Tutti in strada, respinta anche la mediazione di don Colmegna. Infuria la polemica politica. Il prefetto Lombardi: richieste eccessive. Palazzo murato, ma i rifugiati rifiutano la sistemazione alternativa.
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Lo sgombero non gli ha fatto cambiare idea. I 267 rifugiati politici che occupavano lo stabile di via Lecco vogliono una casa vera, in muratura. E per ottenerla hanno continuato per tutta la notte la loro protesta in strada, con i falò per riscaldarsi dal freddo e con i loro bambini avvolti nelle coperte. Non si fidano di «soluzioni temporanee» e hanno detto no anche a don Colmegna che, insieme a Graziella Carneri della Camera del Lavoro, ha trattato fino a tarda sera per convincerli ad accettare i posti letto nei container di via di Breme. Una trattativa lunga, difficile, durata ore. «Vogliamo la scuola di via Maggianico» hanno detto i portavoce dei rifugiati. Ma a quel punto la trattativa, caldeggiata anche da Occhi, consigliere di Rifondazione e Fanzago, consigliere della Margherita, si è arenata. In serata don Colmegna è tornato alla carica per chiedere alle donne con bambino di accettare una sistemazione al caldo. Hanno ribadito il no. Lo sgombero ordinato dalla Prefettura ha diviso il mondo politico. Il governatore Roberto Formigoni non ha dubbi: «Lo sgombero era un atto necessario. È un fatto positivo che ora ci sia un prefetto che decide e bene». Dello stesso avviso il vicesindaco Riccardo De Corato. L´assessore ai Servizi sociali Tiziana Maiolo ha ringraziato il prefetto Lombardi «per l´approccio concreto con cui ci ha aiutato», la Lega non fa sconti. «Nessun alloggio agli immigrati che si oppongono allo sgombero - dice l´euro parlamentare Matteo Salvini - o ricorreremo alla Corte dei Conti». Tutta l´Unione, invece, insorge. «È una vergogna - dice il segretario dei Ds Pierfancesco Majorino - che il Comune, con un milione di euro in tasca, offra solo container». Occhi di Rifondazione annuncia una interrogazione per sapere «come il Comune ha speso quei soldi»: E aggiunge: «Su via Lecco, Palazzo Marino ha dimostrato la non volontà politica di affrontare la situazione». Ma il candidato alle primarie Bruno Ferrante avverte: «La legalità va rispettata».
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È stata una giornata carica di tensione e paura, qualcuno dice: speriamo non ci scappi il morto. La rabbia tra coperte e materassi: "Non siamo degli animali". Un ragazzo porta in salvo anche il calendario della Santarelli senza veli. "Siamo forti e di qui non ci muoviamo".
Arrivano Dario Fo e Franca Rame, i ragazzi dei centri sociali, don Virginio Colmegna della Casa della carità e Graziella Carneri della Cgil, parenti degli occupanti, volontari e politici. «Si approfitta della disattenzione della città per fare il colpaccio - tuona Dario Fo davanti ai microfoni - . Nei container ci porterei gli amministratori di questa città. È una cosa da nazisti». Dalle finestre si affacciano volti tristi. Sui balconi si affolla pericolosamente troppa protesta. Sopra il cornicione della ormai celebre mansarda autorizzata dal Comune appaiono altre persone, e i Vigili del fuoco gonfiano in strada un grande materasso pneumatico. Intanto un paio di ragazzi di Action s´incatenano al portone insieme ai rifugiati, sotto lo sguardo un po´ scettico di don Colmegna. «È stata sottovalutata la trattativa - dice dal marciapiede opposto - Speriamo che non ci scappi il morto». Alle dieci di mattina, la strada è una trincea invalicabile di poliziotti pronti all´azione. Un funzionario della Digos si avvicina al portone d´ingresso, comunica il provvedimento, chiede che la barricata si sciolga e lasci passare, mentre dal quarto piano arriva la voce dei profughi attraverso un megafono. «Siamo rifugiati politici. Persone come voi. Non siamo bestie». La tensione sale. Gli uomini incatenati vengono spostate di peso. Gli agenti cercano di far saltare il lucchetto che blocca le due ante del portone, ma alla fine è il portone che cede dai cardini cadendo sulle persone. Lo sgombero è una lenta processione di persone e povere cose. Valigie, materassi, borse e sacchi a pelo. Un lungo divano e un frigo vengono portati fuori e i più stanchi si siedono su. Un ragazzo porta in salvo il cartone gigante di Elena Santarelli e del suo calendario senza veli. Per ore davanti al portone di via Lecco resterà tutto immobile. Duecentosessantasette corpi restano raggomitolati tra coperte e materassi, mentre il cordone della polizia si allenta e in prefettura l´ennesimo vertice tenta di trovare nuove soluzioni. La proposta di trasferire tutti nella sede della Protezione civile di via Barzaghi per nuove destinazioni non viene accetta. L´ipotesi del dormitorio di viale Ortles, paventata da qualcuno, viene affossata dal Comune. I container nel seminterrato di via Pucci e lo stabile di via Anfossi vengono considerati non idonei. Restano i locali di via Sammartini per le donne e i bambini, e la soluzione in via di Breme, dove dovrebbe sorgere un tendone riscaldato vicino i container e contro la quale già ieri sera il quartiere è insorto con un presidio. «La nostra zona - protestano i residenti davanti al campo - già ospita centinaia di nomadi in via Triboniano e via Barzaghi». Nelle trattative tra volontari e rappresentanti degli immigrati che si svolgono comicamente su un mezzo dell´Atm, i rifugiati chiedono uno stabile. «Una scuola dove rimanere tutti insieme - spiega Siraj, eritreo, uno dei portavoce - . Perché la soluzione dei dormitori e dei container ci era stata prospettata già prima di Natale e avevamo detto di no». Così non resta che trascorrere la notte davanti al muro di mattoni e cemento, dove sono rimasti anche donne e bambini: «Viviamo in strada da due anni - ha detto una madre somala a un agente - . Anche i nostri bambini sono abituati al freddo. Da qui non ci muoviamo».
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