgevano grandi impianti industriali e fabbriche dell'industria bellica tedesca, come per esempio la fabbrica di caucciù Buna a Bergen-Belsen,la Buna I.G. Farben-lndustrie ad Auschwitz, la Siemens á Ravensbrück. In molti casi il lavoro svolto veniva retribuito con speciali biglietti di banca, con i quali gli internati potevano acquistare razioni supplementari negli appositi spacci. I Tedeschi si sforzavano di trarre tutti i vantaggi economici possibili dal sistema dei campi di concentramento, obiettivo che certo non si sarebbe conciliato con quello della eliminazione fisica degli internati. Era compito dell'Ufficio Centrale di Amministrazione Economica delle SS (SSWirtschafts- und Verwaltungsamt) diretto da Oswald Pohl, di far sì che i campi di concentramento divenissero centri importanti di produzione industriale. L'emigrazione fu facilitata anche durante la guerra E un fatto notevole che i Nazisti, fino a guerra inoltrata, furono sempre favorevoli a una politica di emigrazione ebraica. La caduta della Francia nel 1940 rese possibile al governo tedesco di intraprendere serie trattative con i Francesi, al fine di far emigrare gli Ebrei europei nell'isola di Madagascar. Un memorandum dell'agosto 1942 del segretario di stato Luther, dell'Ufficio per gli Affari Esteri tedesco, ci informa che questi dal luglio al novembre 1940 condusse trattative che vennero però troncate dai Francesi. Una circolare emanata dal dipartimento di Luther, datata 15 agosto 1940, rivela che i particolari di questo progetto tedesco erano stati elaborati da Adolf Eichmann, in quanto essa reca la firma del suo sostituto Dannecker. Eichmann, effettivamente, era stato incaricato, nell'agosto del 1940, di preparare in tutti i particolari un progetto Madagascar, e Dannecker fece delle ricerche sul Madagascar presso il Ministero de2te Colonie Francesi (Reitlinger, La Soluzione Finale, cit., pag. 103). Le proposte del 15 agosto 1940 prevedevano perfino che una banca intereuropea dovesse finanziare l'emigrazione di 4 milioni di Ebrei, da attuarsi in più fasi. Il memorandum di Luther del 1942 prova che Heydrich aveva ottenuto l'approvazione di Himmler per questo piano prima della fine dell'agosto 1942 e che lo aveva sottoposto a Göring. Il progetto ottenne anche l'approvazione di Hitler prima del 17 giugno 1942. Il suo interprete Schmidt, infatti, riferisce a Mussolini l'osservazione di Hitler "che si potrebbe fondare uno Stato di Israele nel Madagascar" (Schmidt, Hitter's Interpreter, Londra 1951, pag. 178). Ne sono morti davvero sei milioni ? — 17 — Sebbene i Francesi avessero interrotto nel dicembre del '40 le trattative sul Madagascar, i Tedeschi, secondo quanto ammette lo stesso Poliakov, del Centro di Documentazione Ebraica di Parigi, continuarono tuttavia a studiare questo progetto, di cui Eichmann si occupò dopo il 1941. Proseguendo la guerra, soprattutto dopo l'invasione della Russia, il progetto diventò inattuabile, e il 10 febbraio 1942 il Ministero degli Affari Esteri venne informato che il piano era stato temporaneamente sospeso. Questa comunicazione inviata al Ministero da Rademacher, l'aggiunto di Luther, è di grande importanza, in quanto dimostra che l'espressione "Soluzione Finale" altro non indicava che l'emigrazione degli Ebrei e che la deportazione degli Ebrei nei ghetti orientali e nei campi di concentramento, come Auschwitz, fu solo una soluzione di ripiego. La direttiva dice testualmente: "La guerra contro l'Unione Sovietica ha nel frattempo creato la possibilità di disporre di altri territori per la "Soluzione Finale". Di conseguenza il Fuhrer ha deciso che gli Ebrei siano evacuati non nel Madagascar, ma all'Est. Non è più il caso, quindi, di pensare al Madagascar in rapporto alla "Soluzione Finale"» (Reitlinger, ibid., pag. 104). I particolari di questa evacuazione erano stati discussi un mese prima, alla cosiddetta "Conferenza di Wannsee" a Berlino, come si dirà più avanti. Reitlinger e Poliakov affermano entrambi, senza fornire le prove, che, poiché il Progetto Madagascar non poté essere portato a compimento, i Tedeschi avrebbero pensato necessariamente allo "sterminio". Tuttavia, un mese dopo, il 7 marzo 1942, Goebbels scrisse una nota favorevole al Progetto Madagascar, visto come la risoluzione definitiva della questione ebraica (Manvell e Frankl, Dr. Goebbels, Londra 1960, pag. 165). Acconsentiva, però, a che gli Ebrei, nel frattempo, fossero concentrati nei territori dell'Est. Note successive di Goebbels insistono sull'importanza del trasferimento all'Est, cioè nel Governatorato Generale della Polonia, sottolineando l'importanza del lavoro obbligatorio in queste regioni. Dopo che la politica dell'evacuazione fu introdotta e accettata, l'utilizzazione della mano d'opera ebraica divenne parte essenziale del progetto. Da quanto detto risulta chiaro che l'espressione «Soluzione Finale» veniva riferita al Madagascar e ai territori orientali, e che essa significava soltanto evacuazione degli Ebrei. Perfino più tardi, nel maggio del '44, i Tedeschi erano disposti ad approvare l'evacuazione di un milione di Ebrei. La storia di questa proposta si trova nel libro di Alexander Weissberg (Die Geschichte von Joel Brand, Colonia 1956). Alexander Weisberg è un famoso studioso ebreo sovietico, deportato durante la purga staliniana. Weissberg, che durante la guerra visse a Cracovia, sebbene temesse che i Tedeschi lo avrebbero rinchiuso in un campo di concentramento, racconta in questo libro che, con autorizzazione personale di Himmler, Eichmann aveva inviato a Istanbul il presidente della comunità ebraica di Budapest, Joel Brand, che viveva a Budapest, per proporre agli Alleati di permettere in piena guerra la partenza di un milione di Ebrei. Se si dovesse prestar fede ai vari scribacchini che parlano di eliminazione, nel maggio del '44 non sarebbero stati in vita nemmeno un milione di Ebrei. La Gestapo ammetteva che il problema del trasporto avrebbe rappresentato un grave peso per l'impegno militare della Germania, ma si sarebbe potuto risolvere se fossero stati messi a disposizione 10.000 autocarri, da impiegare esclusivamente sul fronte russo. Sfortunatamente non se ne fece nulla, poiché gli Inglesi, pensando che Brand fosse un pericoloso agente nazista, lo imprigionarono al Cairo, mentre la stampa Ne sono morti davvero sei milioni ? — 18 — presentava l'offerta come un volgare trucco nazista. Winston Churchill deplorò invero il trattamento a cui furono sottoposti gli Ebrei ungheresi, sostenendo che a fu il più grande e terribile crimine che mai fu commesso nella storia dell'umanità ; ma spiegò a Chaim Weitzmann che era impossibile accettare l'offerta di Brand, perchè sarebbe stato un tradimento nei confronti dei suoi alleati russi. Sebbene il progetto non sia giunto a buon fine, esso mostra molto chiaramente che nessuno che voglia attuare una supposta "eliminazione totale" permetterebbe mai l'emigrazione di un milione di Ebrei; e mostra anche chiaramente quanta importanza attribuissero i Tedeschi ai loro sforzi militari. III POPOLAZIONE ED EMIGRAZIONE Non si posseggono statistiche precise e particolareggiate della popolazione ebraica per alcun paese. Le approssimazioni per i diversi paesi presentano valori troppo differenti. Così non si conosce quanti Ebrei, negli anni tra il 1939 e il 1945, furono evacuati o imprigionati. In generale, tuttavia, da quanto è dato di sapere da statistiche attendibili, specie da quelle che si riferiscono alI'emigrazione, si può concludere che neppure una piccolissima parte di sei milioni poté essere eliminata. Innanzi tutto il numero di 6.000.000 non può reggere, solo