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Si allarga l'inchiesta sui 700 impianti fantasma che inquinavano invece di pulire. Mazzette fino al 7%, ingenti i danni allo Stato Depuratori, tangenti e affari il business del mare sporco Calabria, superteste rivela: una truffa da 200 milioni di GIUSEPPE BALDESSARRO e ATTILIO BOLZONI
Depuratore di Reggio Calabria
IL MARE sporco della Calabria ha fatto arricchire tanti. Quei depuratori che non funzionano mai hanno insudiciato le coste, hanno portato pericolo alla salute pubblica, hanno "procurato un ingiusto profitto alle ditte con un danno alla Comunità europea, allo Stato e alla Regione per oltre 200 milioni di euro". Un disastro ambientale e una colossale rapina su un giro di tangenti tra Catanzaro e Roma, per il quale sotto indagine sono già una settantina di personaggi del sottobosco politico calabrese. C'è anche qualche manager di Roma e di Milano, c'è l'ex governatore Giuseppe Chiaravalloti, ci sono un paio di intrallazzatori di mestiere. È uno scandalo che sta sfiorando nomi eccellenti.
L'inchiesta sui depuratori fantasma segue tracce di soldi. Hanno sequestrato mazzette alla frontiera di Chiasso, hanno recuperato documenti con le coordinate bancarie del conto corrente intestato ad Alleanza nazionale, hanno trovato carte su acquisti di diamanti e di opere d'arte. E poi c'è una super testimone che parla del "pizzo" sui rifiuti della Calabria: "Sono somme che oscillano dal 3 al 7 per cento... e che venivano corrisposte a intermediari che erano l'anello di collegamento tra le società e alcuni uomini politici".
La vergogna di quel mare sozzo che ha costretto l'estate scorsa il governatore Agazio Loiero a "chiedere scusa" ai turisti nasce nell'"Ufficio del Commissario per l'emergenza ambientale", una struttura ideata per far fronte all'inquinamento, un organismo che - secondo le investigazioni della Procura di Catanzaro - si è trasformata in una "centrale" di distribuzione di denaro e di opere pubbliche da "realizzare in deroga alle norme nazionali e comunitarie a tutela della concorrenza e della trasparenza". Milioni di euro rubati e impianti mai collaudati, costi gonfiati, progetti incompleti, consulenze fasulle. Così il mare della Calabria è diventato una fogna.
Il primo a finire dentro l'indagine è stato proprio Chiaravalloti, l'ex presidente della Regione di Forza Italia, ex procuratore generale di Reggio Calabria e oggi vice presidente dell'Autorità garante della privacy. Il secondo è stato il suo assessore all'Ambiente Domenico Basile, un ex parlamentare di An. Il terzo si chiama Giovanbattista Papello, responsabile unico dell'Ufficio per l'emergenza ambientale e considerato uno degli uomini di Maurizio Gasparri in Calabria. È proprio a casa sua che hanno trovato, su alcuni fogli ben nascosti, il numero di conto corrente intestato ad An. Un altro indagato è Fabio Schettini.
La super testimone del pubblico ministero di Catanzaro Luigi De Magistris ha svelato che Schettini "è referente del partito di...". Il resto dell'interrogatorio della super teste è ancora coperto dal segreto istruttorio. Fino a qualche mese fa Fabio Schettini era segretario particolare dell'ex ministro Franco Frattini, attuale commissario europeo. I reati contestati agli indagati vanno dall'associazione a delinquere al riciclaggio, dalla corruzione alla truffa aggravata.
L'imbroglio si è cominciato a scoprire due anni fa. Alla fine del 2003, il 24 novembre. Alla frontiera di Brogeda in provincia di Como, i finanzieri hanno fermato Nicolino Volpe, un uomo dell'entourage del sottosegretario dell'Udc Pino Galati. Era insieme a Roberto Mercuri, l'amministratore delegato della PianiImpianti spa, una delle società che ha fatto man bassa nella spartizione dei depuratori in Calabria.
Qualche mese dopo Volpe viene fermato ancora alla frontiera, questa volta di ritorno dalla Svizzera. È in compagnia di Annunziato Scordo, il commercialista dell'ex governatore Chiaravalloti e anche presidente della PianiImpianti spa. Un gruppo di amici e una girandola di incarichi. È il 18 maggio del 2005 quando Giuseppe e Cesare Mercuri, padre e fratello di quel Roberto già fermato due anni prima al valico di Brogeda subiscono un altro controllo della Finanza. Sono sul treno numero 220 diretto a Parigi. Dentro una sacca hanno 3 milioni e 354 mila euro: 6.708 banconote da 500. Il padre di quel Giuseppe Mercuri amministratore delegato di PianiImpianti, fino a qualche tempo prima era il capo dell'ufficio viaggiatori della dogana di Chiasso.
È a quel punto che l'inchiesta punta verso Roma. Uomo chiave dell'affaire sembra subito quel Giovanbattista Papello, un ingegnere che è nel consiglio di amministrazione dell'Anas e socio di alcune aziende che operano nell'emergenza ambientale. Gli perquisiscono la casa. Nel suo appartamento romano "aveva nella sua disponibilità trascrizioni di intercettazioni telefoniche illegali, aventi oggetto vicende relative all'Anas ed intercorse tra persone in corso di identificazione". E poi: carnet di assegni di una dozzina di banche italiane, documenti su conti esteri, scritture private sulla compravendita di quadri e diamanti, l'atto di acquisto di un super attico e un altro di uno yacth. E infine quel numero del conto corrente di An.
I magistrati hanno cominciato così a sospettare cosa c'era dietro il disastro ambientale della Calabria: "Chiaravalloti, con Basile e con Papello, gestiva in modo illecito i fondi non redigendo, artificiosamente, i piani per la tutela delle acque in modo da creare strumentali situazioni di emergenza per poi ottenere e spendere fondi in modo ancora più disinvolto".
A spiegare meglio dove sarebbero finiti quei soldi è arrivata poi quella super testimone. La sua identità è segreta. Ecco la sua testimonianza. Sull'assegnazione dei lavori: "Guarda caso venivano sorteggiate quasi sempre le stesse società... del resto fu lo stesso assessore Basile che un giorno mi disse che "loro", attraverso l'emergenza ambientale, potevano fare ciò che volevano e dare i lavori a chi credevano...".
Sulla scelta delle imprese e le percentuali: "Venivano scelte solo le società che avevano un collegamento politico e dietro ogni commessa venivano erogate illecite somme di denaro che oscillavano tra il 3 e il 7 per cento".
Sui destinatari delle mazzette: "Le somme venivano corrisposte ad intermediari in Calabria, che fungevano da anello di collegamento con i politici a Roma. Quei soldi venivano "mascherati" sotto progettazioni o consulenze inesistenti o attraverso sovra-fatturazione di costi e poi venivano così suddivise: il 50 per cento restava in Calabria per la distribuzione tra i referenti della catena illecita, il resto andava a Roma".
Sono due le "cordate" di cui parla la supertestimone. Una farebbe capo a quell'ingegnere Papello che in casa nascondeva un tesoro. L'altro sarebbe rappresentata da Fabio Schettini, l'ex segretario dell'ex ministro Frattini. Questa parte dell'inchiesta è ancora sbarrata dagli omissis.
(12 dicembre 2005)
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