Salta la mediazione, gli sfollati dormono in strada. Il Comune: pronti ad accoglierli nella sede della Protezione civile. Il prefetto: l’intervento? Un atto dovuto. Sgombero nel palazzo occupato. Tensione tra la polizia e gli immigrati che salgono sui tetti e s’incatenano nel cortile.
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Hanno lasciato il palazzo e si sono presi la strada. Via Lecco. La pioggia bagna per un intero giorno cataste di valigie, trolley , scarpe, maglioni, un divano, una lavatrice, immigrati avvolti nelle coperte, nei piumini fradici, seduti per terra. Facce e cappelli che grondano acqua. Freddo nelle ossa. Amhed spezza due rami e aggiunge legna al falò. Sono le sette di sera. Il Comune chiedeva lo sgombero e lo sgombero è arrivato. Ma i 200 rifugiati politici provenienti da Sudan, Eritrea e Somalia rifiutano le sistemazioni nei dormitori. Quando anche le associazioni gettano la spugna, restano solo i poliziotti, a guardia di un marciapiede trasformato in accampamento per la notte. Cronaca di una giornata di trattative senza sbocchi, iniziata con mezz’ora di tensione. Polizia e carabinieri circondano il palazzo intorno alle 9 e mezzo. L’ordine: «Nessuno deve farsi male». Una decina di rifugiati e un esponente dei centri sociali si incatenano al portone. Altri passeggiano sul tetto, un paio sul cornicione. I vigili del fuoco gonfiano un enorme materasso in strada, per paura che qualcuno cada. «Non siamo bestie - urlano dalle finestre - siamo persone pacifiche». La polizia sgombera il portone con qualche spinta. Nulla più. Iniziano i colloqui. Don Virginio Colmegna (Casa della Carità), Graziella Carneri (Cgil), i consiglieri provinciali Tranquillino e Maestri (Rifondazione) e comunali Occhi e Fanzago (Rifondazione e Margherita) chiedono un incontro in corso Monforte. Parte una delegazione. La risposta del prefetto Gian Valerio Lombardi è netta: «La situazione di illegalità non può essere protratta. Lo sgombero è un atto dovuto perché la proprietà rivuole lo stabile. Inoltre nell’edificio ci sono anche problemi igienici e di sicurezza». Lo stesso prefetto si assume la responsabilità di seguire il percorso dei rifugiati dopo la sistemazione nei luoghi offerti dal Comune. È grazie a questo impegno che intorno all’una e mezzo Caritas, sindacati e consiglieri di opposizione convincono gli occupanti a lasciare il palazzo. Il Comune invia un funzionario. Nessun esponente politico della maggioranza passa in via Lecco. Arriva invece Dario Fo, candidato sindaco che affronterà le primarie del centrosinistra. Accusa: «Si approfitta della disattenzione della città e della gente in vacanza per fare una cosa orrenda. Vorrei ogni tanto che nei container ci andassero a vivere gli amministratori comunali. È disumano, è infame trattare così queste persone, pensando che tanto sono neri e abituati al disagio». Il disagio, per un’intera giornata, si sposta sulla strada. Centinaia di immigrati portano giù le proprie cose e si fermano lì, in via Lecco. L’intero quartiere è paralizzato, viale Tunisia chiusa al traffico dalle 10 del mattino. Gli autobus straordinari dell’Atm sono fermi col motore acceso, ma non caricano nessuno. Gli immigrati rifiutano tutte le soluzioni, dormitori e container. Vogliono restare tutti uniti. I tentativi di mediazione da parte delle associazioni vanno avanti per tutto il pomeriggio, ma falliscono uno dietro l’altro. «Queste persone non devono credere di avere più diritti dei cittadini italiani - spiega l’assessore ai Servizi sociali, Tiziana Maiolo -, siamo già venuti incontro ad alcune delle loro richieste e abbiamo proposto soluzioni più che dignitose in cui potranno rimanere per sei mesi». A mezzanotte gli immigrati sono ancora in strada, i bambini in braccio alle madri.
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