se si considera il numero della popolazione ebraica europea. Secondo la Chambers Enzyclopaedia gli Ebrei che vivevano in Europa prima della guerra erano 6.500.000. Ciò significa che sarebbero stati tutti uccisi. Ma il giornale svizzero neutrale Baseler Nachrichten, che utilizza materiale statistico di fonte ebraica, stabilisce chiaramente che, tra il 1933 e il 1945, 1.500.000 Ebrei erano emigrati in Inghilterra, Svezia, Spagna, Portogallo, Australia, Cina, India, Palestina e USA. Questa citra è con fermata dal giornalista ebreo Bruno Blau, sul giornale ebraico di New York Aufbau (13 agosto 1945). Di questl emigranti circa 400.000 giunsero dalla Germania prima del settembre 1939, come viene confermato dall'organo del Congresso Ebraico Mondiale, Unity in Dispersion (pag. 377), dove si afferma che "la maggior parte degli Ebrei tedeschi riuscì ad abbandonare la Germania prima che scoppiasse la guerra". Oltre agli Ne sono morti davvero sei milioni ? — 19 — Ebrei del Vecchio Reich, entro il settembre 1939 emigrarono 220.000 dei complessivi 280.000 Ebrei austriaci, mentre a partire dal marzo 1939 I'Istituto per l'Emigrazione Ebraica di Praga conferma l'emigrazione di 260.000 Ebrei dai territori già appartenuti alla Cecoslóvacchia. Complessivamente, pertanto, dopo il settembre 1939 rimasero nei territori del Vecchio Reich, dell'Austria e della Cecoslovacchia 360.000 Ebrei. Dalla Polonia ne erano emigrati, fino a prima della guerra, circa 500.000. Queste cifre significano che il numero degli Ebrei emigrati da altri paesi europei (Francia, Olanda, Italia e paesi dell'Est) ammontava a circa 120.000. L'esodo degli Ebrei, prima e durante la guerra, ridusse il numero degli Ebrei in Europa a circa 5.000.000. Bisogna poi aggiungere gli Ebrei che, dopo il 1939, fuggirono nell'Unione Sovietica e che, in seguito, furono evacuati in zone fuori della portata delle truppe germaniche. Si dimostrerà più avanti che la maggior parte di essi, circa 1.250.000, venivano dalla Polonia. Ma Reitlinger ammettc che senza contare gli Ebrei polacchi, 300.000 Ebrei europei giunsero nell'Unione Sovietica tra il 1939 e il 1941. Questo porta il numero degli immigrati Ebrei nell'Unione Sovietica a 1.550.000. Sulla rivista Colliers’ del 9 giugno 1945, Freiling Foster, in un servizio sugli Ebrei in Russia, scrive che 2.200.000 Ebrei erano riusciti a fuggire nell'Unione Sovietica a partire dal 1939; ma la nostra valutazione, più modesta (1.550.000), è probabilmente più precisa. Pertanto l'entità dell'emigrazione degli Ebrei nell'Unione Sovietica riduce a circa 3.500.000-3.450.000 il numero degli Ebrei presenti nei paesi sotto controllo tedesco. Occorre inoltre sottrarre il numero degli Ebrei che, vivendo in nazioni europee neutrali o alleate, non erano esposti alle conseguenze della guerra. Secondo il World Almanac del 1942 (pag. 594) il numero degli Ebrei in Gibilterra, Inghilterra, Portogallo, Svezia, Svizzera, Irlanda e Turchia ammontava a 413.128. Tre milioni di Ebrei nell'Europa occupata La cifra di circa tre milioni di Ebrei nei territori sotto giurisdizione tedesca è precisa nella misura in cui lo permettono le statistiche a nostra disposizione. Se però esaminiamo le statistiche riguardanti la popolazione ebraica che rimase nei territori occupati dalla Germania, otteniamo un numero pressoché identico. Più della metà degli Ebrei che emigrarono nell'Unione Sovietica dopo il 1939 provenivano dalla Polonia. Si afferma che la guerra con la Polonia fece cadere «altri tre milioni di Ebrei sotto giurisdizione tedesca e che la totalità degli Ebrei polacchi venne a sterminata». Si tratta di un errore grossolano. Secondo il censimento del 1931, gli Ebrei in Polonia erano 2.732.600 (Reitlinger, La Soluzione Finale, cit., pag. 52). Reitlinger ammette però che almeno 1.170.000 di essi si trovavano nella zona occupata dai Russi nell'autunno 1939. Di questi, circa 1 milione sarebbero stati evacuati negli Urali e nella Siberia meridionale dopo l'attacco tedesco del giugno 1941 (ibid., pag. 69). Come abbiamo già ricordato, prima della guerra erano emigrati dalla Polonia 500.000 Ebrei. Perfino il giornalista Raymond Arthur Davies, che trascorse la guerra nell'Unione Sovietica, sostiene che negli anni tra il 1939 e il 1941 erano fuggiti in Russia dai territori polacchi occupati dai Tedeschi circa 250.000 Ebrei, che si incontravano in ogni ,provincia russa (Odyssey through Hell, New York 1946). Sottraendo questo numero al numero complessivo di 2.732.000 e tenendo conto dell'incremento demografico, si conclude che alla Ne sono morti davvero sei milioni ? — 20 — fine del 1939 non più di 1.100.000 erano gli Ebrei polacchi che vivevano sotto la dominazione tedesca (Gutachten des Institutes fur Zeitgeschichte, Monaco 1956, pag. 80). A questi Ebrei polacchi dobbiamo aggiungere i 360.000 Ebrei che rimasero in Germania, Austria, in Boemia Moravia e Slovacchia, dopo la fortc emigrazione da questi paesi avvenuta prima della guerra e di cui abbiamo parlato più sopra. Per quanto riguarda i 320.000 Ebrei francesi, il pubblico accusatore di parte francese al processo di Norimberga dichiarò che 120.000 di essi erano stati evacuati. Reitlinger, tuttavia, li valuta ad appena 50.000. In ogni caso gli Ebrei sotto dominazione nazista non arrivarono ai 2.000.000. Evacuazioni dai paesi scandinavi furono limitate, dalla Bulgaria non ce ne furono affatto. Se si aggiunge ancora la popolazione ebraica in Olanda (140.000), Belgio (40.000), Italia (50.000), Jugoslavia (55.000), Ungheria (386.000) e Romania (725.000), si ottiene una cifra totale che non supera di molto i 3.000.000. Questa eccedenza deriva dal fatto che gli ultimi dati sono di prima della guerra e non tengono conto dell'emigrazione (che in questi paesi interessò circa 120.000 Ebrei, v. sopra). Questo doppio esame, pertanto, conferma la cifra approssimativa di 3.000.000 di Ebrei europei che si trovavano nei paesi occupati dall'esercito tedesco. Evacuazione degli Ebrei russi Non si conoscono dati precisi sul numero degli Ebrei russi, e ciò facilita e rende possibili incredibili esagerazioni. L'esperto di statistica ebreo Jacob Leszczynski afferma che nei territori che poi saranno occupati dai Tedeschi, ossia nella Russia occidentale, vivevano 2.100.000 Ebrei. Vi erano inoltre circa 260.000 Ebrei che vivevano negli stati baltici (Estonia, Lituania, Lettonia). Secondo i dati del presidente del Consiglio Ebraico-Americano per gli Aiuti alla Russia, Louis Levine, che effettuò dopo la guerra un viaggio di ricognizione attraverso l'Unione Sovietica e quindi pubblicò un rapporto sulla situazione degli Ebrei che là vivevano, la maggior parte di essi era stata evacuata verso Est dopo l'attacco tedesco. Il 30 ottobre 1946 dichiarò a Chicago che "allo scoppio della guerra gli Ebrei furono i primi a essere evacuati dai territori minacciati dagli invasori hitleriani e a essere portati in salvo al di là degli Urali. A questo modo vennero salvati 2.000.000 di Ebrei". Questa cifra viene confermata dal giornalista ebreo David Bergelson, che sul giornale ebraico Ainikeit (Unità) di Mosca, il 5 dicembre 1942, scrisse che «a grazie all'evacuazione, la maggioranza (80%) degli Ebrei dell'Ucraina, della Russia bianca, della Lituania e della Lettonia poterono essere salvati prima dell'arrivo dei Tedeschi». Reitlinger concorda con l'esperto ebreo Josef Schechtmann, che ammette che un gran numero di Ebrei furono evacuati, ma dà una valutazione leggermente superiore degli Ebrei russi e baltici rimasti sotto i Tedeschi (650.000-850.00) (Reitlinger, La Soluzione Finale, cit., pag. 499). Per quanto riguarda gli Ebrei