La perizia della Procura sul caso Aldrovandi: «Le sostanze stupefacenti hanno inibito il sistema respiratorio». Ma non nega le botte. E spunta un testimone.
Federico Aldrovandi è morto per un'«insufficienza miocardica acuta»: era in una situazione di stress psico-fisico e per questo il suo cuore ha cominciato a battere forte, più forte del normale. Aveva dunque bisogno di respirare, di più ossigeno, ma le droghe che aveva assunto hanno indebolito i centri respiratori. Sarebbe morto così, cinque mesi fa, il diciottenne fermato da quattro agenti di polizia in una strada periferica di Ferrara, mentre tornava a casa dopo una notte trascorsa con gli amici. Sarebbero state le droghe (un mix di eroina, chetamina e alcol) a causarne il decesso. Lo sostengono i consulenti del pubblico ministero della Procura di Ferrara, Mariaemanuela Guerra, in una lunga perizia (quasi cento pagine) che ieri è stata illustrata alla stampa dal procuratore capo Severino Messina. Il magistrato si è limitato a distribuire un comunicato, premettendo tuttavia che «il clima è molto pesante» soprattutto dopo le scritte comparse all'improvviso ieri mattina sui muri della città: «Polizia assassina», «La pagherete» e così via. La Procura ci tiene a mettere in evidenza qualche dato: si esclude «con elevata probabilità» che le lesioni riscontrate sul corpo possano aver causato la morte del diciottenne, la morfina rilevata nel sangue non può essere ritenuta di basso livello, e, soprattutto, non sono state rilevate lesioni traumatiche sulla gabbia toracica. Quindi, le conclusioni dei periti che lavorano per la famiglia Aldrovandi, secondo cui Federico è morto per «asfissia posturale», non trovano riscontro.
I legali degli Aldrovandi se lo aspettavano, ma leggere quelle pagine li ha comunque lasciati di stucco. Perché che la presenza di droghe sarebbe stata messa in evidenza era prevedibile, ma non che la colluttazione e l'immobilizzazione a terra del ragazzo non sarebbero state quasi neanche citate: «La consulenza non tiene in nessun conto» né la quantità di forza utilizzata dagli agenti per cercare di immoblizzare Federico, né «delle indagini, anche difensive», ha scritto in un comunicato di fuoco Riccardo Venturi, l'avvocato che difende il padre del ragazzo. Il riferimento è all'ultima testimonianza resa davanti al pm da uno degli abitanti di via Ippodromo. Testimonianza a lungo ricercata, dovendo fare i conti con un clima ad alta tensione, ma alla fine arrivata, neanche quattro giorni fa. Si tratta di una persona che ha visto tutta la sequenza dell'immobilizzazione: Federico atterrato, che ha delle convulsioni, e due agenti sopra di lui che cercano di ammanettarlo. D'altronde la foto di Federico appena morto - pubblicata sul blog dedicato a questa storia dalla madre - dimostra senza tanti giri di parole che quella notte qualcuno ci è andato pesante: viso gonfio, escoriazioni, il lenzuolo dietro la testa impregnato di sangue. E per la verità a scorrere la perizia del dottor Stefano Malaguti, gli elementi che chiamano in causa la polizia ci sono. Tutti da valutare, chiaro. In un processo, magari. Per esempio quelle ferite alla testa, compatibili con un corpo contundente applicato «ad elevata energia meccanica». Quelle ferite al viso e alle gambe «compatibili con le fasi dell'immobilizzazione». Per non parlare del fatto che l'«asfissia posturale» rintracciata come causa di morte dai periti della famiglia non è la stessa cosa dell' «asfissia meccanica» negata dalla perizia di Malaguti. In che modo sono intervenuti gli agenti quella notte, per fermare un ragazzo «in uno stato di agitazione psicomotoria»? E' vero che gridava «basta, vi prego», come sostengono alcuni testimoni? Le tessere del puzzle sono ancora fuori posto.
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