sovietici che rimasero nei territori occupati dai Tedeschi, si dimostrerà che nel corso della campagna di Russia non ci furono più di 100.000 persone, tra partigiani e commissari bolscevici, che peraltro non erano tutti Ebrei, che furono uccise da unità speciali tedesche per la lotta contro il terrorismo. Bisogna sottolineare a questo riguardo che i partigiani sostengono di aver ucciso nell'Est 500.000 soldati tedeschi, un numero, cioè, cinque volte più alto delle loro perdite. Ne sono morti davvero sei milioni ? — 21 — Sei milioni: un falso secondo fonti svizzere neutrali È chiaro, pertanto, che I Tedeschi non poterono mai avere il controllo su sei milioni di Ebrei né tantomeno ucciderne tanti. Prescindendo dall'Unione Sovitica, il numero degli Ebrei nell'Europa occupata dai Tedeschi ammontava, dopo l'emigrazione che precedette l'arrlvo delle truppe tedesche, a poco più di 3.000.000, di cui non tutti erano internati. Per giungere soltanto alla metà dei supposti "Sei Milioni", bisognerebbe presupporre che tutti gli Ebrei viventi in Europa siano stati uccisi, mentre è noto che in Europa un gran numero di Ebrei, dopo il 1945, erano ancora in vita. Philipp Friedmann scrive nel suo libro "Their Brother's Keeper" (New York 1957, pag. 13) che " perlomeno 1.000.000 di Ebrei erano sfuggiti al terribile inferno nazista", mentre il numero ufficiale del "Jewish Joint Distribution Committee" è di 1.559.600. Il che significa, data per vera la seconda valutazione, che gli Ebrei deceduti durante la guerra non potrebbero essere stati più di um milione e mezzo. Alla medesima conclusione è arrivato anche l'autorevole giornale Baseler Nachrichten, della neutrale Svizzera. In un articolo del 13 giugno 1946, dal titolo « Quante sono le vittime ebree? », viene scritto che sulla base dei dati riguardanti la popolazione e l'emigrazione, la perdita di vite umane può essere stata al massimo di 1.500.000. Dimostreremo più avanti che questo numero deve essere ulteriormente ridotto: il Baseler Nachrichten, infatti, utilizzava i dati del Jewish Joint Distribution Committee (1.559.000 sopravvissuti dopo la guerra), ma noi vedremo che soltanto le richieste di risarcimento (Wiedergutmachung) avanzate dagli Ebrei sopravvissuti sono più del doppio. La Svizzera però non disponeva di queste informazioni nel 1946. Un tasso di incremento demografico impossibile. Una prova inconfutabile si ricava anche dalle statistiche, approntate dopo la guerra, riguardanti la popola zione ebraica. Il World Almanach del 1938 dà un totale di Ebrei nel mondo intiero di 16.588.259. Ma dopo la guerra il New York Times del 25 febbraio 1948 scriveva che il numero degli Ebrei nel mondo è da valutare con una cifra oscillante da un minimo di 15.600.000 a un massimo di 18.700.000. Questi dati dimostrano chiaramente che gli Ebrei morti durante la guerra non possono essere stati più di qualche migliaio. 15.500.000 nel 1938 meno i supposti 6.000.000 fanno 9.000.000. Significherebbe, quindi, secondo le cifre del New York Times, che gli Ebrei, in tutto il mondo, avrebbero avuto 7.000.000 di nascite in 10 anni, ivi compresi gli anni di guerra quando le famiglie ebree furono disperse, separate e dovettero vivere sovente in condizioni poco propizie alla procreazione. 7.000.000 di nascite che avrebbero dunque quasi raddoppiato il loro numero. Il che è impossibile e ridicolo. Quindi sembra proprio che la grande maggioranza dei 6 milioni mancanti siano in effetti Ebrei che emigrarono in certi paesi europei, in Unione Sovietica, negli Stati Uniti, prima, durante e dopo la guerra, più gli Ebrei che emigrarono in grande numero in Palestina durante e specialmente dopo la guerra. Dopo il 1945 giunsero illegalmente in Palestina, provenienti dall'Europa, interi bastimenti carichi di Ebrei, provocando notevoli difficoltà al gyverno britannico. Il loro numero era così elevato che iI H.M. Stationary Office, nel suo bollettino n. 190 del 5 novembre 1946, ne parlò come di un «secondo Esodo». Erano Ne sono morti davvero sei milioni ? — 22 — questi gli emigrati di tutte le parti della terra, coloro che avevano portato la popolazione ebraica mondiale da 15.000 a 18 milioni nel 1948. Di essi la maggior parte erano emigranti d'America, che si erano colà recati in spregio dei limiti imposti all'immigrazione dal governo americano. Il 16 agosto 1963 l'allora presidente israeliano, David Ben Gurion, dichiarò che la popolazione ebraica degli Stati Uniti, valutata ufficialmente in 5.600.000, non sarebbe inferiore ai 9.000.000 (Deutsche Wochenzeitung, 23 novembre 1973). La ragione di un numero così alto è sottolineata da un articolo di Albert Maisal (Readers Digest, gennaio 1957), intitolato « I nostri nuovi Americani »: in esso si dice che subito dopo la seconda guerra mondiale, in base a un'ordinanza dei presidenti americani, il 90% dei visti di immigrazione era riservato a emigranti dei paesi dell'Europa centrale e orientale. In questa pagina è riprodotto uno delle centinaia di annunci funebri (omesso), che appaiono regolarmente sul settimanale ebreo americano Der Aufbau di New York (16 giugno 1972). Esso mostra come gli Ebrei emigrati negli Stati Uniti abbiano in seguito cambiato il loro nome. I loro nomi originari, che portavano in Europa, vengono pubblicati in tali annunci tra parentesi, come in questo, che riportiamo qui sotto, dove si legge: Arthur Kingsley (già dr. Konigsberger, Francoforte sul Meno). Non potrebbe essere possibile che una parte o addirittura la totalità di queste persone, i cui nomi sono "deceduti", siano fra i Sei Milioni di cui si è perduto traccia in Europa? IV I SEI MILIONI: DOCUMENTI « PROBANTI » (!?) Da quanto sin qui esposto, si ha l'impressione che il numero di Sei Milioni di Ebrei eliminati derivi soltanto da un compromesso tra una quantità di valutazioni senza fondamento obiettivo. Non c'è neppure un brandello di prova documentabile e attendibile. Di quando in quando qualche scribacchino trascrive questo numero per assicurarsi credibilità a buon mercato. Lord Russel of Liverpool, per esempio, afferma, nel suo libro The Scourge of the Swastika (Londra 1954) che « non meno di 5.000.000 di Ebrei morirono in campi di Ne sono morti davvero sei milioni ? — 23 — concentramento; e ottiene così il suo scopo, dando una valutazione che sta tra i presunti sei milioni e i quattro milioni di cui altri preferiscono parlare. Ma ammette che a il numero effettivo non potrà mai essere conosciuto ». Stando cosi le cose è però difficile comprendere come egli possa giungere al numero di non meno di cinque milioni ». L'ebraico Joint Distribution Committee preferisce la cifra di 5.012.000, ma l'"esperto" ebreo Reitlinger congettura la cifra di 4.192.000 di Ebrei dispersi », un terzo dei quali sarebbero morti di morte naturale. Cosi il numero di Ebrei "eliminati" si ridurrebbe a 2.796.000. Tuttavia al Congresso Ebraico Mondiale di Ginevra nell'anno 1948, il delegato di New York, Mr. M. Perlzweig, rese noto, in una conferenza stampa, che a il prezzo pagato per l'annientamento del Nazionalsocialismo e del Fascismo è stato di sette milioni di Ebrei, vittime del più feroce antisemitismo . Sulla stampa, e anche altrove, questa cifra diventa otto, o addirittura nove milioni. Come abbiamo mostrato nei capitoli precedenti simili valutazioni, prive di qualsiasi verosimiglianza, sono semplicemente ridicole. Esagerazioni fantasiose Per quanto ne sappiamo, le prime accuse di genocidio rivolte ai Tedeschi furono formulate dall'ebreo polacco Rafael Lemkin nel suo libro Axis Rule in Occupied Europe (Il Dominio dell'Asse nell'Europa Occupata), pubblicato a New York nel 1943. Lo stesso Rafael Lemkin, guarda caso, fu incaricato, più tardi, di redigere la cosiddetta convenzione sul genocidio dell'ONU, con la quale si cerca di dichiarare fuori legge il "razzismo". Il suo libro sostiene che i nazisti avrebbero eliminato milioni di Ebrei forse proprio sei milioni. Una simile notizia, rivelata nel 1943, è davvero notevole, dato che si pretende che questa opera di eliminazione sarebbe cominciata nell'estate del 1942. Procedendo di questo passo sarebbe stata sterminata l'intera popolazione ebraica della terra! Dopo la guerra le valutazioni propagandistiche si ingigantirono in modo inverosimile. Kurt Gerstein, un antinazista che affermava di essersi infiltrato nelle SS, raccontò all'inquirente francese Raymond Cartier che egli sapeva che non meno di 40 milioni di internati in campi di concentramento erano stati uccisi nelle camere a gas. Nel primo processo verbale del 26 aprile 1945 ridusse questa cifra a 25 milioni, ma questo totale fu considerato ancora troppo inverosimile dalla difesa francese. In un secondo processo verbale, sottoscritto a Rotweil il 4 maggio 1945, Gerstein si avvicinò ai ó milioni, valutazione che ebbe la preferenza al Processo di Norimberga. La sorella di Gerstein era malata di mente fin dalla nascita, e fu fatta morire per eutanasia; questo fa supporre che lo stesso Gerstein fosse affetto dal medesimo male. Egli, del resto, era stato condannato nel 1936 perché aveva spe dito per posta lettere eccentriche. Dopo le sue due "confessioni di accusa" si impiccò nel carcere parigino Cherche-Midi. Gerstein affermò di aver trasmesso al governo svedese, durante la guerra e per il tramite di un barone tedesco, informazioni riguardanti uccisioni di Ebrei. Ma, per inspiegabili motivi, la sua relazione venne "messa agli atti e dimenticata". Inoltre egli sostenne di aver informato, nell'agosto del 1942, il Nunzio Apostolico a Berlino su tutto il "piano di sterminio", ma il prelato gli avrebbe
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Sul revisionismo e sul negazionismo - 1Il dibattito tra i membri della comunità virtuale di OlokaustosHo seguito con attenzione il confronto, scandito dalle diverse comunicazioni, che la mailing list ha attivato sulla questione del revisionismo. Penso che, senza ambire ad una qualche conclusione – su queste cose mai è troppo detto, né tantomeno definitivamente - si possa tuttavia pervenire ad una prima sintesi, lasciando poi il campo aperto ad ulteriori riflessioni. Intanto, per meglio intenderci, introdurrei una distinzione lessicale che ha anche un valore semantico. E’ invalso l’uso del termine poc’anzi menzionato per definire più fenomeni storiografici, a volte a proposito ma più frequentemente in maniera assai poco corretta. Il revisionismo, infatti, non è la parola più appropriata per qualificare la condotta intellettuale di quanti avversano la concretezza e la vividezza del fatto storico, quand’esso, ovviamente, si presenti come tale e non richieda un supplemento d’indagini. Non è quindi con questo termine che si possa definire chi si posiziona sulla linea della sua pura e semplice negazione. Revisione implica una ridefinizione del giudizio rispetto ad un evento, non la sua deliberata cancellazione dal quadro dei dati concreti. I campi di concentramento, in quanto luogo fisico, così come la condotta sterminazionista o schiavista ivi praticata, si davano nella loro oggettività, in quanto elementi di un più ampio dispositivo di annientamento posto in essere dal Terzo Reich. Punto e basta. Altro discorso è poi comprenderne la valenza e la funzionalità rispetto alle politiche praticate da Hitler, dal momento della sua ascesa al potere in poi. Così come questione aperta rimane il problema della comprensione dei molteplici meccanismi che concorsero nella determinazione di una condotta rispetto ad altre; ed ancora come i modi e i tempi si ordinarono e via andando su tutti i piani che una questione così terribile ed intricata inesorabilmente evoca. Ma questi sono quesiti e questioni che animano e rendono fertile la discussione tra gli esperti come tra i cultori della storia, non elementi a detrimento del buon esito della riflessione. Riflessione, per l’appunto, che rimane aperta e frequentabile da chiunque si doti di buona volontà e di un minimo di metodo. A stretto giro di logica, tutti gli storici sono dei revisionisti poiché è nell’implicito dell’agire storiografico stesso il comparare, lo stabilire scale di comprensione, l’identificare similitudini e alterità e così via. Si tratta di determinare ricorrenze e differenze poiché nelle discontinuità si cela il rinnovarsi di antiche categorie così come il mutamento di paradigmi. Da ciò possono derivare scarti e modificazioni nel giudizio di fatto – qualora di nuovi fatti si possa parlare – o addirittura di valore, quando una costellazione di fatti, fino ad un dato momento sconosciuti o sottovalutati, si riordina nel giudizio in modo tale da fornire una visuale diversa del passato. Sono comunque eventi rari e richiamano sempre la responsabilità, unita alla consapevolezza, di cui l’operatore culturale deve dotarsi nel momento in cui fa storia descrivendola e socializzandola. Poiché a fare la storia, nel senso non fattuale del termine ma nella sua costruzione intellettuale, come manufatto operazionabile nella concretezza della quotidianità, è per l’appunto chi la tratta come oggetto di narrazione. Lo storico ma anche il testimone, il didatta e l’autodidatta. In questo senso ha valore dire, come spesso si fa, che “la storia siamo noi”. Più semplicemente l’agire dello storico dispone ed ordina secondo un senso dei dati, facendoli parlare. Il suo operato deve essere informato all’uso di una appropriata metodologia, alla correttezza nel trattamento delle fonti, all’apertura analitica e mentale. Nell’ambito degli studi sui fascismi, sono detti revisionisti quanti, sulla scorta di una corrente storiografica strutturatasi in Europa intorno ad alcune figure chiave di intellettuali e pensatori, si richiamano ad una strategia interpretativa volta alla ricostruzione dei nessi che intercorrerebbero tra esperienze ideologiche e politiche distinte, fondata sui seguenti passaggi:
1. la propensione, metodologica, ad operare sintesi di ampio respiro, ragionando secondo criteri che tendono ad incorporare periodi e fenomeni, anche compositi, cercando di trovare in essi una radice comune (ad esempio, l’affermazione di Ernst Nolte che le politiche repressive bolsceviche furono il “prius logico e fattuale” dei lager nazisti);
2. il riconoscimento dei fatti in quanto tali ma la loro lettura in chiave causale, dove i nessi prevalgono sulle specificità. Tale modo di operare, ancorché legittimo sul piano storiografico, se portato alle sue estreme conseguenze, come per l’appunto i revisionisti fanno, induce distorsioni di valutazione e sovrapposizioni di giudizio fino al rischio di una forzatura dei fatti stessi;
3. la valutazione dell’impianto culturale e l’identificazione di correlazioni teoretiche tra nazionalsocialismo e comunismo sovietico;
4. l’adozione di una visuale politica informata a posizioni corrispondenti a quelle della destra liberale o, alternativamente, di certa sinistra radicale, entrambe motivate da un accentuato anticomunismo. Non è da sottovalutare il fatto che l’ipotesi, formulata e ripetuta da Nolte, in virtù della quale il nazismo sarebbe essenzialmente una reazione anticomunista (espressa con particolare enfasi già quarant’anni fa nel suo “I tre volti del fascismo”) raccolse a suo tempo i favori della sinistra, immemore della vocazione razzista o, per meglio dire, radicalmente razzialista presente in tale dottrina. Oggi Nolte - e con lui gli storici della sua vulgata - disgiungendo anticomunismo da antisemitismo, possono attenuare l’impatto del secondo nella valutazione delle politiche del Terzo Reich, beneficiando degli effetti derivanti dalla caduta dei regimi del “socialismo reale” e della condivisione di un giudizio comune fattosi severamente anticomunista. Anche qui il passo successivo, non obbligato e neanche necessitato ma a tratti manifesto, è quello di recuperare qualcosa del passato, se non altro per riaffermarne una presunta preveggenza riguardo ai successivi sviluppi. Insomma, a farla breve, il nazismo e il fascismo furono “buoni” rispetto ad almeno una cosa: la contrapposizione al bolscevismo.Più comunemente le affermazioni di quanti sostengono che Auschwitz - così come il resto dei campi, di sterminio o di concentramento che fossero - non è mai esistito o ha svolto funzioni diverse da quelle consegnateci dall’evidenza dei fatti, sono a stretto rigore di logica negazioniste. Ovverosia, sono dichiarazioni di principio che, entrando in rotta di collisione con l’evidenza empirica, ne distorcono deliberatamente e volontariamente il lascito testimoniale e documentario. Le ragioni per le quali si nega il passato, tanto più se così prossimo alla nostra esperienza, possono essere le più svariate e mutare di soggetto in soggetto. Generalmente la radice comune è da identificarsi nel tentativo di recuperare in toto quel che la storia ha definitivamente condannato. Per fare questo, per “ridare una chance al nazismo”, necessita depurarne la memoria negandone gli aspetti più squalificati e ripugnanti. Ma a fianco di questa corrente, nostalgica e al contempo visionariamente proiettata versa una impossibile restaurazione, si contano anche altre posizioni. E’ il caso dei trotzkisti della Vieille Taupe di Pierre Guillaume, presenti anche in Italia (attraverso le edizioni Graphos), che da tempo, recuperando elementi di alcune analisi d’impianto marxistico, identificano negli ebrei una sorta di classe sociale a sé. La correlazione tra le “false” rappresentazioni dell’universo concentrazionario che sarebbero state poste in essere, in misura deliberatamente mistificatoria, e gli interessi di questa presunta aggregazione socioeconomica rappresentata dall’ebraismo, inducono i componenti di tale gruppo a parlare di una sorta di passaggio storico da “lo sfruttamento nei campi allo sfruttamento dei campi”, intendendo con ciò l’opera di alterazione della “verità”. In altre parole: i campi c’erano, avevano funzioni diverse da quelle dichiarate e sono a tutt’oggi, nell’uso agitatorio che gli ebrei ne farebbero, uno strumento che una lobby estesa e potente utilizza per inibire i suoi avversari e confermare la sua egemonia politica, culturale ed economica. In questo modo si rinnoverebbe un vecchio equivoco, adottando un alibi di comodo, per confondere il “proletariato internazionale” sulle cause della guerra e sulle responsabilità dei vincitori. Nel circuito negazionista si assommano ed incontrano quindi elementi e motivazioni tra le più disparate. Si badi bene che le sue scaturigini datano all’immediato dopoguerra quando un intellettuale collaborazionista come Maurice Bardèche si adoperò fin da subito nel porre in discussione quanto andava delineandosi nella sua orrifica tangibilità. Negli anni cinquanta seguì la figura di Paul Rassinier, ex-deportato politico a Dora e a Buchenwald, sostenitore della teoria per la quale i campi furono luogo sì di detenzione ma non di sterminio. La Shoah, insomma, non avvenne mai e la sua narrazione è una “menzogna storica”. Questa affermazione costituisce il nucleo della costruzione negazionista. Rafforzata nel corso del tempo da una serie di pseudo-argomentazioni occasionalmente offerte come rafforzativo del concetto iniziale, è incentrata sulla presunta funzionalità politica di ciò che viene presentato come una deliberata mistificazione e contraffazione, compiuta dai vincitori (gli alleati) ai danni dei vinti (i tedeschi). Secondo tale esegesi si afferma l’esistenza di qualcosa che non fu per conquistare l’immaginario collettivo a danno dell’ “autentico” corso degli eventi, continuando così una guerra, in questo caso figurata, contro la potenza (e l’ideologia) uscita immeritatamente sconfitta dal secondo conflitto mondiale. Musica per le orecchie di chi, come Leon Degrelle, prima comandante delle Waffen-SS belghe e poi animatore del milieu neonazista europeo, poteva così sostenere di avere un chiaro e legittimo riscontro della sua personale teoria che ad Auschwitz esisteva un centro per il concentramento e lo “spidocchiamento” degli ebrei dei quali, al massimo, si può riconoscerne la morte per un numero non maggiore ai trecentomila soggetti e non per volontà dei nazisti bensì per le circostanze d’“ordine bellico” (morivano in tanti, non si vede perché non avrebbero dovuto morire anche degli ebrei…). Parole che fanno il paio con quelle che negli anni successivi utilizzò l’ex collaborazionista di Vichy Louis Darquier de Pellepoix, sostenitore della tesi che nei campi si uccidevano solo ”pulci e cimici”. La vera svolta, nel senso della manifestazione massmediatica del fenomeno negazionista e della sua definitiva emersione da quella condizione di nicchia alla quale sembrava consegnato, si ha però nella seconda metà degli anni settanta, quando un docente dell’Università di Lione, Robert Faurisson, con una intervista che all’epoca fece non poco scandalo, dichiarò che “le camere a gas non sono mai esistite”. L’eclatanza del gesto stava non solo nella sua natura – deliberatamente provocatoria – ma nell’ospitalità che esso ottenne per parte della stampa europea, divenendo così una sorta di “evento” sulla scorta del quale un po’ tutti furono costretti a misurarsi e a prendere posizione. Insomma, ben consapevole che il medium è il messaggio, l’autore confidò ben più sugli effetti di ritorno dei mezzi ai quali affidava le sue affermazioni che non sul contenuto delle stesse. Per i negazionisti, infatti, capitale è trovare strumenti ed occasioni di pubblica manifestazione: ciò non solo per uscire dai circuiti autoreferenziali ai quali, fino ad allora, sembravano consegnati, ma per cercare legittimazione non per quello che viene detto ma per via dei luoghi in cui lo si dice. Faurisson, peraltro, adottando una tecnica che è propria dei negazionisti più accorti, non si impegnava in una inutile apologia del regime hitleriano, negando l’evidenza dell’altrui operato, ma cercava i punti “deboli” – o comunque quanto poteva essere considerato tale – del resoconto della vicenda delle deportazioni e del sistema di sterminio per attaccarne quegli aspetti che meglio si prestavano all’accusa di inverosimiglianza. La comprensione del funzionamento delle camere a gas, così come dei forni crematori, richiede competenze non solo storiche e storiografiche ma anche e soprattutto tecniche. Ancor di più risulta problematica la definizione della funzionalità di tale apparato all’interno di un progetto, quello del “Nuovo Ordine” hitleriano, che prevedeva la trasformazione sociodemografica dell’Europa. Tale complessità e stratificazione, qualora non sia intesa nella sua integralità, può rendere dissonanti o discrasici certi aspetti delle passate vicende. I negazionisti più accorti sono ben consapevoli di questo aspetto e usano tutte le occasioni che si prestano ad una qualche strumentalizzazione per cercare di mettere in discussione l’impianto interpretativo corrente e, di conseguenza, la dimensione fattuale. Alle boutade di Faurisson seguirono altre e ripetute prese di posizione per parte sia di quest’ultimo che di nuovi diffusori del verbo. La nascita negli Stati Uniti dell’Institute for Historical Review, palestra pseudoaccademica alla quale oramai non pochi esponenti, non solo americani, fanno riferimento, ingenerò una nuova spinta nelle “ricerche” e nelle “riflessioni” per parte di questi signori, concorrendo inoltre alla loro strutturazione in una rete di stabili relazioni, autonome anche se a tratti coincidenti con quelle dei network neonazisti. E la rete web ha ulteriormente consolidato il grado di scambio e comunicazione, creando una comunità virtuale molto attiva nello scambio di informazioni. Attualmente i personaggi più significativi sono Willis Carto, Bradley Smith, Ernst Zuendel e James Keegstra.Inutile soffermarsi sulla produzione, copiosissima e cacofonica, di questi autentici feticisti della carta. Da quest’ultimo punto di vista, va rilevato solo che ciò a cui aspirano tali indefessi redattori di interminabili pamphlet differisce a seconda degli autori presi in considerazione. Sommariamente si può dire che:
1. vi è tra essi chi ambisce ad una qualche forma di legittimazione ufficiale o, perlomeno, ufficiosa, per parte degli organismi intellettuali accreditati nel mondo delle scienze, ed in particolare le università. Impresa disperata se posta in essere con i soli strumenti dei propri costrutti ideologici, ma un po’ più fattibile se legata ad opzioni culturali oggi di nuovo in voga. Negli Stati Uniti, ad esempio, un terreno d’incontro è offerto dal creazionismo, la posizione dottrinaria per la quale l’evoluzionismo darwiniano è una teoria fasulla e l’unica narrazione accettabile riguardo all’origine dell’uomo deve essere identificata nel dettato biblico. L’ambiente intellettuale che in America rivendica tale matrice è non infrequentemente anche antisemita. I contatti tra esponenti dell’uno e dell’altra sponda hanno offerto occasioni di sodalizi. Si pensi inoltre al fatto che il creazionismo ha un discreto seguito in alcuni stati della Federazione e il potersi appoggiare ad esso permette di trovare canali di comunicazione con il mondo della scuola. Soprattutto, ed è quello che più interessa ai negazionisti di questo tipo, accredita in qualità di interlocutori nei confronti delle autorità locali. Le università si sono rivelate fino ad oggi impermeabili ma non altrettanto può essere detto dei politici, soggetti a valutazioni di opportunità che aprono a volte varchi nella cultura prevalente. Particolare attenzione, a suo tempo, fu espressa nei confronti di David Duke, candidato razzista del Ku Klux Klan al seggio di senatore. Non era un segreto per nessuno il suo antisemitismo, del tutto congruente con l’onorata carriera svolta all’interno dell’organizzazione razzista. Meno noti, probabilmente, i contatti con esponenti dell’ala destra del partito repubblicano, tradizionalmente poco proclive nei confronti di un elettorato, quello ebraico americano, ancora fortemente orientato verso lidi democratici. Rimane però il fatto che nella galassia della destra americana le difficoltà incontrate dai negazionisti hanno un solido fondamento nell’esperienza della seconda guerra mondiale, quando gli States si trovarono a combattere contro il nazismo. A tal guisa si può richiamare l’episodio menzionato in un’opera di fiction, il film di Costa Gavras Betrayed-Tradita, dove l’incontro tra un membro del Klan e un gruppo di neonazisti locali si risolve con il rifiuto del primo nei confronti dei secondi, rifiuto motivato dal fatto che il padre “li aveva combattuti” a suo tempo. Comunque, al di là delle singole esperienze nazionali, questo gruppo si contraddistingue per la vocazione a cercare una qualche entratura nei “salotti buoni” dell’intelligenza. Per ottenere ciò cerca di smarcarsi da una più stretta identificazione con il neonazismo, adottando, laddove ciò è possibile, la strumentazione e le vesti proprie alla ricerca tradizionale. In Italia l’esponente più vivace di tale indirizzo è Carlo Mattogno. Significativo è il fatto che pubblichi le sue operette presso le Edizioni di Ar di proprietà di Franco Freda, nazimaoista d’antan e personaggio onnipresente nelle vicende dell’ultimo quarantennio del neofascismo eversivo di matrice nostrana.
2. Vi sono poi coloro – non pochi per la verità – che nulla rinnegando del passato, ne enfatizzano anzi la storia di cui però fanno un uso selettivo. E’ forse il gruppo più corposo. In questo caso il negazionismo è una condotta mentale, prima ancora che culturale, finalizzata a rilegittimare le vestigia di ciò che fu, riportandole a nuovo fulgore. Ed in questa costruzione, nella quale il passato viene assunto acriticamente e apologeticamente, negare funge all’occorrenza di fortificare e reiterare le “ragioni” pregresse. Con curiosi ed illogici – ma solo all’apparenza – cortocircuiti dove, con un doppio movimento degno dell’attenzione di uno psicoanalista, si cela ma anche si riconosce. Il negazionismo diventa così un atteggiamento, più o meno in mala fede, che cela, come la punta di un iceberg, un corpaccione immerso nell’acqua stagna dei risentimenti e dei rancori. Da un lato si disconosce la paternità e l’esistenza stessa dei campi e dello sterminio, dall’altro se ne attribuisce la responsabilità alle vittime (riconoscendo così esplicitamente l’esistenza degli uni e la concretezza dell’altro). Si può affermare, e a ragione, che l’incoerenza è il carattere costitutivo di questo gruppo. Tutta una genia di libellisti, perlopiù provenienti dalle fila delle Waffen-SS (ad esempio Thies Christophersen), l’ala combattente dell’organizzazione criminale himmleriana o, addirittura dai campi stessi, ha portato avanti una letteratura semiclandestina che durante gli anni della guerra fredda ha alimentato questa corrente di sodali tra medesimi e solidali alla causa. L’imperativo del “ritorneremo!” si coniuga allora all’intendimento di ritornare a fare le cose compiute nel passato, senza ovviamente esplicitarne il contenuto ma mascherandolo sotto le mentite spoglie di una negazione di comodo. Si dà, in questi casi, come una sorta di “nazi pride”, di orgoglio per il coraggio tenuto nei terribili anni della guerra. E il punto di riferimento ideologico è e rimane il discorso che Himmler tenne a Poznan alle alte gerarchie dell’”Ordine nero” nell’autunno del 1943 quando, con malcelata soddisfazione, rivelava forme e contenuti della “soluzione finale della questione ebraica”, rivendicando la caratterialità e la virilità di quanti uccidevano in massa senza battere ciglio. Il grado di legittimazione ricercato in questi casi non è quello proprio agli autori di cui si parlava precedentemente: qui nessuno aspira ad un qualche riconoscimento accademico o ad una accettazione per parte della ufficialità intellettuale e politica. Si tratta, invece, di mantenere vivo e fervido il ricordo tra i militanti di allora come tra quelli di oggi, espungendo, ma solo in prima battuta, quanto di più sgradevole può risultare alla comunicazione per poi, eventualmente, recuperarlo nel momento in cui si dovessero creare le condizioni per la manifestazione di tutti i propri propositi. Va rilevato che non tutti gli apologeti del regime hitleriano sono negazionisti: non pochi d’essi, anzi, riconoscono la “grandezza” del suo operato proprio per l’atteggiamento assunto nei confronti dell’ebraismo europeo, rivendicando integralmente l’eredità dello sterminio e rammaricandosi della sua “incompiutezza”. Nel caso del conflitto israelo-palestinese queste posizioni sono vigorosamente riemerse, mascherate sotto l’antisionismo di circostanza.
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COSA NE PENSA OLOKAUSTOS
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PARTE 2 Monday, Nov. 28, 2005 at 7:33 PM |
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David Irving e Freud LeuchterDiscorso a sé andrebbe poi fatto per quella figura di libero battitore che è il ben noto David Irving, elemento di sintesi tra più posizioni, animato da un profondo individualismo e da una vocazione istrionesca che lo rendono irriducibile a letture univoche. Negli ultimi anni ha tradotto la sua antica vocazione filogermanica in atteggiamenti di collusione e contiguità nei confronti del coté politico neofascista, lasciandosi utilizzare dagli ambienti del nostalgismo europeo di cui è divenuto una star. Tuttavia la sua grande aspirazione rimane quella di essere risconosciuto da quell’Accademia della quale non ha mai fatto parte e che mai lo ospiterà, fosse non altro per il semplice fatto che il suo narcismo sfugge a qualsivoglia forma di cooptazione in organismi collettivi ed ufficiali. Dalle originarie opere, tra cui la non disdicevole ricerca sull’ “Apocalisse a Dresda”, il bombardamento alleato nel febbraio del 1945 della città tedesca, per successivi slittamenti, attraverso la ripetuta affermazione che Hitler era all’oscuro della “soluzione finale”, è approdato alla negazione di quest’ultima. Il processo intentato contro Deborah Lipstadt, autrice di “Denying the Holocaust”, e la rovinosa sentenza, che lo condannava, hanno probabilmente concorso a ridefinire se non l’atteggiamento e il pensiero, costanti nel loro eclettismo, almeno la collocazione nei confronti di un microcosmo – quello nenonazista – dal quale poco o nulla potrà ancora ricevere, a meno che non si autonomini duce delle frange marginali che lo compongono, venendo così meno alla sua funzione di storico e sostituendo ad essa quella di politico. Ancora a latere di questo milieu si colloca anche l’”ingegnere della morte” Freud Leuchter, autore di un oramai proverbiale rapporto nel quale affermava, dopo una serie di ricerche compiute ad Auschwitz e dintorni, che le camere a gas non erano esistite poiché le tracce di acido cianidrico, il gas utilizzato per assassinare le vittime, non sono più identificabili tra le rovine di quel che è rimasto. La ragione di questa assenza sono poi state fornite da Jean-Claude Pressac e Marcello Pezzetti che, dopo uno scrupoloso lavoro, hanno ricostruito metodi e criteri nell’uso dello Zyklon B. E’ evidente, a tal riguardo, che all’offensiva negazionista non si può e non si deve rispondere solo con la storia e la memoria ma anche con gli strumenti delle scienze cosiddette esatte. Poiché se è intollerabile il fatto che certuni rifiutino l’evidenza, non altrettanto disdicevole è la richiesta, sincera, di capire e comprendere dei meccanismi che di primo acchito possono apparire tanto ripugnanti quanto inaccettabili. Non tutte le perplessità e i quesiti vanno quindi letti immediatamente come il segno del diniego. Tanto più i giovani hanno bisogno di farsene una ragione. La Shoah richiede di essere compresa, non di un atto di fede.
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CHI NEGA NON IGNORA
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OLOKAUSTOS Monday, Nov. 28, 2005 at 7:34 PM |
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Chi nega non ignoraChi nega non ignora; semmai proprio perché sa o presume di sapere cerca in buona - ma soprattutto cattiva - fede, una giustificazione alla dissonanza che si genera tra quel che conosce e quel che intende dichiarare di riconoscere. Il discorso negazionista si compone di una serie di prassi retoriche reiterate nel corso del tempo e riprodotte secondo dei cliché facilmente identificabili. A titolo di mero richiamo si possono identificare una serie di modularità (ma altre ancora se ne danno) così riassumibili:
1. dal particolare al generale: poiché è impossibile rifiutare certe evidenze fattuali, almeno di primo acchito, ci si concentra su alcuni aspetti particolari, sviando al contempo l’attenzione altrui dal quadro di riferimento. L’obiettivo è di decontestualizzare il fenomeno storico dello sterminio, prassi che risponde a più esigenze tra le quali: a) separare il regime che ha generato i campi dai frutti del suo operato (lo sterminio), deresponsabilizzandolo e minimizzando gli effetti perversi delle sue scelte; b) identificare gli eventuali punti deboli della narrazione altrui cercando di usarli come grimaldelli contro la storia. Ad esempio, se un ex-internato commette un errore nella narrazione della sua esperienza (magari affermando, come è capitato, di aver sentito l’“odore del gas”, cosa pressoché impossibile poiché le camere della morte erano a tenuta stagna e comunque la quantità di veleno immesso era tale che poteva sì uccidere chi vi era trattenuto ma non poteva assolutamente espandersi ed essere odorato nel campo) si cerca, mistificando ed enfatizzando tale dato, di capovolgere l’intero impianto interpretativo e, soprattutto, i fatti nel loro manifestarsi. L’obiettivo è di delegittimare il testimone e invalidarne lo statuto del resoconto; c) scomporre l’unitarietà e il senso della drammaticità dell’esperienza della deportazione, concentrandosi su minuzie a scapito del quadro generale. In questo modo, spezzettando il corso degli eventi, se ne perde il senso della continuità. E ciò rende più agevole l’attenuazione dell’impatto emotivo che ancora oggi i lager ingenerano, così come una maggiore condiscendenza verso i carnefici;
2. la guerra semantica: nella componente più abile ed intelligente della vulgata negazionista è risaputo che il destino della memoria si gioca sull’uso delle parole. Valentina Pisanty ha scritto al riguardo pagine importanti, decrittando i codici comunicativi e gli artifizi logico-semantici che ricorrono nelle costruzioni verbali della pubblicistica di tali autori. Molto spesso la battaglia è condotta sul filo della sfumatura, sulle zone d’ombra che ogni termine – come peraltro gli stessi fatti - si porta con sé. La ricerca spasmodica di una diversa accezione si traduce nella costruzione di significati completamente diversi da quelli originari. Attraverso progressivi slittamenti, il negazionista riesce a svuotare una parola del suo senso iniziale e a riempirla di contenuti distinti. D’altro canto, in questo operare è del tutto congruente a quello che era l’uso, iniziatico ed esoterico, che i nazisti facevano di certe espressioni comunemente utilizzate per designare gli eventi più tristi e tragici: “trasferimento” al posto di deportazione, “soluzione finale” invece di sterminio e così via. L’atteggiamento di colui che altera il lessico o ne estende i significati parossisticamente, con un uso volutamente alterato dei procedimenti analogici, riprende integralmente quella vocazione al ricorso alla lingua come ad uno strumento di copertura, confuzione e scompaginamento (per l’appunto di negazione) tra fatti e loro interpretazione che era proprio al sistema di potere hitleriano. Siamo nei paraggi della neolingua dell’Orwell di 1984, laddove essa si configurava come un veicolo non di comunicazione e condivisione bensì di mistificazione e alterazione, prona ai desideri di una prassi totalitaria. D’altro canto, buona parte dei negazionisti sono depositari di un progetto politico che si riconosce appieno nelle categorie del totalitarismo reale costituito dall’esperienza storica del nazionalsocialismo in Germania tra il 1933 e il 1945;
3. il feticismo delle carte: molti negazionisti, soprattutto quelli appartenenti alla corrente che più desidera darsi una parvenza di autorevolezza, sono non solo usi a redigere numerose opere ma anche a navigare tra le carte con una certa abilità. L’obiettivo, se nel primo caso è quello di portare credibilità alle proprie tesi intasando il mercato delle idee con un’inflazione di prodotti e la ossessiva reiterazione di alcune proposizioni (laddove la quantità vorrebbe divenire qualità), nel secondo è di cercare di inchiodare i propri contraddittori alla responsabilità del documento. In presenza d’esso, a giudizio dei signori in questione, si comproverebbe l’evento. In sua assenza, il fatto non sussiste. L’acribia che viene spesa per sorreggere le proprie affermazioni con “pezze d’appoggio” inverosimili, o per mezzo di documenti riletti secondo la logica del ribaltamento del loro significato, è pari solo all’acrimonia che vi è impressa. Poiché chi nega l’evidenza rivela di gradire molto le proprie parole ma poco o nulla le persone che con esse, ancora una volta, vengono cancellate dalla storia. E’ risaputo che della “soluzione finale” ci sono pervenute solo alcune parti della documentazione a suo tempo prodotta dai carnefici, così come non necessariamente furono documentati cartaceamente tutti gli aspetti del loro operato. In questo margine d’indeterminatezza i negazionisti s’inseriscono per insinuare dubbi ed ingenerare equivoci d’ogni sorta, rivendicando l’equazione che laddove non è rimasto il timbro non ci furono neanche i fatti;
4. celare i due intendimenti ideologici che stanno alla base dei propri costrutti: l’opera negazionista, fatte salve alcune dichiarazioni programmatiche per parte degli autori “minori” di area nazista, che nulla concedono alla necessità di cogliere l’implicito del loro discorso, si fonda su due premesse ideologiche: la rilegittimazione del nazismo e dei fascismi e l’antisemitismo. E poiché di entrambi, dopo i fatti dell’ultima guerra europea, non è possibile fare apologia diretta, si adoperano strumenti distorsivi, volti a delegittimare gli interlocutori e a costruire un’aura vittimistica intorno alla figura dei vinti. L’ossessione ricorrente in tutti questi passaggi è e rimane quella di un qualche “complotto giudaico” contro la storia. Per il negazionista si tratta di sottrarne la scrittura ad un gruppo di potere dominante che, non pago d’aver vinto la guerra, cerca di conquistare la memoria collettiva. Anche in quest’ultimo caso, come si avrà modo di osservare, nulla di nuovo rispetto ai vecchi cliché della destra più oltranzista e reazionaria. Correlativamente, si dà un anticomunismo viscerale, acceso e corposissimo, ragione sociale e politica degli ambienti che esprimono le posizioni più radicali in campo pseudo-storiografico. Rimane da indagare, tra gli anfratti e i recessi delle mutevoli produzioni cartacee, lo strutturarsi di una corrente di sinistra, che non è più quella rappresentata dai bordighiani e dai trotzkisti della Vieille Taupe, ma che partendo dall’originario antisionismo sta progressivamente traducendo le sue posizioni in aperto antisemitismo. Interessante, a tal guisa, verificare l’involuzione di una figura come quella di Roger Garaudy, illuminato sulla via di Damasco da un islamismo tanto radicale quanto bislacco e antigiudaizzato. Così come - anche se ora il silenzio è prevalso - dei riflessi condizionati di una figura nobile del cattolicesimo sociale francese, l’Abbé Pierre. Il totem linguistico al quale entrambi sembrano fare riferimento, oltre ad una non troppo velata “sdrammatizzazione” e relativizzazione della Shoah, è che i veri antisemiti sarebbero gli ebrei stessi, persecutori dei palestinesi. Già da tempo, tuttavia, sia per parte cattolica che musulmana, va diffondendosi, sulla scorta dell’irrisolto confronto in corso tra israeliani e palestinesi, un nuovo genere di negazionismo, originariamente fiancheggiatore di quello praticato a partire dagli anni sessanta e settanta dagli estremisti islamici afro-americani di Louis Farrakhan in Usa ed oggi capace di muoversi con ampia autonomia. Si tratta dell’opera svolta dal Black African Holocaust Council di Eric Muhammad, che intrattiene rapporti con Butz e l’Institute for Historical Review, ma soprattutto della fatica internettista di Ahmed Rami, gestore web di Radio Islam, autentico ricettacolo di tutte le posizioni che intendono “combattere il razzismo ebraico e l’ideologia sionista”. Ad essi si unisce il ricchissimo sito AAARGH (Association des Anciens Amateurs de Récite de Guerre et d’Holocauste), miniera di materiali negazionisti;
5. enfatizzare le proprie affermazioni come espressione di un concezione “anticonformista”: tutta la vulgata si basa sul principio che la storia è luogo di mistificazione e i racconti che essa incorpora sono obbligatoriamente il frutto di una deliberata vocazione distorsiva per parte di certuni (i vincitori) a scapito degli altri (i vinti). I secondi sarebbero più morali dei primi (vittimismo), impegnati a perseverare nella reiterazione della menzogna mentre il dispositivo di resocontazione degli eventi sarebbe inesorabilmente fondato su premesse alteranti. E’ una concezione dei processi logici e cronologici fondata sul sospetto, propria, ancora una volta, di un approccio funzionale ad una revanche fascistica. Questa impostazione si ripresenta periodicamente, travestendosi con gli abiti del “nuovo” e dell’“anticonformismo”. Laddove, per l’appunto, la conformità sarebbe quella propria alle posizioni correnti – definite detrattivamente sterminazioniste – caratterizzate dalla convenzionalità e dall’ufficialità ascrivibili alla necessità di mantenere in vita la “menzogna” dell’esistenza di uno sterminio mai avvenuto;
6. comparare impropriamente: lo stabilire nessi inesistenti, o il negarne altri nella loro evidenza, si rafforza attraverso l’uso improprio dei meccanismi comparativi che appartengono alle scienze sociali e storiche. Sovrapporre e miscelare è un buon modo per confondere l’interlocutore. Si mischiano cose diverse, si separano eventi similari, si alterano scale di valore e di giudizio. Di scientifico, in tutto ciò, va da sé che c’è poco o nulla. Molto di politico, invece. Poiché i negazionisti sono la falange intellettuale di un passato che si riaffaccia sul proscenio della storia europea. Il segno, quindi, di fantasmi mai scacciati e pronti a rimaterializzarsi quando i tempi dovessero presentarsi maturi. Da questo punto di vista necessita dotarsi della consapevolezza che il fascismo non è il residuo di un trascorso ma una subcultura i cui sedimenti sono ben presenti nella società contemporanea.
Claudio Vercelli
http://www.olokaustos.org/saggi/saggi/revisionismo/revisionismo6.htm
www.olokaustos.org/saggi/saggi/revisionismo
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mamma mia che ignoranza
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col VAPORE???? Tuesday, Nov. 29, 2005 at 12:03 AM |
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mai vista una simile ridda di ignoranze. a Treblinka ammazzavano la gente "col vapore"?????? ma cos'era, una locomotiva? la gente la ammazzavano con l'ossido di carbonio dei camion, diteglielo a quello "storico" delle mie palle.
se tutte le domande hanno queste basi, manco vale la pena leggerle.
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LIBERTA' D'OPINIONE
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VOLTAIRE Wednesday, Dec. 07, 2005 at 2:23 AM |
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Che nel 21° secolo si debba essere perseguitati per reati d'opinione è scandaloso!!
Non importa tanto ciò che uno pensi o esprima, se le sue tesi sono fondate oppure no, se è in buona o mala fede.
Esprime la propria opinione che può essere ignorata o confutata nei modi più opportuni, ma mai in un aula di tribunale, con il codice penale alla mano.
Ciò non fa fa onore né ai sedicenti liberali, né a tutti quelli che si riempiono la bocca di con parole come "libertà" e "democrazia" (binomio ormai indissolubile.
Si è combattuto per secoli, con molte vittime, per cancellare i reati d'opinione. Ed ora....sapete dove si potrebbe arrivare di questo passo? Dove sono i democratici, dove i liberali? E i garantisti? Uno storico di vagli arrestato per ciò che ha scritto in un libro? Nessuna sfilata, nessun corteo di protesta di intellettuali e benpensanti, neppure in Francia, la patria delle libertà, che proprio per la tutela della libertà personale spesso ha protetto e dato asilo a rei confessi, già condannati nei loro paesi per reati d'omicidio.
Se la nuova Europa sarà fondata su presupposti del genere, ossia perseguitare le opinioni non allineate e scomode, non con la ragione, il rigore e la dialettica, ma con l'istituzione di veri e propri reati d'opinione, anche se a volte mascherati giuridicamente, allora vedo un regresso a tempi assai bui e pre illuministici.
Vergogna!
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